Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2018
La scommessa (in)finita della Regione Sicilia
La Sicilia muore di sete mentre davanti le scorre un fiume di acqua potabile. Il solo fatto che un presidente, nel discorso di insediamento nell’Assemblea regionale, lo abbia riconosciuto pubblicamente, è una testimonianza di onestà intellettuale ma anche un impietoso conto alla rovescia per la credibilità della nuova Giunta chiamata a governare e far crescere la Sicilia. Il governatore Nello Musumeci, tre giorni fa, nel corso della presentazione del programma, ha messo a nudo il paradosso di un’isola che ha un fiume di risorse da spendere: 17,6 miliardi. È questa la dote complessiva dell’ultimo ciclo settennale comunitario (2014-2020) di promozione e sostegno dello sviluppo socioeconomico che è chiamato, dopo 24 anni di vane attese, a mettere a frutto.
Spesa con il contagocce
Eppure, ha lasciato cadere nel silenzio Musumeci, «ancora oggi il tasso di somme impegnate e spese è quasi pari all’1%. Serve rimodulare i fondi europei, serve accelerare la spesa, qualificare il parco progetti, serve pensare – parlo ad esempio dell’agricoltura – a bandi europei che siano accessibili non soltanto alle grandi aziende, qualche volta “amiche del giaguaro”, ma anche alle piccole e medie. Questo bisogna fare e dobbiamo fare». Una lettura nuda e cruda di una Sicilia ricca ma al tempo stesso poverissima.
La scommessa è dunque, ancora una volta, proteggere e far crescere il seme dello sviluppo, cancellando il parassitismo burocratico e neutralizzando quel gorgo di intermediazione clientelare, corruttrice e corruttiva che nega benessere e occupazione. O meglio: li ha resi e li rende possibili solo agli “amici del giaguaro” che qui non sono rappresentati solo dalla galassia di società e attività economiche riconducibili a Cosa nostra ma anche a un sottobosco di poteri occulti che si muovono in simbiosi osmotica con la mafia e la burocrazia collusa.
La piaga della burocrazia
La spesa è stata selettiva, indirizzata e predatoria lasciando la gran parte del mondo economico e produttivo a fare i conti con il volto oscuro delle istituzioni. «Quante volte il mondo imprenditoriale ha consolidato la radicata convinzione che le istituzioni debbono essere considerate una sorta di nemico – ha ricordato Musumeci – e quante volte gli imprenditori che avrebbero voluto investire non hanno avuto le dovute autorizzazioni? Si può mai pretendere che le imprese debbano interamente anticipare le somme con il rischio di fallire, solo perché la Regione non rispetta i tempi di erogazione delle risorse?». No che non si può.
«Lo abbiamo detto e lo ripetiamo – ha concluso Musumeci – è l’azienda l’unica vera fonte di ricchezza non il denaro pubblico. È l’azienda quella che crea occupazione, produzione, quindi crescita, quindi sviluppo».
L’apertura di credito
Il mondo imprenditoriale apre il credito non solo alla Giunta ma all’intera Assemblea regionale, anche se resta basito di fronte alla partenza del nuovo corso. Già, perché come in un eterno scenario pirandelliano, la Giunta ha perso subito pezzi, altri ne perderà. Si regge per miracolo laico. Senza contare che sul parlamento siciliano pesa l’incognita di ricorsi e controricorsi di eletti ed esclusi che rischiano di fondere il motore ancor prima di metterlo in moto.
Quel che chiede Sicindustria è la diligenza del buon padre di famiglia: condizioni minime per mettere le aziende al servizio dell’Isola e del Paese. In una riunione di alcune settimane fa il presidente di Sicindustria Giuseppe Catanzaro ha snocciolato pochi ma essenziali concetti, che ribadisce al Sole 24 Ore.
Innanzitutto il recupero del livello di competitività territoriale. «Noi ci rimbocchiamo le maniche per far sì che il Mezzogiorno diventi culla delle reti di green economy, dell’economia circolare, dell’industria legata ai servizi ambientali. In una parola un modello di industria mediterranea attrattore di una strategia di investimento mirata», ha detto Catanzaro ma non si va da nessuna parte se un’azienda non è messa nelle condizioni di lavorare o se per un’autorizzazione è costretta ad aspettare anni o se per ottenere il pagamento di una fattura è costretta ad aspettare anche 600 giorni, quando l’Unione europea prescrive che vengano pagate entro 30 giorni.
