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 2018  gennaio 13 Sabato calendario

Addio a Silvio Bertoldi. L’arte di divulgare il sapere storico

Con Silvio Bertoldi, che si è spento nella sua casa di via Anelli a Milano, scompare l’ultimo rappresentante di una generazione di giornalisti che ha saputo andare oltre i confini del mestiere e, raccontando la storia del Novecento, ha lasciato un segno destinato a durare. Classe 1920 (18 luglio), come Enzo Biagi e Giorgio Bocca, Bertoldi è stato il giornalista italiano che meglio si è avvicinato a quell’ideale di narratore storico di impronta britannica (da Lytton Strachey a Denis Mack Smith) capace di coniugare stile e precisione. 
La sua amatissima moglie Romana, donna bella e di grande spirito, in qualche occasione pubblica canzonava affettuosamente il marito con una battuta in dialetto veronese: «Se non c’era la guerra, noi eravamo rovinati». Perché Silvio Bertoldi alla storia della Seconda guerra mondiale, ai protagonisti di casa Savoia, al fascismo e alla guerra civile italiana ha dedicato oltre una quarantina di volumi. Secondo un tracciato seguito dai suoi coetanei Biagi e Bocca, ma con una impronta del tutto personale.
Nato a Verona 97 anni fa, Bertoldi si laureò in Lettere all’università di Padova ed entrò nella redazione dell’«Arena», diventandone il capocronista. Nelle stanze di quel giornale maturò l’amicizia con un giornalista più giovane di tre anni, Giulio Nascimbeni, futuro caporedattore della terza pagina al «Corriere». Tra i suoi sodali anche Gianfranco Fagiuoli e Vittoriano Rastelli.
Dopo la lunga esperienza da inviato speciale a «Oggi», dove era stato chiamato nel 1958 da Emilio Radius, Bertoldi diresse negli anni Settanta i settimanali «Epoca» e «La Domenica del Corriere». Durante i suoi anni da inviato aveva messo fieno in cascina, come l’intervista a Dino Grandi, autore dell’ordine del giorno del 25 luglio 1943 che destituì Mussolini, raccolta in dieci audiocassette, o gli incontri con alcuni dei Savoia. Data la sua esperienza, nel 1965 era stato mandato da Angelo Rizzoli a Londra per verificare l’autenticità di certi diari di Mussolini. Lui si fece accompagnare da Giorgio Pini, che aveva una pagina di diario autentica, e smascherò il falso. Intanto cominciava a lavorare ai primi libri: I tedeschi in Italia del 1964, Mussolini tale e quale nel 1965. E poi negli anni Settanta due delle sue opere più importanti: la biografia di Vittorio Emanuele III, costruita anche sulla base dell’inedito archivio privato del ministro della Real Casa Pietro Acquarone, e Salò: vita e morte della Repubblica sociale italiana.
Nei primi anni Ottanta, Bertoldi andò in pensione come giornalista (in un mondo di pettegoli fu sempre un gran signore) e cominciò la sua avventura di divulgatore e storico a tempo pieno, pubblicando biografie (da Badoglio a Carlo Alberto a Umberto I) e saggi dedicati alla sua specializzazione, il fascismo, il nazismo e la Seconda guerra mondiale, ma a volte spaziando anche oltre, per esempio con il volume del 2006 Sangue nel mare, dedicato a sette grandi battaglie navali. Bertoldi era un eclettico, aveva dipinto acquerelli di una certa bellezza, aveva scritto poesie e un romanzo, Un altro sapore (Palazzi). Per trent’anni collaborò al «Corriere», con articoli puntuali, veloci, spesso serie di pezzi concordate con un altro storico, il direttore Paolo Mieli. 
Silvio amava dedicare i suoi libri ai famigliari: alla moglie Romana, alla primogenita Camilla, scomparse prematuramente, e alla figlia Cecilia, giornalista come lui e che gli ha dato con Carlo Brambilla tre nipoti, Micola, Anita e Agostino. I funerali si svolgeranno oggi alle 14,45 nella chiesa di Santa Maria del Paradiso, in corso di Porta Vigentina.