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 2018  gennaio 13 Sabato calendario

Settanta miliardi di investimenti negli Stati Uniti dopo il taglio fiscale alle aziende di Trump

C’è già chi proclama l’avvento di una nuova era di re-industrializzazione dell’America. Altri, più cauti, preferiscono parlare d’un più aggressivo capitolo di reshoring, quel finora faticoso ritorno a casa che dal manifatturiero si estende a tecnologia e servizi sull’ondeggiare dei vantaggi competitivi nel mondo globale. Certo è che gli investimenti produttivi domestici incoraggiati prima dalla dottrina di America First e adesso dalla riforma delle tasse firmata da Donald Trump stanno prendendo corpo. Con grandi aziende che si contendono annunci di nuovi impianti, nuove infrastrutture o nuovi servizi per miliardi di dollari – le stime provvisorie superano i 70 miliardi. Scelte che suggeriscono come i tagli delle aliquote aziendali al 21% (dal 35%), affiancati da incentivi al rimpatrio dall’estero di capitali fino a 2.600 miliardi, possano generare risorse da mobilitare per scommesse produttive e non solo finanziarie.
La crescente capacità d’attrazione di investimenti del mercato americano coinvolge imprese estere e internazionali. Tutte interessate a meglio sfruttare la vicinanza incoraggiata, trasformandola in aiuti alla performance. Un’attrazione resa più urgente, oltre che da consistenti vantaggi fiscali, dai lati più oscuri e preoccupanti delle politiche dell’amministrazione: le ventate di isolazionismo che vedono in dubbio lo stesso accordo di libero scambio nordamericano Nafta e consigliano una più robusta presenza “difensiva” dentro i confini, visto che veicoli assemblati a sud del Rio Grande potrebbero ricevere dazi del 25% con un’abrogazione dell’accordo.
Non è un caso, così, che i progetti emersi nelle ultime ore riguardino l’auto, settore tra i più esposti al Nafta e premiati dagli sgravi. Toyota-Mazda ha sdoganato un investimento da 1,6 miliardi di dollari per un mega-impianto a Huntsville in Alabama in produzione dal 2021 e che a pieno regime impiegherà 4.000 persone e sfornerà 300mila veicoli l’anno. Grazie alla corsa degli stati meridionali americani a offrire facilitazioni, ma stimolato anche dal nuovo clima fiscale e politico pro-business. Un contesto nel quale si è inserita anche Fca, che ha dato corpo a iniziative ipotizzate un anno fa, un miliardo iniettato nello stabilimento di Warren in Michigan e lo spostamento qui di una strategica linea di produzione di truck Ram dal Messico entro due anni. General Motors non è stata da meno: dall’anno scorso aveva promesso rapidi investimenti da un miliardo nelle fabbriche statunitensi e settemila assunzioni nel giro di due o tre anni. Daimler ha a sua volta da poco previsto l’ampliamento del suo stabilimento Mercedes in Alabama.
Ma l’auto non è il solo comparto-guida impegnato a riscatti o espansioni in patria. Nell’hi-tech e nei gadget elettronici di largo consumo, l’amministratore delegato di Tim Cook di Apple ha fatto sapere a Trump di voler aprire tre impianti produttivi nel Paese. E in gioco è un fondo da un miliardo concepito dall’azienda di Cupertino per innovative scommesse domestiche, su gruppi di advanced manufacturing. Apple ha il più ricco forziere estero nella Corporate America, oltre 260 miliardi.
Più di recente, sotto l’egida esplicita della riforma fiscale, si sono mobilitati all’unisono i marchi delle telecomunicazioni. Comcast e il suo chief executive Brian Roberts hanno dato alle stampe progetti di investimenti in infrastrutture di rete da 50 miliardi nell’arco di cinque anni. La rivale AT&T, pur impegnata a rilevare Time Warner, si è distinta per una promessa minore, da un miliardo, ma interamente nel 2018. Altrove il leader delle spedizioni Ups, una dichiarazione sottoscritta da molti, ha preannunciato la caccia a «inedite opportunità di investimento». Sempre più numerose, intente a non perdere colpi, sono diventate nel frattempo le aziende straniere pronte a nuovi sbarchi. Il colosso del commercio elettronico cinese Alibaba, nonostante acquisizioni americane da parte del fondatore Jack Ma siano state bocciate da Washington per ragioni di sicurezza nazionale, è impegnato a creare fino a un milione di posti di lavoro negli Stati Uniti. E il grande fornitore di Apple Foxconn progetta un impianto da 10 miliardi in Wisconsin.
La riforma, sfidando l’ottimismo senza remore della Casa Bianca che ieri ha accompagnato ogni annuncio societario, non può tuttavia vantare effetti di panacea per l’economia, gli investimenti o l’innovazione. S&P ha previsto un’accelerazione della crescita solo temporanea, senza miglioramenti rilevanti nella produttività e nel sanare tensioni sul lavoro e diseguaglianze. E ha destato polemiche, in questi stessi giorni di decisioni roboanti, la scelta più in sordina della farmaceutica Pfizer che, pur avvantaggiata da risparmi sulle tasse, ha tagliato la ricerca d’avanguardia su malattie quali il morbo di Parkinson e l’Alzheimer.