Altro concetto chiave: assicurare una continuità territoriale, senza la quale si assiste a una vera e propria perdita emergenziale di competitività. Vanno favoriti ingresso e uscita di merci e persone, agevolati trasporti e spostamenti. «Viaggiare da e per la Sicilia ha un costo non competitivo – ha spiegato Catanzaro –. Non possiamo parlare di un’Italia 4.0 quando i costi aerei non sono tariffe d’affari ma vacanza di lusso. Oneri insostenibili pure per le merci, che attraversano lo stretto con le navi. Dobbiamo inoltre difendere le buone pratiche che hanno aiutato la crescita: penso a Industria 4.0 e alla riforma del lavoro; allo stesso tempo dobbiamo avere chiare le proposte e l’azione per anticipare l’ecosistema del futuro in modo competitivo e sostenibile. In questo senso penso al ruolo strategico per il sostegno delle imprese in una visione di filiera produttiva attraverso le Reti d’Impresa, guidata da Antonello Montante».
La sfida di Gaetano Armao
Se Musumeci ha affidato a un documento le linee strategiche,l’assessore alle Attività produttive, Girolamo Turano, non parla perché vuole rispondere solo a domande scritte, il vicerè di Sicilia, Gaetano Armao, che in questa fase storica è anche il vicepresidente della Regione e assessore all’Economia, prende di petto la questione ed è già atterrato a Lugano. È lì il modello da copiare per attrarre nuovi investimenti e mettere le imprese che già ci sono in grado di fare il salto di qualità. «È necessaria un’agenzia per l’attuazione degli investimenti – spiega al Sole 24 Ore – con una soluzione come quella che in Ticino consente di concentrare processi e centri di responsabilità. Un’Agenzia che attrae investimenti consente di non girare sette chiese. La Sicilia è come le sabbie mobili e più ti muovi e più affondi. Ma lo sa che la Walt Disney voleva investire 150 milioni e non c’è riuscita per colpa della burocrazia?».
Il Sole 24 Ore ha chiesto a Musumeci un giudizio su questa idea ma la sua risposta ricade sulla piaga burocrazia: «Dobbiamo eliminare diseconomie ataviche: credito, banda larga, burocrazia, accessibilità ai luoghi di produzione. Nel contesto delle norme nazionali e regionali si tratta se possiamo creare un organismo interassessorile che consenta di rilasciare ogni autorizzazione nello spazio di poche settimane».
Basta dunque un’Agenzia, che verrebbe sì incontro alla richiesta pre-campagna elettorale di Sicindustria di un accorpamento delle competenze sparpagliate in almeno cinque dipartimenti ma i cui tempi di realizzazione corrono il rischio di impantanarsi in lotte intestine? No che non basta e così Armao rilancia sulla trasparenza della tracciabilità dei finanziamenti e sulla fiscalità di sviluppo. «Non abbiamo – dice – ostacoli di natura europea. Un antidoto alla corruzione e alla pressione mafiosa è l’amministrazione trasparente attraverso l’open governmemt, con il quale tutto può essere controllato facilmente. Il tema è attrarre investimenti e investimenti e investimenti. L’Irsap, l’Istituto per lo sviluppo delle aree produttive, è rimasto prigioniero del suo passato con una mole debitoria che ne ha pregiudicato lo sviluppo. Dobbiamo presentare aree industriali con infrastrutture e servizi».
Inevitabile la stoccata allo Stato, con il quale il contenzioso non finisce mai. «Lo Stato deve essere più performante con le agenzie che investono in Sicilia – spiega il vicepresidente – come Ferrovie, società aeroportuali e Anas. Le agenzie statali in Sicilia non hanno sempre un’attenzione uguale a quella che riversano in altre aree del Paese».
E se questa montagna di carte dovesse crollare? «Abbiamo preso un impegno – chiosa Armao –: se entro il 6 novembre 2018, a un anno esatto dalla vittoria elettorale, i tempi delle procedure per le imprese non si riducono del 50% noi alziamo bandiera bianca. Rassegneremo le dimissioni».
Vero? Falso? Pirandelliano.
.Guardie o ladri
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