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 2018  gennaio 11 Giovedì calendario

APPUNTI SU MACRON PER GAZZETTA

MARCO GALLUZZO, CORRIERE.IT –ROMA — Ringrazia l’Italia per il ruolo «dinamico» che ha assunto in Europa, per i successi e il coraggio nella gestione delle politiche migratorie, per l’invio di un contingente di soldati in Niger, definisce addirittura «complementare» il rapporto fra Roma e Parigi, rispetto a quello che i francesi hanno con Berlino. Emmanuel Macron, a Palazzo Chigi, al termine dell’incontro con il presidente del Consiglio, è ottimista e soprattutto prodigo di complimenti. Sino a formalizzare un vero e proprio endorsement per Paolo Gentiloni: «L’Italia entra in un periodo elettorale, vorrei sottolineare quanto sono stato contento di lavorare con il premier Gentiloni. Spetterà al popolo italiano decidere ed esprimersi ma consentitemi di dire che l’Europa ha avuto molta fortuna ad avere Paolo Gentiloni. Mi auguro che potremmo continuare il lavoro che abbiamo cominciato». 

La visita alla Domus Aurea

Difficilmente un capo di Stato o di governo interviene in materia così netta, con un giudizio molto preciso, nella campagna elettorale di un altro Paese. Quello di Macron è dunque un piccolo strappo al protocollo. Nel corso dell’incontro si è anche parlato dei lavori per arrivare alla firma di un Trattato bilaterale sulla falsariga di quello fra Germania e Francia del 1963: «L’obiettivo comune è poterlo concludere nel prossimo vertice bilaterale che si terrà in Italia nel 2018», ha aggiunto Macron. Dopo l’incontro a Palazzo Chigi il presidente francese ha vistitato la Domus Aurea, ha ammirato, ma in questo caso si è anche un po’ lamentato: «È magnifica, ispira molta ammirazione ma anche molta umidità!». La visita è stata compiuta insieme a Gentiloni e al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Ancora Macron: «Mi è piaciuto rivedere il periodo di Nerone, il lavoro degli archeologi, degli architetti ma anche dei tecnici che ci hanno permesso di vederla con la realtà aumentata, è una testimonianza del genio europeo, è assolutamente favolosa». 



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LASTAMPA.IT –«L’Italia nel 2017 ha fatto un ottimo lavoro, cui rendo omaggio, per ridurre la stabilizzazione causata dal fenomeno migratorio». Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in conferenza stampa a palazzo Chigi, al termine dell’incontro bilaterale con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, plaude all’impegno del Paese: «Esprimo tutto il mio rispetto per il lavoro condotto e la qualità della cooperazione che abbiamo avuto» ha aggiunto, sollecitando un percorso normativo comune. E parlando delle prossime elezioni elogia direttamente il presidente del Consiglio: «Spetterà al popolo italiano esprimersi» al voto del prossimo 4 marzo, «mi guardo bene dal farlo io, ma consentitemi di dire che l’Europa ha avuto molta fortuna ad avere Gentiloni in questa funzione» dice. 

’annuncio è quello dell’istituzione di un trattato del Quirinale: «Giorno dopo giorno quello che facciamo è importante e non è inferiore ma complementare al rapporto franco-tedesco - dice Macron -. Abbiamo voluto dargli una forma nuova. E l’obiettivo è strutturarlo, come è per il Trattato di Versailles con Berlino, per poter dare nuove prospettive, nuove forme di cooperazione che ci consentano di andare oltre». Il lavoro sarà concluso nel prossimo vertice bilaterale in Italia nel 2018. Il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia è «un piccolo fatto di importanza storica» dice il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. «Italia e Francia rinnovano la loro fortissima e tradizionale amicizia proiettandola sull’avvenire dell’Europa. In questo avvenire c’è un grosso impegno sui beni comuni, i beni pubblici europei, difesa, sicurezza, politiche migratorie comuni», sottolinea. 

 

Gentiloni: “Con Francia e Germania per Europa più ambiziosa”  

«Sul trattato del Quirinale penso che Macron abbia detto molto bene che non possiamo paragonare cose che avvengono in contesti completamente diversi - sottolinea il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni -. Il trattato dell’Eliseo tra Francia e Germania fa parte della stagione fondatrice dell’Europa, noi facciamo un’operazione di formalizzazione della nostra collaborazione che è rivolta al futuro. Penso sia di un’importanza notevole. Tra qualche anno forse si potrà dire che è stata storica. Certamente Italia, Germania e Francia hanno bisogno di essere tra i promotori di un’Europa più ambiziosa e dentro questo progetto il fatto che tra i nostri due Paesi si strutturi meglio la collaborazione è assolutamente fondamentale». «Da ministro degli Esteri invidiavo ai rapporti tra francesi e tedeschi lo scambio permanente di funzionari tra i due ministeri. È una forma strutturata di collaborazione che in parte abbiamo già tra i nostri due Paesi, ma che dobbiamo enormemente rafforzare. Il passo che oggi annunciamo avrà importanza notevole», conclude.  

“Dare una prospettiva all’Europa perché torni sovrana”  

Ha spiegato Macron che «la Francia sta procedendo nel mettere a punto delle riforme con i partner europei, perché al momento c’è un sistema con delle lacune». Il capo dell’Eliseo è sicuro che «Italia e Francia riusciranno ad armonizzare i sistemi di accoglienza e di asilo». L’Europa deve tornare «sovrana», ha aggiunto. «Dobbiamo renderla una vera e propria potenza, ed in molti versanti: una potenza digitale, ambientale, e così via. Dobbiamo darle prospettiva per i prossimi 10 anni. Se è stata balbuziente, questa Europa, è proprio perché non aveva tale prospettiva». Tra Italia e Francia, ha aggiunto, c’è «un legame più forte, che consente la stabilizzazione in Libia. Mi rallegro della collaborazione di ottima qualità nel lavoro di contrasto allo scandalo umanitario in Libia. E continueremo a lavorare in modo più efficace contro i trafficanti di esseri umani, armi e droghe, in particolare nell’area sahel-sahariana».  

 

“Cultura ed educazione fondamentali”  

«Quando parlo dell’unità dell’Europa, la base che la cultura e l’educazione rappresentano è fondamentale. Perciò stamattina siamo andati alla Domus aurea» ha raccontato Emmanuel Macron, sottolineando tra l’altro che il suo governo si è «ispirato» al bonus culturale italiano «e l’Italia si ispira a noi» a livello legislativo «per il mondo del cinema».  

