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 2018  gennaio 14 Domenica calendario

Trump non sanziona l’Iran, ma insulta africani e latini

 Dico la verità, sono più impressionato dalla notizia che Trump ha rinunciato a sanzionare l’Iran che ai suoi insulti ai paesi africani e dell’America latina, che fanno parte del solito, disgustoso modo di esprimersi del presidente. Sarebbe bello se il capo dello stato più potente del mondo fosse anche un modello di eleganza. Ma la democrazia non pretende questo: pretende solo che il rappresentante del paese e, nel nostro caso, uomo più potente del mondo, sia eletto dal popolo. E su questo, qualunque cosa si pensi, niente da dire.  

Perciò, oggi, dobbiamo cominciare dall’Iran. Ci si aspettava che Trump sanzionasse l’Iran e invece Trump non l’ha sanzionato? Mentre Trump sbraita da una parte, facendo l’estremista fascista e razzista, dall’altra applica una politica prudente e moderata e strizza l’occhio niente di meno che agli odiati iraniani?
È un modo esagerato di porre la questione, ma capisco che giornalisticamente... In due parole: l’accordo di Obama con Teheran, da tutti celebrato, prevedeva che le sanzioni di cui l’Iran aveva sofferto, in particolare quella relativa alla libertà di vendere petrolio, venissero sospese e in cambio si otteneva che gli iraniani avrebbero ridotto le loro pretese nucleari evitando di arricchire l’uranio oltre il 4% e accettando le ispezioni dell’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) che avrebbe verificato il rispetto degli accordi da parte loro. L’Aiea, anche nell’ultimo rapporto, ha detto che Teheran sta rispettando i patti, dunque Trump non aveva una ragione politica per rimettere in vigore le sanzioni. Però il presidente, sia in campagna elettorale che dopo, ha ferocemente criticato quell’accordo, mettendosi senz’altro sulla linea di Tel Aviv: gli iraniani dicono che faranno i bravi, ma in realtà stanno preparando la boimba atomica. Venerdì era il giorno decisivo: o fai riscattare le sanzioni adesso o mai più. Trump, dando seguito alle pressioni europee e a una telefonata di Macron, ha deciso di rinviare la decisione per 120 giorni («è l’ultima volta») e nel frattempo il Congresso dovrà preparare un irrobustimento, nell’ottica di Donald, dell’intesa. La Rivoluzione francese propriamente detta, e anche quella russa del 1917, sono durate meno di 120 giorni.  

Quindi Trump è un moderato.
Chi lo sa? Chi ci capisce niente? Trump è Trump, un aggettivo di nuovo conio, quasi impossibile da tradurre.  

Veniamo agli insulti agli africani e ai latino-americani.
Insulti non ai popoli, ma ai «paesi» definiti shit hole
. dove «shit
» significa «merda» e «hole
» vuol dire «buco». Completi lei il concetto. I nostri, prudentemente, hanno tradotto «cesso di paesi».  

Com’è andata?
Trump vuole smantellare la protezione, stabilita per legge, di certi immigrati finiti negli Stati Uniti per qualche tragedia. Per esempio quelli del Salvador, scappati negli Usa dopo il terribile terremoto del 2001, o quelli di Haiti, rifugiatisi in America anche loro per via del sisma che travolse l’isola nel 2010. C’è stata una riunione nello studio ovale con un po’ di deputati e senatori, tra questi il senatore democratico Richard Durbin e quello repubblicano Lindsay Graham. Proprio questi due hanno riferito che Trump, sentendo i parlamentari difendere quei poveracci, se ne sia uscito con la frase: «Ma perché dovremmo far arrivare qui gente da quei paesi di merda? Cerchiamo di attrarre, invece, per esempio, i norvegesi». Poco prima il presidente aveva incontrato la presidentessa della Norvegia, una simpaticissima grassona che non ha avuto problemi a farsi fotografare mentre, in leggiadro abito a fiori, gioca a palla su un prato. La signora si chiama Erna Olsberg. Zucconi ha commentato: «Il solito bambinone che fa riferimento all’ultima persona che ha visto». Quando Durbin-Graham hanno riferito le frasi di Trump è successo il finimondo. L’ambasciatore americano a Panama s’è dimesso, l’Unione africana pretende le scuse, El Salvador pure, eccetera eccetera. Trump è odioso e infatti tutti lo odiano. Stephen King ha detto: «Perché i norvegesi dovrebbero venire da noi? Hanno un vero sistema sanitario e un’aspettativa di vita migliore». Paradossalmente, proprio domani il presidente pronuncerà un elogio-ricordo di Martin Luther King, nato il 15 gennaio del 1929.  

Come mai un presidente degli Stati Uniti pronuncia frasi così infelici?
Chi lo sa. Si suppone che abbia voluto riscuotere gli applausi dei suoi, che su questo punto - degli africani e degli immigrati in genere - la pensano esattamente così (shit hole
, con quel che segue). Può darsi che il presidente abbia voluto distrarre la destra americana dalla sua moderazione sul caso Iran. Lui comunque nega tutto: «Non ho mai usato parole di disprezzo nei confronti di Haiti, se non per dire che Haiti è, ovviamente, un Paese molto povero e pieno di problemi. Non ho mai detto “buttateli fuori”. È tutta un’invenzione dei democratici. Ho una relazione splendida con gli haitiani. Probabilmente dovrei registrare i futuri incontri. Sfortunatamente non c’è fiducia».