il Fatto Quotidiano, 14 gennaio 2018
De Benedetti chi?
Ieri, leggendo l’editoriale di Repubblica che avrebbe potuto intitolarsi “De Benedetti chi?”, abbiamo pensato a un gran ritorno del Male, con le finte prime pagine dei giornaloni che annunciavano l’arresto di “Ugo Tognazzi capo delle Br”. Testuale: “Di fronte alle notizie e alle polemiche che coinvolgono Carlo De Benedetti, a lungo editore di questo giornale, la direzione di Repubblica sente la necessità di rivolgersi a tutti voi lettori per salvaguardare un patrimonio di fiducia maturato nel tempo… Nessun interesse improprio ha mai guidato le scelte giornalistiche di Repubblica e nessun conflitto di interessi ne ha mai influenzato le valutazioni. Le posizioni che il giornale ha preso in questi anni sono il frutto della libera scelta della direzione e dei giornalisti… I rapporti, i giudici e iniziative di Carlo de Benedetti sono fatti personali dell’Ingegnere”. Quindi, per dire, se mercoledì tutti i giornali avevano in prima pagina la telefonata dell’Ingegnere al suo broker per investire 5 milioni nelle banche popolari di cui il giorno prima Renzi gli aveva preannunciato la riforma, e solo Repubblica non scriveva una riga né in prima pagina né in quelle interne, l’han deciso la direzione e i giornalisti che non la ritenevano una notizia. Non perché vi fosse coinvolto l’ex editore, nonché padre dell’attuale editore.
E, se venerdì tutti i giornali tranne Repubblica riprendevano il verbale di De Benedetti dinanzi alla Consob anticipato la sera prima dal sito del Sole-24 ore, è stato perché la direzione e i giornalisti non lo ritenevano una notizia. Non perché a dire che il governo Renzi non esisteva, essendo una combriccola di “quattro ministri” pilotati da lui in colazioni, pranzi e a cene, era l’ex editore, nonché padre dell’attuale editore. E se Repubblica ha scoperto quel verbale soltanto ieri, 24 ore dopo tutti gli altri, è stato perché altrimenti i lettori non avrebbero capito che diavolo avesse combinato l’ex editore per indurre la direzione del suo ex giornale a prendere le distanze dal lui, trattandolo come un Carneade semisconosciuto (evidentemente il presidente onorario del gruppo che apre due o tre volte l’anno “RepIdee” è un sosia omonimo). Resta poi da capire che cos’abbia fatto di tanto diverso dal solito l’ex editore agli occhi degli ex dipendenti, visto che nel 1993 fu arrestato per Tangentopoli e confessò di aver pagato tangenti per rifilare telescriventi obsolete Olivetti al ministero delle Poste e uscì mezzo prescritto e mezzo assolto. Poi chiuse con una oblazione da 50 milioni un processo per insider trading sui titoli Olivetti. Poi patteggiò per 52 milioni un’accusa di falso in bilancio del gruppo di Ivrea.
Poi la sua famiglia fu multata per 3,5 milioni per insider trading su azioni Cdb Webtech. E nel 2016 è stato condannato in primo grado a 5 anni e 2 mesi per omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime nel processo per la morte da amianto di sette dipendenti Olivetti. Non bastavano queste quisquilie per prendere le distanze un po’ prima che il simpatico filibustiere, da editore, diventasse “ex”? La scena ricorda un episodio del film I complessi, con Tognazzi nei panni di un boiardo di Stato molto bigotto, Gildo Beozi che, essendo quasi omonimo del playboy Guido Beozi che impazza sulle cronache mondane, scrive ogni volta ai giornali per sottolineare di non avere nulla a che fare con il noto libertino. Un giorno però finisce per sbaglio in un party di gay e i giornali lo immortalano in un’orgia di giovanotti discinti: a quel punto è il playboy Guido a diramare un comunicato per smentire di avere nulla a che vedere con Gildo.
Il fatto è che sulla soffiata di Renzi all’Ingegnere (l’unica promessa renziana mantenuta in quattro anni) s’è scatenata una gara di ipocriti e finti tonti. Fanno tutti gli scemi per non andare in guerra, cioè per non chiamare le cose col loro nome. Non basta che sia De Benedetti a confidare al suo broker Gianluca Bolengo che il decreto “passa, ho parlato con Renzi ieri” entro “una o due settimane”. Tutti fingono di non capire: chissà che gli avrà detto Renzi, va’ a sapere. Ci tengono proprio a passare per fessi, nella speranza che lo siamo anche noi.
