il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2018
Tariffe del candidato, il Pd non fa sconti: fino a 50mila euro a seggio
In Piemonte, la direzione regionale del Pd si è anticipata. E il 2 dicembre scorso ha varato un regolamento finanziario, accompagnato da una delibera sulla “partecipazione alle spese della campagna elettorale per il rinnovo dei membri del Parlamento da parte dei candidati”.
C’è un vero “listino” che stabilisce quanto costa garantirsi un posto sicuro per i candidati democratici nella Regione: tutti quelli in posizione eleggibile “individuati, secondo modelli previsionali nazionali o regionali, all’atto della sottoscrizione dell’accettazione della candidatura, sono tenuti a contribuire ai costi della campagna elettorale”. Dunque, i parlamentari uscenti devono 50.000 euro, i Consiglieri regionali in carica che vogliono passare al Parlamento, 40.000, i candidati al primo mandato 30.000. Anche i candidati in posizione “non eleggibile” sono tenuti a contribuire alle spese, con un contributo di 1.000 euro. I candidati, che risultassero eletti inaspettatamente devono comunque versare il loro contributo. Ad esclusione dei candidati nei collegi uninominali. Questo perché i collegi sono per definizione contendibili. Peraltro, in Piemonte non ce n’è neanche uno considerato sicuro. La regola di chiedere un contributo ai candidati per la loro elezione in realtà per il Pd è in vigore già dal 2008. E non solo in Piemonte, ma nella maggior parte delle regioni. Ed è stata seguita – prima ed ora – anche dai partiti di centrodestra.
Si ragionava sul Porcellum, un sistema dove tutte le liste erano bloccate e i candidati “nominati” dai leader dei partiti. Con il Rosatellum, la situazione in parte cambia: perché i candidati veramente garantiti sono quelli che finiscono nei collegi plurinominali, ovvero nei listini proporzionali. Mentre i collegi sono tutti contendibili. “Noi di posti sicuri in Piemonte ne abbiamo 10-12. E quindi di soldi per fare la campagna elettorale ne avremo pochi, molti meno dell’altra volta”, spiega Domenico Mengone, tesoriere dem piemontese. Che infatti specifica due cose: “Gli eletti nei collegi dovranno comunque pagare il loro contributo di 750 euro (al mese, ndr) al Pd Piemonte”. E poi: “Chi corre in un collegio in un’altra regione, ma ha un posto sicuro in lista da noi, dovrà comunque pagare”. Molti hanno appena finito di pagare a rate il contributo per le elezioni del 2013. Perché poi oltre alla cifra d’ingresso e ai contributi mensili alla Regione, ogni parlamentare deve pagare 1500 euro al nazionale. Tra una tantum, contributi mensili locali e nazionali, un parlamentare dem nell’arco del suo mandato può arrivare a versare al partito 15omila euro.
Il regolamento del Piemonte è pronto, ma anche nelle altre Regioni si ragiona su criteri simili. Nel 2013 le cifre per un posto sicuro variavano, ma la media era di 35mila euro. Stavolta, in termini economici, le cose vanno decisamente peggio. Il Pd nazionale si trova a dover affrontare una campagna elettorale con le casse vuote, i dipendenti in cassa integrazione e un deficit di 9 milioni e mezzo di euro. A causa della campagna referendaria. Per questo, il tesoriere Francesco Bonifazi, da mesi sta andando a prendere uno a uno i parlamentari “morosi”. Per questo, al Nazareno vorrebbero tanto che i contributi “una tantum” non finissero ai partiti locali, ma al nazionale. Lo stesso Bonifazi, il 17 vedrà tutti i tesorieri regionali, nel tentativo di fare una regola condivisa. In Piemonte si sono comunque lasciati una possibilità di variazione, scrivendo “salve diverse disposizione degli organi nazionali del Pd”. Ma in realtà in tutte le Regioni i dem sono sul piede di guerra. Lo spiega lo stesso Mengoni: “In questi anni non sono arrivati trasferimenti dal nazionale”. Dunque, difficile pensare che possano rinunciare alle loro entrate a favore del Nazareno.
I vertici nazionali dem pensano a regole che siano assimilabili a quelle piemontesi: ovvero, si paga per i posti sicuri nei listini, non per la candidatura in un collegio. Anche se, per esempio, non è stata sciolto il nodo su come comportarsi con chi ha il “paracadute” e corre sia nel collegio, che nel listino.
Ma in generale, chi paga la campagna elettorale, in una fase in cui pure la fondazione Open, la storica cassaforte di Matteo Renzi, guidata da Alberto Bianchi, è a secco? Non è chiaro. Al Pd stanno lavorando a una piattaforma di crowdfunding. Quello precedente per il treno si è fermato a 55mila euro. Ma di questi tempi, evidentemente, è meglio di niente. Il segretario, nel frattempo, ha fatto sapere che intende andare casa per casa su una vespa blu. Dopo il camper e il treno potrebbe essere la nuova frontiera del renzismo.