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 2018  gennaio 13 Sabato calendario

Il compromesso storico del Duce. Il fascismo tutelò le burocrazie preesistenti

Arturo Bocchini, il potente ed efficiente capo della polizia di Mussolini dal 1926 al 1940 (anno della sua morte), l’autore delle azioni repressive di massa che godeva della piena fiducia del Duce, aveva fatto una brillante carriera al servizio dei leader liberali, era un uomo d’ordine tra i migliori che avesse prodotto la tarda età giolittiana. Come lui, molti altri uomini, e moltissime istituzioni dello Stato liberale, continuarono nello Stato fascista. Ci si può, quindi, chiedere: è esistito un vero e proprio Stato fascista, oppure esso è la corruzione di quello liberale?
In realtà, lo Stato che chiamiamo fascista fu organismo fatto di molti materiali, più complesso del regime totalitario che la storiografia ha spesso rappresentato, più permeabile e più compromissorio. Non un regime monolitico, né totalizzante. Un sistema che cercò di imporsi alla società, ma che invece accettò molti compromessi con essa. Ne fecero parte governo personale di Mussolini, oligarchie, potentati locali, notabili e figli della trincea, classe dirigente liberale e fascisti, centralismo e ambiente locale. Fu una «macchina imperfetta», come lo definì un mese prima di morire, nel 1943, il giovanissimo Giaime Pintor.
Su questa realtà complessa ha ora scritto un libro magistrale lo storico Guido Melis ( La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista, il Mulino), un libro che si colloca a pieno titolo accanto all’altro grande studio sul fascismo, la biografia mussoliniana di Renzo De Felice. Quella di Melis è una indagine in profondità, sapientemente costruita, che scava nei meandri del fascismo e mette in luce quello che covava sotto la sua facciata fastosa, un esame puntuale dall’interno della macchina statale (le strutture, gli uomini, l’estrazione sociale, la formazione, le carriere, la cultura, le retribuzioni, lo stile di gestione). Accanto a questa, nel libro sono passate in rassegna le opere del regime, la letteratura che rifletteva l’epoca (Carlo Levi, Moravia, Brancati, Alvaro, Vittorini, Pavese, Gadda), i giuristi che accompagnarono o criticarono il regime (Orlando, Ranelletti, Cammeo, Santi Romano, Costamagna, Mortati, Giannini), l’oratoria e lo stile del fascismo, le regole del suo funzionamento, fino ad arrivare a dettagli significativi, quali le persone che Mussolini riceveva o i repentir del Duce. 
Tutto questo è scritto da Melis con una tecnica che passa sempre dal quadro d’insieme ai primi piani, e con un occhio alla storiografia, per cui il lettore non è guidato soltanto alla comprensione dello Stato fascista, ma anche alla conoscenza della ormai vastissima letteratura sul fascismo.
Il libro è diviso in quattro parti, dedicate a governo e amministrazione, partito, leggi e istituzioni, economia pubblica. Nella prima Melis mette in luce la continuità degli uomini (salvo poste e ferrovie) con il regime precedente e la persistenza di prassi antiche (ad esempio, abuso della decretazione d’urgenza, precariato ministeriale, ruolo importante dei prefetti), sotto la guida di Mussolini, che svolse una incisiva attività direttiva, con ingerenza continua e minuta nell’amministrazione. Il fascismo governò con gli alti funzionari del periodo prefascista (in particolare, i tecnici dei settori demografico, statistico, delle opere pubbliche e di bonifica). Il programma del «burocrate in camicia nera» non fu concretamente realizzato, anche se il fascismo lasciò un’impronta sulla burocrazia, nel senso dell’accentramento e dello spirito compromissorio.
Il Partito fascista, rapidamente attratto nello Stato e costituzionalizzato, divenne una «macchina dell’inclusione», malato di gigantismo, centralistico e finanziato dallo Stato. 
Una buona parte della legislazione si nutrì di idee estranee al fascismo. Il Parlamento venne spinto fuori scena e i rapporti con i grandi corpi furono all’insegna del compromesso. Il Consiglio di Stato fu sia garante della fedeltà dell’istituzione al fascismo, sia garante dell’autonomia del Consiglio di Stato dal fascismo. Lo stesso può dirsi del rapporto tra fascismo e forze armate: venne lasciata mano libera ai militari, a patto della loro fedeltà al regime.
Infine, nel periodo fascista vennero istituiti 300 enti pubblici in cui nuove burocrazie, burocrazia ministeriale e dirigenti di aziende private furono intrecciati; alla retorica rivoluzionaria del corporativismo corrispose la pratica compromissoria della sua esperienza storica, mentre lo Stato imprenditore, dove il fascismo contò poco, veniva edificato quasi in segreto.
Questa breve sintesi dà conto solo di alcuni temi di questa «storia totale» del fascismo, una «foto di gruppo» che abbraccia società e Stato e si colloca nel filone storiografico per il quale il fascismo è stato una degradazione dello Stato liberale-autoritario precedente.