 

“Avanti a più velocità senza escludere nessuno”  

Sull’Europa a più velocità «dobbiamo essere realisti - commenta il premier Gentiloni-, nella discussione, che abbiamo fatto dieci mesi fa, in preparazione dei trattati, per mettere una frase sui diversi livelli di integrazione c’è stata una trattativa molto complicata, non è stato facile. Capisco benissimo che di fronte a questo discorso in astratto ci possa essere una reazione di qualche Paese che possa sentirsi escluso. Ma sia chiaro che i processi non escludono nessuno». «Il messaggio che viene dal nostro incontro è che nessuno viene escluso, ma che i percorsi vadano avanti: il processo non può essere condizionato dal vagone più lento del nostro treno. Senza fughe in avanti, con apertura larghissima, Italia e Francia andranno avanti con la Germania e altri Paesi».


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REPUBBLICA.IT –

Un faccia a faccia durato più di un’ora quello tra Emmanuel Macronin visita oggi a Roma e Paolo Gentiloni, nell’appartamento del premier a Palazzo Chigi. E’ stato uno scambio reciproco di lodi e commenti positivi sui rapporti tra i due rispettivi Paesi. "Con la Francia abbiamo rapporti importanti, storici e straordinari -  ha detto Gentiloni - L’incontro di oggi è stata un’occasione per rinnovare i nostri impegni bilaterali. C’è una cooperazione economica molto importante. Ci sono molti investimenti e abbiamo scambi commerciali per un volume intorno agli 80 miliardi. La Francia è il secondo partner dell’Italia e l’Italia della Francia."

• IL TRATTATO DEL QUIRINALE
"Il passo che oggi annunciamo avrà un’importanza notevole" ha sostenuto Gentiloni riferendosi al trattato al quale lavorano Italia e Francia. "Vogliamo dare una cornice più stabile e ambiziosa ai nostri rapporti - ha continuato - Abbiamo deciso di mettere al lavoro un gruppo di persone per un trattato che può rendere ancora più forte e sistematico le nostre relazioni. E’ un trattato rivolto al futuro che può essere un contributo anche per il futuro della Ue. Un Trattato bilaterale italo-francese". Il rapporto tra Roma e Parigi sarà "strutturante ma non esclusivo - ha replicato Macron - Avrà ottica europea e sarà complementare al rapporto franco-tedesco. Quando Francia e Germania non riescono a mettersi d’accordo l’Europa non può andare avanti. Ma quel rapporto non è esclusivo. Il legame con l’Italia ha un’altra storia, legami culturali, un’amicizia speciale e specifica. E non è in concorrenza né inferiore ma perfettamente complementare con quello franco-tedesco. Il rapporto è forte a tutti i livelli e abbiamo voluto dargli una forma nuova con il Trattato del Quirinale".

• UNIONE EUROPEA
Macron: "Vogliamo rendere l’Europa più sovrana, unita e democratica. Negli ultimi anni è stata balbuziente perché mancavano le prospettive a lungo termine." E il presidente del Consiglio ci ha tenuto a sottolineare: "Credo che ci sia da prendere atto di una crescente domanda di Europa nel mondo che ci circonda, a partire dai Balcani e dal Mediterraneo, dove una presenza forte del modello europeo è richiesta. Ma è forte anche più in là dei confini della nostra regione. L’Europa ha un compito fondamentale per i grandi accordi globali, da quelli sul clima alla lotta contro il terrorismo e per la difesa delle libertà. A questa domanda di Europa cercheremo, con il rafforzamento di relazioni storiche tra Francia e Italia che è difficile rafforzare più di così, di dare un contributo nei prossimi mesi. . Europa che Macron ha definita "balbuziente" perché priva di una prospettiva comune".

• MIGRANTI
"Abbiamo ottenuto risultati importanti nel 2017 nel contrasto ai trafficanti di esseri umani, siamo orgogliosi dei risultati e pensiamo che le politiche europee debbano andare avanti in questa direzione" ha detto Paolo Gentiloni soddisfatto, a cui ha fatto eco Macron, nel corso della conferenza stampa congiunta, che ha elogiato l’Italia: "Avete fatto un ottimo lavoro nel 2017, cui rendo omaggio, per ridurre la destabilizzazione causata dal fenomeno migratorio. Ha tutto il mio rispetto per il lavoro condotto. Voglio rendere omaggio anche alla decisione dell’Italia per la missione in Niger. So che ha creato tanto dibattito, ma risponde a impegni già assunti, coerenti con l’insieme della politica migratoria e di sicurezza comune".

E ha lanciato un progeto comune affermando: "Dobbiamo dare una risposta strutturata e solidale al fenomento migratorio, chiarendo e armonizzando le regole. In qusto senso la Francia sta procedendo nel mettere a punto delle riforme con i partner europei, perché al momento c’è un sistema con delle lacune. E sono sicuro che Italia e Francia riusciranno ad armonizzare i sistemi di accoglienza e di asilo". L’unità di intenti nell’affrontare il fenomeno migratorio è stato quindi riconfermato anche da Gentiloni, che ha sottolineato: "Credo che l’unica cosa che non possiamo promettere

ai cittadini europei è che il problema dei grandi flussi migratori si possa eliminare rapidamente con chissà quale ricetta miracolosa. Il problema è gestire le migrazioni e bisogna farlo insieme".  


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ILSOLE24ORE.COM –

Credo sia molto importante che alle relazioni storiche tra Italia e Francia abbiamo deciso di dare una cornice più stabile e più ambiziosa con l’idea, già emersa nel vertice di Lione e che in questo incontro abbiamo messo a fuoco, di mettere al lavoro un gruppo di persone per un Trattato bilaterale italo-francese. Cooperiamo da sempre in modo straordinario ma siamo convinti che possa rendere ancora più forti e sistematiche le nostre relazioni». Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha commentato nella conferenza stampa a Palazzo Chigi l’accordo con il presidente francese Emmanuel Macron di arrivare entro il prossimo vertice bilaterale alla sigla di un trattato, definito “del Quirinale” che dia maggior forza e spessore alle relazione bilaterali. Macron la mattina aveva incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e ieri aveva partecipato al summit Med-7 a Villa Madama.


