Il Messaggero, 13 gennaio 2018
Fenomenologia di Hercule Poirot, tra tic e genialità
Era alto poco più di un metro e sessanta centimetri, portati con grande dignità. La sua testa era a forma d’uovo, un po’ inclinata di lato. I suoi baffetti erano rifiniti e militareschi. L’accuratezza degli abiti quasi incredibile: un granello di polvere gli avrebbe dato più fastidio della ferita di un proiettile. Così Agatha Christie descrive il protagonista di tanti suoi romanzi: il geniale ed eccentrico Hercule Poirot. Le sue imprese sono state tradotte in 102 lingue, ed hanno venduto quasi due miliardi di copie. Un primato che insidia i record di Shakespeare e della Bibbia.
La regina del giallo creò questo ometto in antitesi a Sherlock Holmes, che allora (nel 1920) monopolizzava i racconti polizieschi. Differenti in tutto, i due investigatori hanno in comune due cose: una straordinaria motilità delle piccole cellule grigie (oggi diremmo sinapsi neuronale) che consente un’infallibile capacità deduttiva, tale da smascherare i più diabolici criminali, e la mancanza di compagnia femminile, appena surrogata dalla presenza di due amici tanto fedeli quanto inetti. Il dottor Watson e il Capitano Hastings brillano infatti per la loro impassibile ottusità.
Ma Agatha Christie si sbarazzò subito del legnoso stereotipo vittoriano, e creò un personaggio ben più affascinante ed amabile. Convertì le sue idiosincrasie in simpatiche mimiche umorali, e mitigò la sua pignoleria con frequenti attimi di calda umanità. Poirot è gentile con la servitù, leale con gli amici, benevolo anche verso gli assassini. LA FEDE
Fino all’ultimo chiama un pluriomicida mon ami, e malgrado la propria fede cattolica gli consente il suicidio per evitare il patibolo. La sua solitudine non è misoginia: a suo tempo anche lui ha sofferto pene d’amor perdute. Ma le sue energie sono così concentrate sul cervello da lasciare al cuore la forza appena sufficiente per battere. E con tutti i suoi tic ai limiti della paranoia non è mai ridicolo: di lui si può sorridere, ridere mai.
Poirot debuttò nel 1920, con Il Mistero di Styles Court, un classico delitto ambientato nella campagna inglese, in un mondo edoardiano in via di rapida estinzione. Il piccolo belga vi compare già anziano, con una brillante carriera di poliziotto alle spalle, esule in terra straniera per via della guerra. Ma presto si adegua in tutto, tranne che nella lingua e nel tè: concede all’amico Hastings di correggerlo quando sbaglia le parole ma rimane ostinatamente ancorato al caffè nero e alle tisane. Come straniero è fortunato: la sua abilità gli procura fama e ricchezza, abbastanza «per soddisfare i bisogni ed anche i capricci». Per questo può scegliersi i casi da risolvere, e magari devolvere la parcella all’amico in difficoltà finanziarie. Così, per oltre quarant’anni, il maturo pensionato colleziona (a dispetto della cronologia e dell’età) una serie incredibile di successi investigativi, talvolta temperati dal rifiuto di consegnare alla giustizia il colpevole. Come Antigone, anche il nostro eroe, dopo gravosi conflitti morali, antepone alla legalità il suo convincimento interiore.
La fama di Poirot, accresciutasi nei decenni, è esplosa con il cinema e la televisione. Grandi attori come Albert Finney e Peter Ustinov ne hanno esaltato le qualità raziocinanti, sottovalutandone tuttavia le caratteristiche umane, talvolta degradate al rango di macchietta. Le opere letterarie vanno rispettate, e il traduttore non deve mai sovrapporsi all’originale: Montale e Quasimodo sono grandi poeti, ma le loro versioni di Shakespeare sono arbitrarie ai limiti della scorrettezza. Così come Ustinov e Finney sono gioielli di recitazione, ma lontani anni luce, nei modi e nell’ispirazione, dall’essenza del personaggio interpretato. Bisognava attendere lo straordinario David Suchet per coniugarne le phisique du role con la fine psicologia e l’inconfondibile portamento. E oggi tutto il mondo identifica questo straordinario attore londinese con il piccolo genio dalla testa d’uovo.
David Suchet è una colonna del teatro classico, e, come racconta nel suo libro Poirot and me, non prende sul serio se stesso ma prende sul serio il suo lavoro. Per immedesimarsi nel personaggio ha letto e riletto tutti i romanzi e i racconti brevi di Dame Agatha; ha ascoltato per settimane la radio belga per adattare il suo accento a quello vallone (l’accento parigino sarebbe stato improprio); ha imposto ai sarti abiti e acconciature rigorosamente in linea con quelli descritti; ha stilato un dossier of characteristics lungo quattro pagine con novantatre comandamenti, dandone copia a tutti i registi che si sono succeduti e pretendendone il rispetto rigoroso. Infine, per adottare i suoi inconfondibili mincing steps, i passettini impettiti e un po’ leziosi, ha imparato a camminare con una moneta tra le natiche, senza farla cadere. Oggi nessuno può dire se il numero degli spettatori abbia superato quello dei lettori; del resto la fusione tra il protagonista dei racconti e quello dei film è così totale da rendere le pagine e le immagini perfettamente simmetriche: cosicchè, letto il libro, ti vien voglia di guardare il film, e viceversa: un’emozione assai rara, paragonabile a quella suscitata dai drammi shakespeariani portati in scena da Laurence Olivier. LE LACRIME
Come i grandi soldati che – secondo la vecchia canzone – non muoiono ma svaniscono, anche i famosi investigatori evitano il Grande Mietitore e si ritirano discreti. Se per caso soccombono, vengono risuscitati a furor di popolo, come accadde a Sherlock Holmes miracolosamente riemerso dalla cascate di Reichebach dove il suo creatore lo aveva incautamente fatto affogare, ignaro della reazione dei lettori delusi e inferociti. Agatha Christie fece un’eccezione, e nel suo ultimo romanzo pubblicato, Sipario, ci mostra un Poirot vecchissimo e malato. David Suchet si preparò a lungo per girare,una volta sola, la scena della morte: pare che l’intera troupe di impassibili britannici si sia commossa fino alle lacrime durante la ripresa fatale. Dopo venticinque anni di successi, era arrivata la fine.
Ma in realtà la fine non arriva mai. Il piccolo belga è sempre lì con noi, nei romanzi e nei film, a stimolare le nostre modeste cellule grigie deliziandoci con le sue manie. Il suo inimitabile interprete oggi è ritornato alla grande casa del teatro classico, ma continua a rimpiangere quell’eccentrico bon catholique, religioso quanto lui. David Suchet, infatti, ha letto e registrato l’intera Bibbia, una monumentale e benemerita opera di divulgazione per la nostra civiltà scristianizzata. E se cliccate su you tube, potete riconoscere il devoto Poirot mentre legge, dal pulpito di Saint Paul a Londra, il Vangelo di Marco. Per i credenti, una straordinaria voce di fede e di speranza. Per gli altri, una imperdibile lezione di lingua inglese.