Repubblica ci informa che, se per quattro anni ha preso per buone tutte le panzane di Renzi, dal Jobs Act all’Italicum, dallo Ius Soli alla controriforma costituzionale, non è perché l’editore non ancora ex lo giudicava in pubblico un “fuoriclasse” (a Che tempo che fa l’1.12.2014) e in privato “un cazzone” che “capisce poco di economia” (a Consob l’11.2.2016) e riceveva lui e i suoi ministri ore pasti per guidarli per mano in veste di “advisor gratuito e saltuario”: ma perché i giornalisti ci avevano proprio creduto, furbi loro. Il che, a occhio e croce, parrebbe più un’aggravante che un’attenuante.
Poi c’è la Consob, che in fatto di dabbenaggine volontaria ha una lunga tradizione: scopre la soffiata con l’insider trading, apre un’istruttoria e denuncia i reati alla Procura, ma sventuratamente si scorda Renzi (“insider primario” per legge) e denuncia solo l’ingegnere e il broker, poi archivia la pratica sugli aspetti amministrativi perché intanto il pm ha chiesto di archiviare quelli penali. È il comma 22: niente illeciti penali perché la Consob non vede quelli amministrativi e niente illeciti amministrativi perché il pm non vede quelli penali.
Anche la Procura di Roma è molto orgogliosa di fare la figura della boccalona. Riceve l’informativa della Consob che cita 5 illeciti penali di insider trading e ostacolo alla Vigilanza. Non affida alcuna indagine alla GdF. Indaga il broker, ma non gli insider primari Renzi e De Benedetti, che sente come testimoni. Questi raccontano un mare di panzane: il Decreto Popolari era noto a tutti (falso) e Renzi con l’Ingegnere non parlò mai di decreto (e allora De Benedetti e Bolengo come facevano a saperlo?). I cosiddetti inquirenti e i loro presunti periti se le bevono tutte, non considerano nemmeno la violazione di segreto d’ufficio dell’ex premier (art. 326 Cp), et voila: richiesta di archiviazione per il solo indagato, il povero Bolengo che sì, parlava di “decreto” con De Benedetti, ma “in modo del tutto generico e senza connotazione tecnica”. Diceva decreto, ma non voleva dire decreto. Renzi, poi, è puro per innocenza infusa. E De Benedetti? Siccome investiva 5 milioni sulle popolari poche ore prima dell’annuncio della riforma delle popolari da lui attesa entro “una o due settimane”, di cui gli avevano parlato due giorni prima il vicedirettore di Bankitalia Panetta e il giorno prima il premier Renzi, è chiaro che nessuno gli aveva detto nulla di preciso. L’ha detto lui stesso ai pm e alla Consob: “Se avessi saputo (del decreto e della data imminente, ndr) avrei investito non 5, ma 20 milioni sulle popolari, invece ho fatto di meno!”, guadagnandoci la miseria di 600mila euro. Dunque dev’essere vero. Dopo la modica quantità di droga impunita, poi estesa da B. al falso in bilancio, dal centrosinistra all’evasione fiscale e da Renzi alla frode, ora abbiamo quella di insider trading. Ora i pm capitolini ci faranno sapere, se questo non è reato, cosa debbano esattamente fare un premier a un finanziere per commettere insider trading. Invece è già noto che, se un topo d’appartamenti rapina una villa svaligiando mezza cassaforte con la complicità del cameriere che ha staccato l’allarme e si difende dicendo “se sapevo che l’allarme era spento, svaligiavo anche l’altra mezza”, la Procura di Roma archivia su due piedi.
Ma non tutto è perduto. Prima o poi, dopo appena due anni di riflessione, il gip deciderà se archiviare o meno Bolengo, o far indagare pure i due insider primari. Ma non si escludono sviluppi ancor più creativi del diritto penale alla romana. La buttiamo lì. Siccome De Benedetti racconta che Panetta gli accennò alla riforma delle popolari “accompagnandomi all’ascensore di Bankitalia” e l’indomani “anche Renzi – sembra una condanna – accompagnandomi all’ascensore di Palazzo Chigi… proprio mentre un commesso stava aprendo la porta dell’ascensore… ero già un piede sull’ascensore…”, ecco: perché non incriminare i due ascensori?