Migranti: a ognuno la propria responsabilità 

«Quello che non possiamo dire ai cittadini europei è che il problema dei flussi migratori si

possa improvvisamente cancellare. Dobbiamo accogliere i rifugiati che hanno diritto d’asilo, dobbiamo velocizzare le procedure e dobbiamo trasformare il grande fenomeno migratorio che viene dall’Africa da fenomeno complementare e illegale a fenomeno gestibile, sicuro e legale. Il che vuol dire che i flussi devono diminuire perché non è possibile avere flussi gestibili con numeri enormi», ha detto Gentiloni. «Non possiamo promettere ai cittadini europei che il problema dei grandi flussi migratori si possa cancellare rapidamente con chissà quale ricetta miracolosa: il problema è gestire il problema e farlo insieme. La cooperazione tra Italia e Francia mi sembra un modello». E ancora: «È una strategia complessa - sottolinea Gentiloni - che non si risolve in pochi giorni o settimane ma due cose sono chiare: abbiamo fatto passi avanti significativi e nessuno in Europa si può sottrarre alla responsabilità di dare un contributo. Nessuno si può sottrarre ai principi di solidarietà e civiltà dell’Ue, non solo per i rifugiati. Ci lavoreremo nei prossimi mesi».

Macron: bene missione Italia in Niger 

E Macron ha plaudito alla decisione italiana di inviare un contingente militare in Niger: «Rendo omaggio all’annuncio dell’Italia di un dispiegamento militare sostanziale in Niger nell’ambito degli impegni già assunti. So che ci sono state discussioni ma è importante perché è coerente con la politica migratoria e di sicurezza comune». Inoltre tra Italia e Francia c’è «un legame più forte, che consente la stabilizzazione in Libia. Mi rallegro della collaborazione di ottima qualità nel lavoro di contrasto allo scandalo umanitario in Libia. E continueremo a lavorare in modo più efficace contro i trafficanti di esseri umani, armi e droghe, in particolare nell’area sahel-sahariana».

Gentiloni: speriamo resti sostegno a progetto Ue 

«Non abbiamo parlato di politica interna con il presidente Macron. Certamente tutti noi speriamo che nei nostri Paesi ci sia con grandissima forza una posizione a sostegno della prospettiva e del progetto europeo. Ma questo è un orizzonte, non una posizione di politica interna» dice Gentiloni rispondendo a chi gli domanda se abbia parlato con il presidente francese delle prossime elezioni politiche e dei rischi di instabilità in Italia. Macron spende parole molto chiare per l’attuale leadership che esprime il governo: «L’Italia entra in un periodo elettorale e vorrei sottolineare quanto sono stato contento di lavorare con Gentiloni, la sua azione in Italia, in Europa, con la Presidenza del G7 e al Consiglio di sicurezza dell’Onu ha consentito di avviare una nuova dinamica. Spetterà al popolo italiano esprimersi, decidere – ha voluto precisare Macron - ma consentitemi di dire che l’Ue ha avuto molta fortuna ad avere Gentiloni in questi ultimi mesi. Un’Italia che crede nell’Ue è positiva per l’Europa, il mio auguro è che potremo continuare il lavoro che abbiamo cominciato».

Il rischio populismo cresce senza ambizioni 

Non ha l’impressione che l’Europa senza le avanguardie nutra i populismi? Viene chiesto a Macron. «È per aver abbandonato l’ambizione che abbiamo lasciato crescere i populismi» risponde il presidente francese. «Abbiamo bisogno di un’Europa più unita. I processi di armonizzazione consentiranno di ridurre i populismi perché i populismi si nutrono di cose che non si riescono a spiegare», sottolinea. «L’Europa ha mancato di solidarietà nella gestione della crisi e di spirito democratico. Avere un’Europa più sovrana, unita e democratica, credo sia una politica che ridurrà gli estremismi, i movimenti che cercano di fratturare l’Europa e ripiegarci verso i nazionalismi». «Serve un’Europa - ribadisce - più democratica, con liste europee che consentiranno di prendere atto della forza di un demos europeo».


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IL SOLE 24 ORE 28/12 –

un’opinione pubblica sempre molto sensibile nei confronti degli impegni militari all’estero - l’ultima smentita del Governo è del maggio scorso -, il progetto di una missione italiana in Niger sta per diventare realtà. La decisione del Consiglio dei ministri di approvare il decreto che dà il via libera alla spedizione - a regime saranno coinvolti 470 militari -è solo l’ultima tappa di un percorso, graduale, che ha visto questo Stato dell’Africa occidentale, paese di transito nelle rotte migratorie e crocevia dei traffici trans-sahariani, sempre più al centro dell’attenzione dell’Italia. È una novità rispetto al passato: tradizionalmente la politica estera italiana si è focalizzata nel Corno d’Africa, in Mozambico e nell’Africa australe, mentre la parte occidentale del Continente non è stata presa in considerazione, probabilmente perché “dominio riservato” della Francia, l’ex madrepatria. 

Niger area nevralgica per il flusso di migranti 
La partita che si gioca, e che oltre a Roma vede in campo altri player - a cominciare dalla Francia, ma anche Stati Uniti e Germania - è quella che punta a ridurre il flusso di migranti diretti verso il Vecchio Continente. Considerata la collocazione geografica dell’Italia, in prima linea nella gestione dei flussi, è facile intuire l’importanza che questa operazione di stabilizzazione riveste nell’agenda di politica estera del paese. La missione partirà col nuovo anno, dopo il via libera del Parlamento. Inizialmente gli italiani - potrebbero essere i parà della Folgore i primi a partire - lavoreranno a Niamey, capitale del paese africano, insieme ai francesi, presenti nell’area del Sahel con gli oltre 3mila militari dell’operazione “Barkhane”.

La minaccia terroristica e il G5 Sahel 

Connessa alla gestione dei flussi di migranti che da Agadez risalgono verso la Libia attraverso i territori desertici ad oggi poco controllati è l’altra faccia della medaglia: la minaccia terroristica globale, costituita dalla presenza in Niger di terroristi legati ad al-Qā‘ida ea Boko Haram. Il G5 Sahel, il team speciale antiterrorismo composto da militari di Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad, nonostante sia stato istituito nel 2014 stenta a decollare per mancanza di fondi adeguati.

Ottobre 2016: il Cdm decide di aprire una ambasciata a Niamey 

L’interesse dell’Italia per il Niger risale, almeno, all’ottobre del 2016, quando il Consiglio dei ministri allora presieduto da Matteo Renzi (Paolo Gentiloni era ministro degli Esteri) decise di aprire una ambasciata a Niamey (la rappresentanza diplomatica è stata poi aperta nel febbraio di quest’anno). Una nota della Farnesina di quei giorni spiegava che «l’apertura di un’ambasciata in Niger assicura all’Italia un rilevante vantaggio operativo, alla luce delle dinamiche che interessano il Sahel, con ripercussioni sotto il profilo della sicurezza in Italia e in Europa». Un anno dopo, a ottobre 2017, a seguito di un accordo di cooperazione tra Italia e Niger sottoscritto a Roma, fonti militari hanno annunciato l’invio di una decina di addestratori e di alcuni soldati.

