Libero, 13 gennaio 2018
Marchionne dà ai dipendenti duemila dollari e crea nuovi posti
Sergio Marchionne ha deciso di investire un miliardo di dollari di Fca (che è il nome della Fiat dopo essersi pappata la Chrysler) nel Michigan, a Warren. Serviranno per traslocarvi dal Messico la produzione della jeep “Ram Heavy Duty”. Una notizia dell’altro mondo. Nel nostro mondo italiano una faccenda così è impensabile, impossibile, marziana. Il problema è che abbiamo cacciato via il nostro marziano. Il quale è riuscito a invertire per la prima volta, dopo l’avvento della globalizzazione, il processo di delocalizzazione che ha investito tutto l’Occidente. Ora in America, oplà. Non è un ritorno al passato, ma una sfida al futuro. Marchionne + Trump, i due cattivoni, le due bestie nere dei progressisti e dei comunisti, hanno fatto il miracolo. Pertanto, occupazione incrementata e non solo nel settore dei servizi, ma delle cose che più materiali e rombanti non potrebbero esserci: le automobili. Fabbriche inquinanti? Balle. Gli operai americani tornano a respirare. Finisce per loro il terrore di doversi svestire della tuta blu, con ciò perdendo la buona paga della grande industria automobilistica con annesso welfare e prestigio. Non dovranno andare a friggere patate fritte in un fast food, guardando crescere figli senza destino. Ancora: a ciascuno dei 60mila dipendenti americani della ditta finiranno in tasca 2mila dollari. Ha detto Marchionne: «È giusto che tutti partecipino dei successi di Fca, specie i lavoratori che vi hanno contribuito con la loro dedizione».
IL CONFRONTO In Italia non glielo hanno lasciato fare. Non gli fu possibile neppure provarci. Scacciato dalla sinistra a forza d’insulti e scioperi da Cgil e affini, che gli hanno scatenato contro i tribunali, è stato criticato dal centrodestra, perché ha avuto l’abilità di adattarsi a Obama, che ha finanziato l’acquisizione da parte della Fiat della più scassata delle Big Three (le altre sono General Motors e Ford). Aveva visto che cosa era riuscito a creare Marchionne in Italia con i suoi ingegneri. L’aveva visto anche Renzi. E infatti ha provato a sostenerlo, ma da sinistra è proprio impossibile: ti sparano. Trascrivo dal Sole 24 Ore, che se ne intende: «Sergio Marchionne ha prima rinnovato gli impianti e poi li ha riorganizzati tramite il World Class Manufacturing, il metodo di organizzazione delle fabbriche importato dall’Italia e attuato negli Stati Uniti da dirigenti italiani arrivati da Mirafiori e da Pomigliano d’Arco. Poi ha elaborato e attuato una strategia di saturazione degli impianti: produrre più macchine possibili, migliorarne la qualità, coinvolgere i lavoratori, fare girare al massimo le linee; una impostazione di “sviluppo” realizzata anche a scapito dei margini di guadagno sulla singola unità di prodotto». Ed ecco che Fca è un fenomeno mondiale, e trascina anche la Borsa di Milano. Ma ce lo meritiamo. Il quotidiano da cui abbiamo tratto questa citazione è di proprietà di Confindustria. Ricordiamo che Marchionne ha dovuto abbandonarla perché troppo avvinghiata in un abbraccio funesto con la Cgil. Marchionne non è ideologo. Non è destra o sinistra. Ma è un rabdomante. Cerca luoghi ospitali per far fiorire il suo genio. Ha restituito allo Stato e con gli interessi i soldi incassati da Obama. Ci voleva però uno come Donald Trump per spostare l’asse della storia economica. Il presidente che la sinistra chic in America e in Italia chiama l’“Idiota”. Datecene qualcuno anche a noi. Invece come chiamavano Marchionne a casa nostra? Nel 2010 apparvero sui muri d’Italia queste scritte: “Sfruttatore”, e una bella stella a cinque punte. Nel 2011 cercò di spiegare che voleva cambiare il modello del lavoro in Italia, legando salario e produttività, non tollerando più che a Pomigliano l’80 per cento dei dipendenti si mettesse in malattia pur di vedere una partita della nazionale. Susanna Camusso della Cgil, disse: «Sta insultando l’Italia». Come dire: vattene, che è meglio. Provò lo stesso a licenziare i lazzaroni. Il tribunale gli dette torto. Lo hanno fatto scappare insieme alla Fiat. E si smetta di dire che è meglio così perché la Fiat prendeva denaro al tempo degli Agnelli. Verissimo. Aggiungo: malissimo. Chi glieli ha dati questi denari? L’intreccio di politica (cominciato col fascismo, continuato con Dc + Pci) e sindacati (in cambio del diritto all’assenteismo). Marchionne non ha rubato niente. Ha trasformato una ditta tecnicamente fallita in una gallina dalle uova d’oro, per tutti, non solo per la famiglia dell’Avvocato. Quel che ha impiantato in Italia funziona, dà occupazione. Ma qui è rimasto poco, e stiamo facendo di tutto per eliminare pure quello.
LA RIFORMA USA Di Trump, Libero ha già raccontato la riforma fiscale. Ha azzerato le tasse per le aziende che tornano a casa. Punisce le multinazionali che insistono a sfruttare, con paghe ridicole e orari paurosi, minorenni nel Terzo Mondo. I risultati si vedono, non ci guadagnano solo azionisti e manager ma la comunità aziendale e l’intera società intorno. Un buon insegnamento per il futuro premier italiano. L’Unione Europea, conosciute le decisioni di Donald, che fece? Protestò compattamente. In prima fila a berciare si collocò il nostro ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Di cui traduciamo il pensiero: come osa questo populista abbattere le tasse? Anziché imitarlo, hanno tirato su altri fili spinati, hanno reiterato gli antichi errori. La specialità di questo continente più decrepito che vecchio è esattamente questa, e in Italia in ciò siamo fuoriclasse: far fuggire le fabbriche, rendendo inospitale il territorio sociale, politico, legislativo, burocratico. Spingiamo verso l’esilio i nostri migliori imprenditori. I quali non delocalizzano solo muri e macchinari, ma se stessi e il loro staff. In compenso accogliamo con ogni sorta di benefit chi arriva dal terzo mondo, gente senza specializzazione, ma non siamo in grado di offrire lavoro, perché l’abbiamo fatto scappare insieme a chi era in grado di crearlo. Un nome e un cognome? Ma certo, Sergio Marchionne.