il Giornale, 12 gennaio 2018
Dopo cinquant’anni lo spazio resta un sogno. Tutti i tentativi (falliti) dal Continente Nero
L’immagine dell’astronauta africano è anacronistica almeno quanto quella della squadra giamaicana di bob alle Olimpiadi invernali. Eppure in entrambi i casi c’è il desiderio di sfatare i luoghi comuni e frantumare i timori di inferiorità. E se Devon, Dudley, Michael e Samuel ai giochi a cinque cerchi di Calgary del 1988 si cimentarono per davvero, alimentando la leggenda nella pellicola Quattro sottozero, l’Africa sta tentando fin dal 1964 di mandare il suo primo uomo nello spazio. I risultati sono stati fino a ora tra il surreale e il folcloristico, ma è proprio il fuoco sacro del pionierismo ad aver generato storie che potrebbero persino diventare un piatto prelibato per sceneggiatori.
Tutto ebbe inizio nella primavera del 1964, quando dodici ragazzi dello Zambia, conosciuti come gli «Afronauti», e indottrinati da un professore visionario, iniziarono a progettare una navicella spaziale in una rimessa abbandonata nella periferia della capitale Lusaka. «Andremo su Marte, con una donna, un gatto e un missionario», rivelò il professor Edward Makuka Nkoloso, responsabile del progetto, al giornale di Lusaka Times, aggiungendo che lo scopo del viaggio interstellare sarebbe stato quello di contattare abitanti del pianeta Marte. La folle avventura dello scienziato e dei suoi Afronauti, immortalata da un video che si può facilmente pescare su youtube, venne interrotta dalle autorità dello Zambia, che non solo trovarono l’idea inappropriata, ma arrestarono Nkoloso con l’accusa di tramare contro la stabilità del paese.
Alla conquista dello spazio ambiva, e non poco, il sanguinario dittatore dello Zaire Mobutu Sese Seko. Nel 1977 presentò il progetto di un missile soprannominato «il leopardo dello Zaire», affidandosi, a differenza dell’improvvisazione dei pionieri dello Zambia, a una società tedesca specializzata nel settore aeronautico e spaziale, la Otrag. Chiamò il progetto «leopardo» in omaggio alla squadra di calcio che tre anni prima si era qualificata a sorpresa alla Coppa del Mondo in Germania. Il 18 maggio del 1977 un primo razzo, lungo 6 metri, raggiunse l’altitudine di 20 chilometri prima di schiantarsi. Un anno dopo lo stesso vettore raggiunse i 150 km di altitudine e si sbriciolò nell’atmosfera. Nel 1979 le ambizioni di Mobutu tramontarono miseramente dopo l’ennesimo esperimento alla presenza di alcune autorità straniere. Nel 2005 lo Zaire era diventata Repubblica Democratica del Congo e il presidente Laurent Kabila volle aggiornare l’operazione leopardo, affidandosi alle competenze scientifiche di Jean-Patrice Keka Ohemba Okese, soprannominato l’Einstein africano, non certo un visionario folle. Okese progettò il razzo Troposphère, finanziato anche da fondi privati. Tra l’aprile del 2007 e il marzo di due anni dopo lanciò tre missili senza mai raggiungere l’obiettivo sperato.
Oggi, in Sudafrica, il dj Mandla Maseko si starebbe preparando a diventare il primo astronauta africano nero, dopo aver partecipato a un corso d’addestramento sponsorizzato da una nota marca di deodoranti maschili. Poco più di un anno fa invece il ministro nigeriano Ogbonnaya Onu ha promesso di mandare un astronauta del suo paese nello spazio entro il 2030. Per la cronaca nel 2002 l’imprenditore (bianco) Mark Shuttleworth fu il primo africano a salire su una navicella spaziale, anche se solo come turista. La missione era russa, la Soyuz TM-34, e Shuttleworth pagò 20 milioni di dollari per il disturbo.
Nonostante i risultati tutt’altro che incoraggianti, il continente nero non ha perso la speranza di conquistare autonomamente lo spazio. Lo si evince dalle agenzie che anno dopo anno spuntano come funghi in tutta l’Africa. Si passa dall’Algerian Space Agency fino ad arrivare all’Ageos, l’Agenzia del Gabon per gli studi e le osservazioni spaziali. Per la cronaca in Gabon non esiste una piattaforma per il lancio di vettori, ma soltanto gli uffici dell’Ageos nel quartiere residenziale di Libreville. Ci lavorano impiegati e passacarte, non c’è l’ombra di un solo tecnico, ma il presidente Ali Bongo non lesina finanziamenti pur di dichiarare al mondo che il Gabon andrà su Marte prima di tutti.
Il 30 giugno 2017, la camerunense Sarah Anyang Agbor è stata eletta commissario dell’Unione africana per le risorse umane, la scienza e la tecnologia. Il suo compito è quello di sviluppare la politica e la strategia spaziale del continente, creando una sinergia tra le varie agenzie nazionali. Recentemente la Agbor ha preso parte a una conferenza regionale tra ministri delle telecomunicazioni a Khartoum. Nell’occasione è stato redatto un documento che porta il titolo di «Agenda 2063», giusto per mettere le mani avanti e giustificare i nuovi e probabili fallimenti. Neppure il lancio in orbita di satelliti per le telecomunicazioni si può considerare un successo. Il lavoro viene commissionato dai governi africani, ma le operazioni, il materiale, le tecnologie e persino le risorse umane sono interamente francesi, cinesi, giapponesi, americane e russe. Se tutto andrà come previsto, entro il 2019 l’organizzazione sudafricana Medo manderà in orbita il primo satellite privato africano. Per la costruzione della strumentazione elettronica è stato coinvolto un gruppo di ragazze di un liceo di Città del Capo che ha partecipato a un programma governativo per incoraggiare le giovani a intraprendere gli studi scientifici. Una volta in orbita, il satellite servirà a raccogliere informazioni utili all’agricoltura.
Per ora non resta quindi che aggrapparsi ai fumetti per sognare le avventure nello spazio. Comic Republic, una startup con base a Lagos, in Nigeria, ha dato vita agli «Africa’s Avengers», che si battono nella galassia per salvare il continente nero. Senza dimenticare i deliranti fumetti commissionati dai presidenti Gnassingbè (Togo), Kabila (ex Zaire) e Sassou Nguesso (Congo), trasformati in personaggi degni della saga di Star Wars.