Gentiloni: intervento richiesto dal Niger a inizio dicembre 

Negli ultimi giorni il processo che condurrà i militari italiani in questo paese di transito dei migranti ha registrato un’accelerazione. Durante la conferenza stampa di fine anno, Gentiloni ha spiegato che «andiamo in Niger in seguito a una richiesta del governo locale pervenuta a inizio dicembre per un contributo italiano a fare le cose che normalmente facciamo in questi paesi, come ad esempio in Libia: consolidare gli assetti di controllo del territorio e delle frontiere e rafforzare le forze di polizia locali».

Il vertice di La Celle Saint-Clod: Gentiloni annuncia la missione 

Durante il vertice che si è tenuto il 13 dicembre nel castello di La Celle Saint-Cloud, alle porte di Parigi, e che ha visto la presenza del presidente francese Emmanuel Macron, Gentiloni ha annunciato che «nelle prossime settimane, dopo l’approvazione del Parlamento, cominceremo con una missione di addestramento delle forze nigeriane che parteciperanno alla forza congiunta del G5 Sahel. Oggi, la penultima tappa: il via libera del Consiglio dei ministri. In attesa del semaforo verde della Camere. In regime di prorogatio.


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HUFFINGTONPOST.IT –

C’è un motivo preciso per cui è importante il discorso dell’autunno scorso di Emmanuel Macron alla Sorbona. È frutto di una strategia che guarda lontano.

Quest’anno cadono tre anniversari storici per la Francia: i cento anni della pace siglata con la Germania e l’Inghilterra dopo la prima guerra mondiale (11 novembre 1918), i sessant’anni dalla nascita della quinta repubblica che garantisce da allora stabilità di governo (4 ottobre 1958) e il mezzo secolo dal maggio del ’68, che ha sancito l’ingresso nell’era contemporanea di tutte le democrazie occidentali.


E il presidente della Repubblica vuole celebrarli in anticipo, brindando a un accordo che almeno nei suoi piani può diventare storico. Il prossimo 22 gennaio 2018 i parlamenti francese e tedesco ratificheranno l’intesa per un’integrazione tra i due paesi ancora più forte.


Qualcuno pensa che sarà difficile, visto che la Germania, a cento giorni dalle elezioni, è ancora priva di un governo, e la Francia soffre di un sovranismo orfano di De Gaulle, ancora tutto da rieditare in chiave macroniana.


Altri, e chi scrive è tra questi, temono invece che questa alleanza, che vuole rinvigorire lo storico Direttorio Parigi-Berlino che regge da sempre le sorti dell’Unione Europea, sia un modo, nel sedicesimo anniversario della nascita dell’euro, per costruire un mercato unico a loro immagine e somiglianza, con la garanzia che se un domani tutta l’architettura imploderà, ci sarà comunque un asse intorno al quale far ruotare le due principali economie del continente.


Con l’Italia a far da spettatrice o peggio, da ruota di scorta. In questo senso suscita sconcerto e preoccupazione che nessun partito abbia colto l’importanza di questo avvenimento che può cambiare tutto. Mentre i politici italiani si accapigliano per il costo dei sacchetti di plastica e fanno a gara per promettere riforme impossibili, i loro colleghi francesi e tedeschi si impegnano oggi per una strategia comune domani. Con un’aggravante per noi.

Gli italiani sono formiche ma vengono trattati come delle inguaribili cicale cui non interessasse il ruolo del loro paese in Europa e nel mondo, quando potrebbero rappresentarne una forza trainante. L’inizio della campagna elettorale del paese col terzo debito ma non la terza economia del mondo, gli ha già regalato una serie di perle da sperperare appena rientrati dal seggio.

Pensioni minime più alte e uscite più vicine, abolizione senza copertura della legge Fornero, flat tax, reddito di cittadinanza o di dignità che dir si voglia, eliminazione del canone Rai e delle tasse universitarie e a breve, c’è quasi da scommetterci, anche del bollo auto. Nessuno che abbia proposto ai connazionali cui chiede il voto cosa fare dal 5 marzo in poi: continuare a vivere di export grazie alla forza delle Pmi e di improvvisazione nello scacchiere mondiale o mettere a punto una nuova programmazione economica degna di un grande stato?

Non che sia un peccato provare a migliorare il benessere di 60 milioni di persone ma non basterebbe Freud per spiegare questa rimozione collettiva del problema dei problemi: l’enorme debito pubblico. Su cui, una volta siglata l’alleanza, né Macron né Angela Merkel o chi per lei, saranno poi disposti a fare sconti a Roma, orfana a breve anche dell’ombrello del Quantitative Easing della Bce.

L’unica vera promessa sottintesa dagli appena abbozzati programmi di tutti i partiti, dal centrodestra al centro sinistra, passando per il Movimento Cinque Stelle, è infatti quella di aumentare inevitabilmente l’indebitamento. L’ex commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, ha utilizzato un’immagine perfetta per descrivere il momento. "Il debito pubblico italiano è di 2.260 miliardi di euro. Se mettessimo una sopra l’altra 2.260 miliardi di monete da 1 euro, potremmo costruire 13 torri tra la Terra e la Luna.La quattordicesima è in fase di completamento", ha detto l’uomo del Fondo monetario, oggi presidente dell’Ossevatorio CPI.


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VITTORIO E. PARSI, AVVENIRE 11/1 –

È senza dubbio un positivo segnale di attenzione e considerazione nei confronti dell’Italia quello lanciato da Emmanuel Macron con la proposta di un "Trattato del Quirinale" che, sulla falsariga del celebre "Trattato dell’Eliseo" firmato da Francia e Germania nel 1963, consenta un maggior coordinamento delle politiche dei due Paesi. Il presidente francese sta reagendo da par suo, con indubbio attivismo e "ritmo", all’evidente tendenza allo sfarinamento del quadro europeo. Un’involuzione che è ingigantita dalle incertezze sul futuro politico della Germania e che è intollerabile di fronte alla deriva americana e all’assertività russa. L’Europa si trova infatti di fronte a due prospettive: di crescente irrilevanza internazionale per l’incapacità di assumere concrete posizioni comuni, soprattutto in ambiti e aree dove i rischi sono maggiori (Medio Oriente e Africa subsahariana, migranti, sicurezza delle frontiere) e di bicefalismo, con il gruppo dei Paesi mitteleuropei che tira in una direzione diversa rispetto alle posizioni, peraltro sovente statiche, del club dei vecchi soci fondatori. Sullo sfondo, solo per ricordarlo, c’è la questione della Brexit, le cui conseguenze sulla Ue sono tutt’altro che evidenti.

