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 2018  gennaio 12 Venerdì calendario

L’«incursione» di Macron e le capriole degli euroscettici

Se non ci fosse un voto a breve, di certo rientrerebbero nella routine frasi come «l’Europa ha avuto molta fortuna ad avere Gentiloni in questi ultimi mesi». E invece Macron le ha pronunciate, ieri, in piena campagna elettorale. E pure se ha usato l’accortezza di ripetere la formula di rito, ossia che «spetterà al popolo italiano esprimersi alle elezioni» ha aggiunto anche che «grazie a lui si è avviata una nuova dinamica». Insomma, dichiarazioni sul filo ma comunque molto più sfumate di quelle che – ai tempi delle presidenziali francesi – furono dette in Italia e altrove contro la Le Pen. È dunque ragionevole che anche il presidente francese, eletto sulla base di un programma europeista, guardi alle dinamiche italiane in una prospettiva strategica che è quella del processo di integrazione Ue, che oggi viene garantito da Gentiloni. Ma ormai non solo da lui. Sulla linea dell’europeismo, in effetti, sta avvenendo un grande riposizionamento in vista delle urne, in alcuni casi un ribaltamento di rotta. Ed è questa la novità più rilevante in mezzo a una propaganda dai toni del discount.
In qualche modo la voce di Macron di ieri rappresenta quello che è diventato un passaggio decisivo per i leader che sono in gara per il 4 marzo: quello, cioè, di dare garanzie di affidabilità su Europa e politica estera. Ma è vero anche il contrario: che chi si mette nell’ottica di voler governare, ha molto più interesse a costruirsi un’interlocuzione con Parigi o Berlino piuttosto che con il gruppo di Visegrad. Una consapevolezza che si è fatta talmente tanto strada se perfino Di Maio ha dovuto archiviare l’uscita dall’euro in tv da Bruno Vespa. Così come l’ha archiviata Salvini. Allo stesso modo Berlusconi che era arrivato a parlare di doppia moneta, adesso ha rimosso quella suggestione. E Renzi non parla più di tornare a Maastricht e alla regola del 3% deficit/Pil mentre continua a circolare la voce che possa farsi un suo partito, sullo stile macroniano, se dopo le urne venisse messo in minoranza.
Oltre i rumors, però, ci sono i fatti. E la prossima settimana c’è il voto sulle missioni all’estero tra cui in Niger, proprio in asse con la Francia. E c’è una novità: che ieri Salvini ha annunciato il voto a favore. Un segnale che innanzitutto diventa una prova di compattezza della coalizione, visto che Forza Italia ha sempre votato a favore insieme al Pd, ma anche di maggiore “affidabilità” nei confronti dell’estero. Soprattutto ora che Salvini ha il suo nemico interno, quel Maroni che è diventata la faccia presentabile della Lega e che probabilmente verrà candidato al Senato (magari per diventare presidente di Palazzo Madama). Diverso è lo scenario per i 5 Stelle o per il partito di Grasso che ha profonde differenze interne: da un lato c’è il gruppo di Bersani ma dall’altro ci sono gli “eredi” di Rifondazione che sulle missioni internazionali facevano ballare Prodi e l’ex ministro degli Esteri D’Alema. Di certo non sono voti che si contano in termini di consenso elettorale, ma che di certo verranno pesati dalle capitali come Parigi.