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 2018  gennaio 12 Venerdì calendario

La beffa dei 500 dipendenti della Embraco di Torino, sostituiti da giovani operai

«Ora che mi hai insegnato il tuo lavoro, che farai?». Ci vuole una sottile perfidia per spedire un operaio con trent’anni di catena di montaggio nelle ossa in Slovacchia ad affossare il proprio mestiere.
Beppe Piazza l’aveva capito: era questione di tempo. Il suo collega slovacco aveva quel che a lui manca: un fisico non fiaccato da decenni di fabbrica; uno stipendio da 500 euro al mese, meno della metà del suo. Aveva solo un difetto: non sapeva come usare i macchinari. Ma per quello c’era Beppe: l’avevano mandato apposta, per addestrarlo affinché ne prendesse il posto.
Sapeva, Beppe. Ma non poteva fare altrimenti. E adesso è un uomo che si sforza di vivere senza rancori. «Non ho niente contro quei ragazzi. Non è colpa loro. Ma a questa fabbrica ho dedicato le mie mani e la vita». Ha passato ventisette anni nel capannone che da tre mesi presidia con i suoi colleghi. Sono 537. Ne resteranno 40, perché Embraco, azienda controllata dal gruppo Whirpool per cui produce compressori per frigoriferi, ha deciso che dello stabilimento di Riva di Chieri, trenta chilometri da Torino, non sa più che farsene. Licenziamento collettivo per 497 persone: ci sono 75 giorni per evitarlo ma poche speranze.
Chissà come ci si sente ad attraversare 38 anni di fabbrica, schivare crisi, cassa integrazione e ristrutturazioni aziendali, arrivare alla soglia della pensione proprio quando una legge sposta l’asticella («anche io devo ringraziare il governo Monti») e infine ritrovarsi a 56 anni, probabilmente senza stipendio ma con 5 anni e 6 mesi di lavoro davanti. Aveva 18 anni e un mese, Beppe Piazza, quando ha messo piede per la prima volta in una fabbrica. A Riva di Chieri è arrivato nel 1990: sei anni prima Fiat aveva venduto l’Aspera alla Whirpool. Altri tempi: c’erano 2.200 dipendenti. Altri ritmi: «Ai pistoni eravamo in venti». È cambiato tutto: Aspera è diventata Embraco, «io che guidavo una squadra di operai, ora gestisco me stesso: siamo rimasti in due a fare lo stesso lavoro per cui servivano venti persone».
Le macchine che Beppe Piazza sorveglia sputano 1.200 pezzi all’ora ma sono progettate per mille. All’Embraco gli ultimi dodici anni sono stati così: una continua rincorsa, uno stabilimento sottoposto a una sistematica e strisciante pressione. «Dovevamo dimostrare di essere più bravi degli altri: slovacchi, cinesi, messicani. Giocavano sulla nostra precarietà. Altrimenti si va tutti a casa, dicevano». E allora si spaccavano le mani: 9 mila pezzi su tre turni e se un addetto si ammalava gli altri due facevano in modo di farne uscire 7.500. «Nessuno può dire che siamo stati obbligati. Ma nessuno può negare che siamo stati tenuti sotto scacco».
Una corsa estenuante, a rosicchiare margini di produttività per tenere in vita la fabbrica. «Se siamo arrivati fin qui è solo grazie alle nostre mani». Se li ricorda i rinfreschi organizzati per festeggiare un altro record della catena di montaggio. Eppure non bastava mai. Nel 2010 il prezzo da pagare è stata la rinuncia al 20 per cento dello stipendio. «Ci siamo riuniti in assemblea: se non si accetta lo stabilimento chiude».
Hanno prolungato di sette anni una lenta agonia. Due giorni fa hanno saputo che per loro non c’è più posto. Whirpool, però, l’aveva già comunicato alla Sec, l’organismo che vigila sui mercati americani. «Mi viene da ridere: ogni anno dovevamo compilare un questionario pieno di domande sull’etica dei rapporti in fabbrica. Adesso, eticamente, ci fanno sapere che vogliono licenziarci una settimana dopo averlo deciso».
Piazza è diventato nonno qualche mese fa. «Mio figlio grande ha 26 anni, gli rinnovano il contratto di anno in anno. Il più piccolo ne ha 21: ha un contratto di sei mesi. Meno male che c’è mia moglie». Lavorava in Embraco, quando ha capito che tirava una brutta aria se ne è andata. Ha fatto il corso da operatore socio-sanitario, lavora in ospedale. «Ha avuto coraggio, è ripartita da zero». Lui no. È rimasto nella sua fabbrica a insegnare ai ragazzi slovacchi come prendere il suo posto.