Si spiega così, l’accordo di "superintegrazione" tra Francia e Germania, che verrà ratificato dai Parlamenti francese e tedesco, su una serie di questioni che riguardano soprattutto l’ambito economico, della regolamentazione dei rapporti di lavoro e della contrattualistica più in generale. Non altrettanto ambizioso, ma inscritto nella stessa logica, è quanto sembra essere ricercato con l’Italia, anche perché al momento, le relazioni tra i due Paesi in campo finanziario e industriale hanno subito qualche scossone: dal caso Vivendi-Finivest a quello, a ruoli invertiti, che ha riguardato la proposta di acquisizione dei cantieri navali Stx da parte di Leonardo (l’ex Finmeccanica). I francesi amano fare shopping nella Penisola, ma non ricambiano la prospettiva reciproca con altrettanta amabilità. Gli italiani si sono accorti tutto d’un tratto che dopo il settore bancario-assicurativo e quello agro-alimentare anche la comunicazione poteva finire nel portafoglio di Parigi. Quindi un quadro che regoli di fatto bilateralmente una serie di questioni aperte e le molte possibili che potrebbero aprirsi in futuro è quanto mai opportuno.

Ma al di là di questo, come si diceva, c’è la volontà francese di consolidare i Paesi della "vecchia Europa" per farne il nucleo duro, di tenuta rispetto alle trazioni di quelli della "Nuova Europa", per poter rilanciare nella direzione dell’europeismo caro all’Eliseo la politica, interna e internazionale, dell’Unione. Sul primo campo, l’intesa appare meno complicata, pur nella consapevolezza che la questione dei migranti continua a rappresentare un oggettivo macigno sulla strada della più forte cooperazione. D’altronde l’idea del presidente francese di una collettiva e comune assunzione di responsabilità per la sicurezza della frontiera esterna dell’Unione appare il solo modo per uscire dall’impasse e per riconoscere la natura interna e internazionale che il tema della migrazione riveste. Sul secondo, nonostante il recente accordo per l’invio di truppe italiane in Niger che innegabilmente presenta inconsuete ambiguità e comporta rischi, Parigi rappresenta un perno essenziale di una necessaria politica comune dell’Unione. Certo, occorre evitare di finire con ciò schiacciati sugli specifici (e ancora cospicui) interessi nazionali francesi, soprattutto in Africa, ma non è facile trovare prospettive alternative. È un esercizio di sano realismo, che del resto è lo stesso che ha guidato l’azione di Gentiloni a Palazzo Chigi e prima alla Farnesina, ogniqualvolta la sinergia tra Roma e Parigi era possibile per una effettiva sintonia di valori, obiettivi e metodi.

Dato che siamo in piena (e finora pessima per quanto riguarda l’atteggiamento verso l’Europa) campagna elettorale, vale la pena concludere sottolineando che nella proposta francese non c’è nessuna idea né di sostituire un’intesa italo-francese all’asse franco-tedesco (che resta saldo nonostante la ’vacanza’ della Merkel) né di allargare a Roma il direttorio rappresentato da Berlino e Parigi. Ma è indubitabile che sia nell’interesse italiano ricercare un’intesa tanto con la Francia quanto con la Germania. Oltre tutto, oggi più che mai, l’inquilino dell’Eliseo è il solo di cui conosciamo l’identità per i prossimi anni, mentre non altrettanto possiamo dire per chi siederà a Palazzo Chigi o al Palazzo della Cancelleria.


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MARCO GALLUZZO, CORRIERE DELLA SERA 11/1 –

Entro la fine dell’anno Italia e Francia firmeranno un Trattato di collaborazione strategica sulla falsariga di quello che Berlino e Parigi hanno approvato nel 1963 all’Eliseo. La notizia è emersa ieri a margine del vertice dei Paesi europei del Mediterraneo, tenutosi a Villa Madama. Sarà un gruppo di lavoro, formato da 8 membri, quattro per Paese, a definire i tratti dell’intesa istituzionale. 

L’idea è stata di Paolo Gentiloni, che ne parlò con il presidente francese a settembre dell’anno scorso, a Lione. L’obiettivo è quello di recuperare un gap: se Francia e Germania da almeno 50 anni fanno asse in modo strutturato, sistemico, con scambi di funzionari e persino un Consiglio bilaterale di sicurezza e difesa che si riunisce due volte l’anno, finendo anche per veicolare le strategie della Ue, quella fra Parigi e Roma è una relazione che conosce alti e bassi a seconda delle stagioni, e che sicuramente appartiene ad una categoria inferiore.

Toccherà ora ai due sottosegretari che hanno le deleghe per l’Europa, per noi Sandro Gozi, e ad altri sei membri, mettere giù una bozza che poi dovrà essere vagliata ai più alti livelli politici. Palazzo Chigi avrebbe già individuato in Franco Bassanini e Paola Severino — ex ministri ed esperti di diritto, oggi rispettivamente consulente speciale del capo del governo e rettore della Luiss — e nel diplomatico Marco Piantini, già al Quirinale e oggi consigliere del premier per gli Affari europei, i tre italiani. I francesi devono ancora decidere. Convergenza delle politiche economiche, dimensione europea della Difesa, politiche migratorie, protezione dell’ambiente e politiche culturali, saranno i pilastri di un Trattato che sia Macron che Gentiloni vogliono snello ed essenziale, e che potrebbe essere firmato a fine anno al Quirinale.

Nel vertice dei 7 Paesi a Villa Madama, insieme ai capi di governo di Spagna, Cipro, Malta, Grecia e Portogallo, si è discusso in primo luogo delle riforme della governance della Ue e di politiche migratorie. Nelle dichiarazioni alla stampa, prima della cena, Paolo Gentiloni, che ha fatto gli onori di casa, ha rimarcato che «la domanda di Europa a livello globale e il momento positivo per tutte le economie europee fanno sì questo sia il momento giusto per fare uno sforzo per una maggiore coesione: questo vertice vuole ridurre le differenze tra nord e sud Europa, tra est e ovest, e il momento per farlo è questo in cui la congiuntura economica consente investimenti sul futuro». 

Il presidente francese, che oggi sarà ricevuto al Quirinale, ha invece convinto gli altri leader, e fatto inserire nelle conclusioni finali, che «è arrivata l’ora di sentire i cittadini sul futuro dell’Ue, con consultazioni su tutti i temi principali». Sì da parte dei 7 anche alle liste transnazionali per le elezioni del Parlamento europeo, convinti che questo possa «rafforzare la democrazia dell’Ue».


