Corriere della Sera, 12 gennaio 2018
Stravaganze all’opera. Salome nel bunker, una Bohème sulla Luna: la lirica stravolta dalle invenzioni dei registi
La Carmen col finale stravolto a Firenze dal regista Leo Muscato, dove non la sigaraia ma Don José, a dispetto del libretto («potete arrestarmi, l’ho uccisa io») stramazza al suolo senza vita, riapre la ferita mai sanata su fino a che punto all’opera si possa tirare la corda; non tanto per voltare pagina sulle ali delle attualizzazioni, ma strappare le pagine dei libretti, inventando un’altra storia. È qualcosa di più complesso di una querelle fra tradizionalisti e modernisti. Dopo la morte di Karajan, dagli Anni 90 il Festival di Salisburgo è una fucina di scandali, per i detrattori l’immagine ha prevalso sulla sostanza e la qualità, la stabilità è diventata instabilità, ma l’idea di scandalo è mutata e il nudo in scena (almeno in Nord Europa) non fa più arrabbiare nessuno. I confini della provocazione si sono spostati, Salisburgo ha ospitato La clemenza di Tito con due «discoli», il direttore Teodor Currentzis e il regista Peter Sellars, in cui furono tolti i recitativi e aggiunti 30 minuti di altra musica mozartiana.
Riccardo Muti ricorda di aver lavorato con registi innovatori come Ronconi, Herzog, Vitez, De Simone. Ma nel ’92, dopo che lasciò La clemenza di Tito a Salisburgo, in disaccordo con la regia, e in seguito ad altri diverbi, «decisi di ridurre la direzione di opere in forma scenica, anche se in forma di concerto non è la soluzione. Ho avuto problemi con chi stravolge e non comprende il discorso musicale-drammatico e ho messo il bando alle regie cretine e presuntuose che vanno contro la volontà del compositore. Questo non significa che non bisogna fare spettacoli aperti al futuro».
A Bayreuth gli eredi di Wagner avallano qualunque progetto, e Daniele Gatti (che dal 2020 dirigerà un nuovo Ring ) ricorda che mentre il pubblico tedesco spacca il capello in quattro sui tempi musicali, c’è grande tolleranza sulle regie; Frank Castorf è reduce da un Ring col Monte Rushmore e le teste di Marx, Lenin, Stalin e Mao. Nel luna-park degli scandali trova posto Macerata, dove Antonio Latella fece insorgere gli spettatori con Tosca che non si getta ma spicca il volo aiutata dalla Madonna con le doglie che partorisce gli angeli e se ne va in giro nuda. Ci sono strade nuove che reggono. La natura immaginifica di Damiano Michieletto a Roma è stata esaltata per La Damnation de Faust di Gounod, che non è un’opera ma a detta del suo autore «una leggenda drammatica», per decenni si è eseguita come un concerto, si può riempire con la fantasia, e Faust vittima del bullismo è stato un esempio di grande teatro musicale. Michieletto il 23 gennaio apre Palermo con il Guglielmo Tell che a Londra fu sepolto dai fischi per la scena dello stupro: in Sicilia lo riproporrà tale e quale. Ma lo stesso teatro inglese pochi mesi dopo gli assegnò l’ Olivier Award per Cavalleria-Pagliacci. Michieletto crede nella forza di una narrazione contemporanea, l’operazione Carmen «è lecita, la regia è interpretazione, l’arte è la capacità di immaginare qualcosa che non c’è, il suo compito è di celebrare il potere dell’immaginazione. L’arte non ha morale, è fiction: e la fiction scuote, spaventa, fa sognare».
Alla Fenice il 2 febbraio lui porta La Vedova allegra in una piccola banca che deve essere salvata in uno Stato immaginario. Forse è una tendenza oppure no, pochi giorni dopo, il 15 a Torino, il canadese Robert Carsen riambienta Salome nel bunker di una banca cambiando l’opera: quando Erode dice: uccidete quella donna, gli scudi non schiacciano Salome (ritratta quasi come una ragazza innocente malgrado abbia fatto decapitare il profeta), ma sua madre Erodiade, e la danza dei sette veli diventa la danza di sette vecchi che si spogliano. L’innovatore Graham Vick il 19 fa La Bohème a Bologna: «Io sono inglese e il nostro maestro è Shakespeare, da noi si fa in tutte le salse ma rimane la sua grandezza. Lo stesso vale per Bizet e la sua Carmen. In Italia siete ancora troppo timidi. L’unica cosa è essere aperti e chiari. La Bohème di Parigi ambientata sulla Luna? Che male c’è, quando l’uomo andrà a viverci ci sarà anche lì vita e morte. L’arte fa parte della vita, deve rischiare, credere in sé».
Pier Luigi Pizzi sulla Carmen stravolta: «Molto rumore per nulla, non l’ho vista sembra una stupidaggine. Si può fare qualsiasi operazione purché abbia una logica, e non solo per narcisismo. Ho fatto La pietra del paragone di Rossini in una lettura aggiornata e ironica, negli anni ’70, in una villa italiana con piscina: funzionava perfettamente».