Corriere della Sera, 12 gennaio 2018
La disfida del pilone sulla Marmolada
«O Marmolada bianca di nevai / ben ricordate lampeggiar gli acciai…», sospirava il «ragazzo del ‘98» Curzio Malaparte. Un secolo dopo il ghiacciaio «colorato in rosso» dai soldatini italiani e austriaci mandati a scannarsi tra gelo e abissi, si sta frammentando. Destino segnato.
E intorno all’incubo ecologico si spaccano le comunità. Divise sul confine e sullo sfruttamento della montagna sacra. In mezzo alla quale c’è chi ha immaginato una nuova funivia con un pilone nove metri più alto della Torre di Pisa.
«Un’enorme valanga caduta dal Marmolada sui Tabià Palazza ha distrutto tutte le baracche ivi esistenti travolgendo gli uomini che vi si trovavano. Le perdite sembra siano di circa 200 uomini», dice il rapporto del 9 marzo 1916 nei «Diari di guerra sulla Marmolada e sul Col di Lana» a cura di Mario Bartoli, Dario Fontanive e Mario Fornaro, pubblicati da Gaspari, «Altra valanga caduta a Malga Ciapèla ha travolto 60 uomini. Pure a Sottoguda…».
Certo, cento anni dopo, la guerra sui confini è diversa. E diverse sono le difese dalle slavine. Che consentono oggi, grazie agli «Obelix» (campane tecnologiche che liberano piccole esplosioni per tirar giù le valanghe sotto controllo), di monitorare le zone più esposte, come nella Val Pettorina che scende offrendo agli sciatori una pista di dodici chilometri ai piedi del massiccio verso Malga Ciapela, da dove parte la spettacolare funivia che porta in cima alla montagna.
E diverse sono le condizioni economiche in cui versano le valli intorno, un tempo falcidiate dalle stesse migrazioni e oggi divise: ricche sul versante trentino, non più povere su quello veneto. Dove il turismo non può contare sugli investimenti dell’autonomia che piovono sui cugini. Con qualche ricaduta di rancore. Come quello espresso, prima di andarsene un anno fa, dall’ex assessore al turismo del Veneto Floriano Pra: «Vedo sindaci con la pancia piena che non pensano a chi ha la pancia vuota, e fan riunioni carbonare per riempirsela ancora di più».
Una protesta ripresa dal figlio Sergio, presidente delle funivie di Alleghe, che lunedì prossimo si ritroverà con tutti i «ribelli» veneti per muover guerra ai trentini. A partire, appunto, dal tema: cosa fare della montagna «sacra». La più alta delle Dolomiti, la più cara ai nostri bisnonni, il perno del sito Unesco. Ma la più a rischio.
Il ghiacciaio che un secolo fa era così immenso da contenere la «città di ghiaccio» scavata dagli austriaci, dice il Comitato Glaciologico Italiano, era esteso ancora nel ‘59 per 3,05 chilometri quadrati: oggi è ridotto, dice il Nuovo catasto dei Ghiacciai Italiani (Smiraglia e Diolaiuti) a 1,44. Meno della metà. Peggio, spiega il glaciologo Christian Casarotto: «Appare ormai spaccato in tre diversi ghiacciai. Che si stanno frammentando. Col risultato che via via che emergono le rocce queste si scaldano al sole e scaldandosi sciolgono ancora di più il ghiaccio intorno».
In questo contesto è riesplosa la rissa sui confini. Di qua i trentini che con il sindaco di Canazei Enrico Parmesani (che gestisce un rifugio e fa sci alpinismo di notte) sostengono che «è già tutto chiaro, ci diede ragione tanti anni fa anche il Consiglio di Stato: il confine va ripristinato in cresta quindi il Veneto deve arretrare di 60 metri». Di là i veneti che, siccome i cippi non sono mai stati posti, dicono che vale l’accordo siglato in vetta al massiccio, davanti a tutti i sindaci, dall’allora governatore Veneto Giancarlo Galan e l’allora presidente trentino Lorenzo Dellai.
Ma che importa agli uni e agli altri di un confine di rocce e ghiacci? Importa. Perché a premere sono gli interessi dei trentini e degli altoatesini del circuito «Sellaronda» che attorno al gruppo del Sella tocca Canazei, Selva di Val Gardena, Corvara e Arabba. Un circuito che impone agli sciatori, per vedere la Marmolada, di uscire dall’«anello» ad Arabba, salire con un impianto a Passo Padon, scendere sciando a Malga Ciapela lungo la Pista Bellunese, prendere la funivia per la vetta del massiccio e tornare sciando ancora a Malga Ciapela per poi risalire a Passo Padon con tre impianti due dei quali son fermi (in piena stagione turistica!) in attesa dell’okay del Veneto. Okay complicato dal fatto che la Regione, dopo aver speso un sacco di soldi, si è accorta che la legge era cambiata e il rinnovo della «licenza» richiede ora più garanzie.
Insomma, per dirla alla romana, un «giro de Peppe» che, secondo i trentini, potrebbe essere accorciato con nuove funivie da Arabba a Porta Vescovo per poi scavalcare il lago di Fedaia e da lì raggiungere direttamente la vetta della Marmolada. A farla corta: il circuito «Sellaronda», tirando dentro la Marmolada, potrebbe aumentare ancor di più i «passaggi» degli sciatori «che sono già oggi un milione l’anno» col raddoppio, da 900 a 1.800 l’ora, dei turisti portati in vetta a sciare. Leandro Grones, sindaco di Livinallongo (e Arabba), bellunese ma sensibile alle lusinghe del Trentino e dell’Alto Adige, concorda: «Il futuro del turismo invernale sono i collegamenti. La Marmolada è grande, può sopportare senza problemi un raddoppio degli sciatori. Non capisco le ostilità degli amici della Val Pettorina e più ancora del comprensorio del Civetta. Ci guadagneremmo tutti». Andrea de Bernardin, sindaco confinante di Rocca Pietore e in qualche modo «titolare» della Marmolada, non è d’accordo: «Primo, per problemi valanghivi: l’area non è sicura. Secondo: perché i nuovi collegamenti taglierebbero fuori noi e il comprensorio del Civetta. Terzo: per motivi ambientali. L’Unesco non tollererebbe sfregi all’ambiente». Primo fra tutti, quel pilone di 65 metri piantato per la nuova funivia in mezzo al ghiacciaio. «Bufale: mai esistito un progetto simile», sbotta il sindaco di Canazei. «Bufale: c’è solo il via libera di Trento, ma non si è mai discusso ancora degli aspetti tecnici», conferma il suo collega di Livinallongo.
Gigi Casanova, punto di riferimento di Mountain Wilderness e degli ambientalisti della Marmolada, giura però: «Io l’ho visto, un progetto. Non ho potuto fotografarlo, ma l’ho visto: e il pilone gigantesco c’era. Con l’aggiunta del passaggio sopra il Fedaia avremmo un impatto ambientale spaventoso. Inaccettabile».
Il grande Reinhold Messner è d’accordo: «Sarebbe una pazzia. La Marmolada è un simbolo per tutti gli alpinisti del mondo. E poi, perfino al di là delle motivazioni ambientali, credo sarebbe una cosa stupida: sciare sta diventando troppo caro. È un lusso ormai. Più di tanto il mercato non può allargarsi. Sono sicuri, i miei amici sudtirolesi, trentini e bellunesi, che lo sfruttamento intensivo della montagna sia un business destinato a durare? Mah…».