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DINO MARTIRANO, CORRIERE DELLA SERA 10/1 –

Anche se le Camere sono sciolte, l’Aula di Montecitorio è convocata mercoledì 17 gennaio in «seduta straordinaria» per votare la deliberazione del consiglio dei Ministri del 28 dicembre che proroga 49 missioni internazionali già in corso e autorizza l’invio di 470 soldati in Niger, lungo una delle principali rotte desertiche dei trafficanti di esseri umani, dove da anni già operano i francesi e, in parte, anche i tedeschi. 

L’annuncio della nuova, impegnativa missione in Africa era stato dato a Parigi dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, in occasione della sua ultima visita all’Eliseo. Poi, a fine anno, c’è stata la deliberazione del governo che avrebbe anche potuto essere ratificata dalle commissioni Esteri e Difesa se ieri non si fossero messi di traverso M5S, Si, LeU e Lega: senza unanimità, infatti, è saltata la sede deliberante per le commissioni congiunte e così l’atto di indirizzo del Parlamento dovrà essere votato dall’Aula. 

Ettore Rosato, capogruppo del Pd, si è espresso contro il voto in Aula «visto che le Camere sono state sciolte» dal presidente della Repubblica il 28 dicembre. Al Senato. invece, il regolamento è più rigido e grazie all’asse Partito democratico-Forza Italia sarà molto difficile che si raggiunga il quorum di un terzo dei componenti delle commissioni congiunte per chiedere il voto in Aula.

La nuova missione nell’ex colonia francese impegnerà i soldati italiani nella capitale Niamey — dove verranno addestrate le tre forze di polizia nigerine: Gendarmerie, Police Nationale, Garde Nationale — e nella zona di confine con la Libia (presumibilmente a Fort Madama, l’avamposto controllato dalla Legione straniera francese), lungo la rotta delle carovane dei trafficanti di esseri umani. I soldati impegnati saranno quasi 500, 130 i mezzi terrestri, due gli elicotteri. Per una spesa complessiva (fino al 30 settembre) di 30 milioni di euro.

L’area di intervento comprende anche la Mauritania, la Nigeria e il Benin per attività antiterrorismo contro Boko Haram. Il porto di Cotonou (Benin) potrà esser usato come principale punto di imbarco e sbarco con linee di comunicazione che attraverseranno Nigeria e Benin. Il contingente comprende: team per ricognizione e comando e controllo, team di addestratori, team sanitario, genio, unità informativa, sorveglianza e ricognizione a supporto delle operazioni (Isr).


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ANAIS GINORI, LA REPUBBLICA 11/1 –


Gestisce l’Eliseo come un’impresa e il Paese come un brand. Qualche settimana fa, il giornale economico les Echos descriveva così la gestione del potere di Emmanuel Macron. Presidente ma anche amministratore delegato di un marchio che in pochi mesi ha saputo improvvisamente rivalutare agli occhi degli investitori stranieri. Sulla bibbia del capitalismo, The Economist, la Francia è stata eletta “Paese dell’anno” dopo essere stata presentata a lungo come “ bomba a orologeria” nel cuore dell’Europa. Se in patria gli effetti delle sue riforme sono ancora tutti da valutare, all’estero l’effetto- Macron è indubbio, persino quantificabile visti appalti e contratti che il leader riesce a incassare a ogni viaggio, dai Paesi del Golfo alla Cina, dov’è stato questa settimana.«Non diamo cifre» ha commentato il presidente francese a proposito degli affari stipulati con la Repubblica popolare. La visita di tre giorni, record di permanenza, con una cinquantina di imprenditori e manager al seguito, ha suggellato una ventina accordi, dall’aerospazio all’energia nucleare, dal commercio alla sanità. Qualche cifra è trapelata lo stesso: i 18 miliardi di euro per l’ordine di nuovi Airbus, i 10 miliardi per una nuova centrale di Areva. Macron ha promesso al presidente Xi Jinping aperture agli investimenti cinesi, chiedendo però in cambio un maggiore accesso al mercato interno cinese per i gruppi francesi.Da quando è stato eletto nel maggio scorso, il giovane leader è riuscito a imporsi come interlocutore globale, dialogando con Trump, Putin, Xi, inserendosi con successo in alcune crisi internazionali come le dimissioni di Hariri tra Arabia saudita e Libano. Il cambio di passo è ancora più evidente nella gestione delle relazioni economiche e finanziarie internazionali, forte delle sue precedenti esperienze come banchiere per Rothschild e poi come ministro dell’Economia. Macron conosce personalmente i più famosi capitani d’industria, da Martin Bouygues a Bernard Arnault, è amico di Xavier Niel, ha nominato quando era ministro diversi dirigenti delle imprese a partecipazione dello Stato. Ha mantenuto una rubrica di contatti accumulati in anni di lavoro nel settore privato. A ottobre ha invitato Larry Fink, potente presidente di Blackrock, il più grande fondo pensione del mondo, a una festa privata all’Eliseo, insieme ai principali dirigenti delle società del Cac40, l’indice della Borsa francese. Una serata fastosa con un solo messaggio: “ Investite da noi”.È ciò che Macron va ripetendo e che vuole dire ancora una volta in una cena di gala organizzata a Versailles il 22 gennaio, il giorno prima di andare a Davos per il forum economico mondiale, dove sarà presente anche Donald Trump. Il presidente francese ha proposto ai grandi nomi della finanza mondiale diretti al summit in Svizzera di fare tappa nella reggia del Re Sole. Lo slogan che tutti utilizzano a Bercy, il grande palazzo affacciato sulla Senna, dove hanno sede i ministeri dell’Economia e della Finanze, è “France is Back”. L’organismo Business France, che si occupa di promuovere gli investimenti stranieri in patria e le aziende francesi all’estero, sostiene che è ancora troppo presto per quantificare l’effetto Macron. Intanto Muriel Pénicaud, ex responsabile di Business France e già manager da Danone, è diventata la ministra del Lavoro e dunque guida alcune delle riforme simboliche del Presidente, quelle che devono appunto sfatare agli occhi del mondo i cliché sul Paese degli scioperi, delle rigidità e della burocrazia.« La Francia è alla moda, nelle riunioni internazionali ci guardano diversamente » racconta a Repubblica Bernard Spitz, presidente della Federazione delle assicurazioni e tra i consiglieri di Macron. Tra le qualità del giovane leader ne cita alcune che altri capi di Stato francesi non avevano, particolarmente apprezzate all’estero: parlare un inglese fluente, essere a proprio agio con il mondo digitale, aver saputo guadagnare soldi ( tanti) prima di lanciarsi in politica. « Il Presidente agisce partendo soprattutto dall’analisi economica, come teorizzava anche Michel Rocard » aggiunge Spitz, amico dell’ex premier socialista morto l’anno scorso, che fu mentore anche di Macron. «Mitterrand pensava che l’economia dovesse essere subalterna alla politica – ricorda Spitz - si annoiava a parlare di cifre. Con Macron è il contrario».
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Italia e Francia lavorano a un Trattato

È l’Europa che guarda alla sponda meridionale, e che affronta (e gestisce) l’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente. E torna a chiedere che tutto il continente partecipi allo sforzo: «La gestione dei flussi migratori sarà una sfida fondamentale per l’Ue nei prossimi anni. I paesi del Sud Europa sono particolarmente preoccupati e colpiti, dal momento che sono in prima linea sui confini dell’Ue. Il nostro ruolo fondamentale nella protezione dei confini e il peso di questo compito devono essere riconosciuti e condivisi dall’Ue». Parole contenute nel documento finale del vertice Med-7, i sette Paesi del Sud europeo (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Malta e Cipro) tenutosi ieri sera a Villa Madama sotto la presidenza di Paolo Gentiloni. «I Paesi del Sud Europa sostengono una politica europea comune sulle migrazioni, per prevenire i flussi irregolari ed affrontare le cause alla base delle migrazioni di massa, in cooperazione con i Paesi di origine e transito». E Gentiloni nella dichiarazione al termine è tornato a ribadire l’importanza che sul tema è decisiva tanto la dimensione esterna quanto quella interna. Il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato che c’è stata una «riconvergenza dei punti di vista sull’immigrazione. Bisogna rafforzare la solidarietà per proteggere le frontiere e gestire meglio i flussi. Bisogna dare, nel prossimo semestre, maggior corpo alla solidarietà».

Immigrazione, quindi, ma non solo: «Bisogna compiere i passi necessari per completare l’unione monetaria ed economica, per garantire una crescita sostenibile e bilanciata» e anche «completare l’unione bancaria, che è una priorità». Tutti temi che saranno centrali nei prossimi vertici a Bruxelles (assieme alla riforma dell’Eurozona), che vanno nella direzione di un rilancio dell’Unione post-Brexit. Inoltre dal summit è scaturita la proposta – avanzata da Macron – di effettuare consultazioni popolari in tutta Europa dalla prossima primavera per sentire i cittadini sul futuro dell’Unione europea. Sì anche alle liste transnazionali per le elezioni del Parlamento europeo, convinti che questo possa «rafforzare la dimensione democratica dell’Unione». Di questo si parlerà nel summit straordinario del 22 febbraio. Ma il cuore dell’azione diplomatica di queste ore è senz’altro la visita bilaterale che avverrà oggi di Macron, che in mattinata prima incontrerà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e poi Gentiloni a Palazzo Chigi (dopo una visita alla Domus Aurea). Un incontro che avrebbe dovuto tenersi secondo indiscrezioni a inizio dicembre ma poi è stato fatto coincidere con il summit Med-7. Fonti politiche fanno notare che con questa visita Macron vuole anche rendere visibile il suo sostegno al premier e alla leadership della quale è espressione in vista delle prossime elezioni del 4 marzo. 

Macron ieri è tornato a parlare della prospettiva di un “Trattato del Quirinale” tra Francia e Italia sul modello di quello siglato all’Eliseo con la Germania nel 1963, «per coordinarsi in maniera sistematica» su questioni bilaterali, politiche, economiche, di difesa, sull’immigrazione, sulla cultura. Sarà insediato un gruppo di lavoro bilaterale così da arrivare a un testo entro il prossimo vertice intergovernativo, dopo l’estate, sempre che le condizioni politiche italiane che scaturiranno dalle elezioni lo consentano. Macron aveva già lanciato l’idea di un trattato bilaterale a tutto campo nel summit bilaterale di Lione del settembre scorso, un po’ casualmente, nel corso della conferenza stampa che aveva avuto al centro l’accordo su Fincantieri-Stx. Il trattato dell’Eliseo del 1963 aveva tutt’altri presupposti: i due Paesi venivano da un secolo di guerre e furono ritenute mature le condizioni per stringere un’intesa a lungo termine tra i due Paesi-chiave dell’Europa. L’obiettivo del presidente francese è quello di gettare le basi di una riforma europea, una «rifondazione» l’aveva definita, e ora nei suoi incontri sta stringendo questa politica, che si muove sia a livello multilaterale che bilaterale. 

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Carlo Marroni


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Macron pigliatutto in politica estera

Medio Oriente, nuove relazioni con la Cina, integrazione europea: l’iniziativa è in mano a Parigi

Il Macron World Tour è impressionante. L’itinerario internazionale del presidente della Repubblica francese non è il semplice riempimento di spazi geopolitici lasciati vuoti o trascurati da Germania, Regno Unito o Stati Uniti per ragioni diverse ma dalle tempistiche coincidenti. È il cammino diplomatico del capo di Stato di un Paese che in pochi mesi ha riscoperto stabilità politica, spinta riformista e visione tattica, se non propriamente strategica.

Gli Esteri del resto, assieme alla Difesa, sono il cosiddetto “dominio riservato” dell’Eliseo, temi che vengono trattati direttamente dal presidente e che in Francia vanno di pari passo: lo dimostra l’ascesa di Parigi come secondo esportatore di armi al mondo nel 2016, un’eredità di Hollande che sicuramente sarà mantenuta, e dove l’area mediorientale resta uno dei clienti principali.

L’iperattivismo della Francia dà spesso fastidio ai partner europei, Italia compresa, ma nel caso di Macron è la logica conseguenza degli impegni sottoscritti in campagna elettorale, sicuramente sul fronte europeo. Quando va in Cina, in fondo, propone un modello di globalizzazione controllata, basata sul concetto di reciprocità: l’apertura dei mercati non deve avvenire a discapito delle imprese francesi e dei loro dipendenti, i trasferimenti di tecnologia vanno monitorati. Pechino, ne conviene, non può essere considerata un’economia di mercato. Un atteggiamento simile si riscontra con i Paesi dell’Est Europa, che pure fanno parte dell’Unione, accusati di praticare dumping sociale con il tema scottante dei lavoratori distaccati.

Macron sa che nonostante la clamorosa vittoria alle presidenziali deve ancora riconciliarsi con quella parte del Paese che gli è distante: che non ha votato per lui alle presidenziali e alle legislative o che non ha votato affatto. Parliamo della maggioranza dei francesi. E parliamo anche di quegli elettori che altrove in Europa continuano ad alimentare le forze populiste. Nessuno gli ha affidato l’incarico di portavoce dell’Unione, ma in questo momento è lui, meglio di altri, a proporre un modello di integrazione vagamente sostenibile. Un rafforzamento dell’Unione monetaria attraverso la creazione di un ministro delle Finanze unico, di un budget ad hoc, ma anche di un meccanismo capace di assorbire gli shock sul fronte occupazionale. Il mantra del deficit al 3% del Pil è un mantra in cui probabilmente non crede nemmeno lui, ma è il prezzo che ha deciso di pagare per essere credibile agli occhi della Germania e convincerla a condividere almeno in parte la sua visione integrazionista, di condivisione dei rischi oltre che delle responsabilità.

Ci preoccupa forse il rafforzamento dell’asse franco-tedesco, quello che secondo Di Maio si sarebbe invece indebolito. Ma le posizioni del presidente francese, al netto del patriottismo economico che non ha certo inventato lui e con il quale dobbiamo imparare a convivere contrastandolo con altrettanta progettualità a lungimiranza, sono molto più vicine di quel che sembra all’Italia.

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Attilio Geroni


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Lo stallo tedesco assicura a Parigi un ruolo primario

L’Europa non manca mai, nei discorsi di Emmanuel Macron. Per strategia e, ovviamente, per opportunità.

Sul piano strategico, il presidente francese è ben consapevole che la Francia, da sola, non può neanche ambire al ruolo di potenza regionale, circondata com’è da Germania, Gran Bretagna e - se solo lo volesse - Italia: simili ambizioni, in passato, hanno avuto esiti tragici anche in presenza di ricche relazioni economiche.

L’Europa permette invece a ciascun Paese, e soprattutto a uno dei suoi maggiori Stati membri, di moltiplicare il proprio potere e la propria influenza su scala globale. L’uscita, a breve, della Gran Bretagna, non potrà inoltre che esaltare il ruolo della Francia, sia sul piano dell’azione politica - aumenterà l’influenza di Parigi sulle istituzioni europee - sia sul piano della cultura politica: la Francia ha tradizionalmente un’impostazione molto diversa da quella tedesca: più “politica” e più flessibile, in grado di raccogliere e alimentare il consenso di molti Paesi. La nuova Francia di Macron, che questa cultura nazionale sta cercando di innovare - la domanda chiave, ovviamente, è: quanto profondamente? - potrebbe permettere di costruire un consenso anche più ampio. Il banco di prova, sotto questo punto di vista, saranno le relazioni - tutte da costruire - della presidenza con quei Paesi dell’Europa orientale che minacciano di lacerare l’Unione.

Macron ha dalla sua parte la particolare struttura istituzionale della Francia. In nessun paese europeo il capo di Stato o di Governo ha un ruolo e poteri analoghi a quelli del presidente francese. 

C’è spazio per avere un ampio ruolo; e anche l’opportunità. In Europa mancano leader con una “visione” politica: si può anche discutere se dietro l’ambizione di Macron ci sia sostanza o è solo marketing: il rischio che diventi un presidente bling-bling - in Italia diremmo forse frou-frou... - come Nicolas Sarkozy, non è esorcizzato. È un fatto però che neanche la Merkel - che pure Macron vorrebbe ben in sella, per poter portare avanti il suo progetto - ha gli strumenti per costruire un consenso più ampio su un progetto alternativo.

Il presidente francese ha allora il privilegio dell’iniziativa, e l’ha presa: a settembre ha proposto un ampio programma europeo che prevede anche un bilancio separato per la zona euro, un ministro delle Finanze con ampi poteri, un fondo per i salvataggi; oltre a una direttiva sui lavoratori distaccati, che vada a colpire uno dei maggiori punti dolenti del mercato del lavoro europeo.

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R.Sor.


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Sul Libano abile mediazione tra Iran e Arabia Saudita

La soluzione della crisi libanese è stata finora il “capolavoro” di Macron in Medio Oriente. La destabilizzazione di Beirut era l’ultima cosa della quale l’area più instabile al mondo aveva bisogno. Nella riuscita dell’impresa non gli hanno fatto difetto un’alta considerazione nei propri mezzi diplomatici di persuasione e la rapidità d’esecuzione.

L’aver strappato il premier Saad Hariri alla custodia dei sauditi e averlo fatto tornare in Libano, nuovamente come premier in carica e non dimissionario, è stato un contributo notevole alla stabilità mediorientale. A Beirut, in un precario equilibrio politico-istituzionale, si fronteggiano, sempre per procura, le due grandi potenze islamiche, Arabia Saudita e Iran. Lo stesso Paese ospita, inoltre, 1,2 milioni di rifugiati su una popolazione complessiva di 6 milioni. Una polveriera che sarebbe probabilmente esplosa, come più volte in passato, senza l’intervento di Parigi.

Non sempre, però, gli interventi del presidente francese sono stati altrettanto coerenti con l’obiettivo (non) dichiarato rispetto ai suoi predecessori e in particolare a Nicolas Sarkozy, di stabilizzare il Medio Oriente e il Maghreb. Ad esempio l’iniziativa del luglio scorso con la quale ha messo uno di fronte all’altro gli arcinemici della Libia, il premier di Tripoli Fayez al Serraj e il comandante dell’Esercito nazionale libico Khalifa Haftar, è servita più a irritare l’Italia che a stabilizzare il Paese nordafricano. Così come l’annuncio di fine novembre ad Abidjan, della creazione di una task force internazionale per soccorrere i migranti vittime della tratta di esseri umani in Libia ,è stato visto come un eccesso di protagonismo à la française degno del miglior (o del peggior, a seconda dei punti di vista) Sarkozy.

Non vi è dubbio però che l’azione della politica estera francese si sia intensificata in quest’area, toccando vari aspetti dell’influenza francese: dalla cultura, con l’inaugurazione del Louvre di Abu Dhabi, all’economia, con contratti per 12 miliardi nel Qatar, dei quali oltre un miliardo in caccia Rafale. Quest’anno non dovrebbe essere meno ricco. Nei piani dell’Eliseo c’è una visita in Iran e una sorta di normalizzazione nei rapporti con la Siria. Gli ultimi sviluppi a Teheran rendono il calendario di Macron più problematico, ma per entrambi i dossier il percorso è stato tracciato.

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A.Ger.