La Gazzetta dello Sport, 11 gennaio 2018
«Voglio vincere un Mondiale da c.t.». Intervista a Roberto Mancini
Uno dei pochi italiani che farà calcio in Russia nel 2018: Roberto Mancini, allenatore dello Zenit di San Pietroburgo. «I russi sono rimasti male per l’eliminazione dell’Italia, ma soprattutto ci prendono molto in giro». Forse è anche per questo che l’intervista a un certo punto si squarcia come un cielo di primavera e si apre un lago di azzurro. «Ho un sogno: vincere da c.t. ciò che non ho vinto da calciatore. Un Mondiale».
Mancini, non le mancherebbe il lavoro quotidiano di campo, come lamentano tanti colleghi?
«È da 40 anni che lavoro in campo tutti i giorni, da calciatore e da allenatore. E poi sono giovane, posso ritornare in un club dopo la Nazionale…».
Ma se arrivasse il grande club?
«In grandi club ho lavorato e vinto. Allenare la Nazionale è bello. Sarebbe un onore, un orgoglio. E vincere un Europeo o un Mondiale ancora di più».
Ma li abbiamo i giocatori per vincere?
«I giovani bravi ci sono. Mi piacciono Belotti, Pellegrini, Romagnoli che può crescere ancora tanto. E ogni stagione ne vengono fuori altri. Gli italiani hanno qualcosa in più. C’è materiale per impostare un buon lavoro, dando magari una logica comune alle varie under, come succedeva quando le frequentavo io».
Servirebbe prima un presidente federale. Idee?
«Mi piacerebbe vedere al lavoro ex giocatori, ma non per il solo fatto che lo siano stati. Solo quelli che hanno qualcosa da dare, con passione e carisma. E in posti proporzionati alle loro conoscenze e alle loro esperienze. Le bandiere non servono».
Nel bilancio previsionale della Figc sono stati stanziati 5 milioni per il nuovo c.t. Bastano?
«I soldi non sarebbero un problema. Ma precisiamo: stiamo parlando in libertà… Io ho un contratto con lo Zenit, che sta facendo bene».
Meno bene che a inizio stagione però.
«Abbiamo rifondato la squadra, siamo partiti benissimo e siamo andati in testa. Poi abbiamo pagato le coppe, fatichiamo a sostenere due partite in una settimana. Ma siamo secondi a 8 punti dalla Lokomotiv Mosca e possiamo risalire. Alla ripresa c’è subito Lokomotiv-Spartak. Possiamo accorciare e rilanciarci in classifica».
Ha risvegliato Kokorin.
«Avesse voluto, con i mezzi che ha, avrebbe potuto giocare in tutti i club d’Europa».
Come Perisic?
«No, Kokorin è fuoriclasse vero. Perisic è devastante fisicamente, gli manca continuità. L’ho preso io, lo so. Ma anche quando fa poco, fa tanto. Chi meglio di lui all’Inter?».
Dicono: l’Inter di Spalletti è crollata come l’ultima di Mancini.
«È diverso. Noi avevamo rifondato la squadra, ora la squadra ha due anni di esperienza in più e tanti di milioni investiti. Noi chiudemmo l’andata in testa pur avendo lacune evidenti. A quel punto servivano acquisti a gennaio per reggere il passo, invece si parlava solo di vendere. Un club come l’Inter non può ragionare solo per arrivare in Champions, deve progettare per vincere».
E in estate arrivarono Gabigol e Joao Mario, voluti da altri.
«Gabigol era giovane, sarebbe stato meglio darlo subito in prestito. Joao Mario era identico a Brozovic. A me serviva altro. Una punta rapida, capace di attaccate le difese chiuse. Ma a quel punto erano già stati spesi i soldi e non si capiva chi decideva. C’era confusione».
Su Kondogbia però lei c’ha messo il timbro.
«Infatti l’avrei tenuto. Aveva un carattere particolare, andava protetto. Ma era un talento, aveva qualità. Infatti a Valencia è sempre il migliore».
Ha lasciato partire Kovacic.
«Abbiamo avuto anche confronti duri tra noi. Gli dissi: “Rifiuta tutto ed esplodi qui!” Ci credevo. Ma arrivò il Real e c’era bisogno di soldi».
Cosa serve a Spalletti?
«Non ho visto spesso l’Inter. Forse una punta rapida alla Mertens, Salah: gente che segna, vicina a Icardi. Rafinha? Esperienza e qualità».
Ce la fa l’Inter ad arrivare in Champions?
«Io la vedo terza. Per me, anche così, è più forte di Roma e Lazio. Quest’estate comunque ha investito».
Quarto Di Francesco o Inzaghi?
«Roma più attrezzata, ma la Lazio ha qualità che sfrutta bene in trasferta. Sarà sprint».
Lei avrebbe tenuto fuori Nainggolan?
«Premessa: bisogna conoscere il contesto. Per come sono fatto io, l’avrei fatto giocare e punito dopo. Come facevano gli allenatori con me».
Vincerà ancora la Juve?
«Sì, è la più attrezzata e ha quella rabbia che gli viene dalla storia. Non impari a vincere in 5 minuti. Io ricordo che facce avessero Bettega, Furino e Tardelli quando li incrociavo in campo. L’Inter dei miei scudetti aveva gente del genere».
Scelga due cartoline nerazzurre.
«La prima Coppa Italia e lo scudetto a Siena».
E il Napoli?
«Temo che possa patire le partite di coppa del giovedì, ma sono sicuro che resterà attaccata alla Juve fino in fondo. Il suo bel gioco continuerà a fruttare».
Il Milan di Fassone?
«Con Fassone ho lavorato benissimo all’Inter. Anzi, ritengo che l’errore più grande dell’Inter sia stato proprio quello di far partire Fassone, competente e brava persona. Il primo anno avevamo fatto bene, eravamo arrivati quarti che oggi vorrebbe dire Champions. In genere, squadra che vince non si cambia. Non andò così».
Dicono che all’Inter l’unico che avesse il coraggio di contraddirla fosse Mirabelli. Che oggi tanti criticano.
«Un conto è fare l’osservatore, un conto il d.s. in un club come il Milan. Massimo ha bisogno di fare esperienza e di imparare, ma i giocatori li vede e farà bene anche al Milan».
Capello è stato feroce: il Milan ha acquistato troppi giocatori mediocri, servivano solo tre campioni.
«Io dico che il Milan ha acquistato buoni giocatori. Per il salto di qualità servirebbero 2-3 pedine di grande valore. Ma non è facile convincerle a venire in Italia e quanto ti costano nel mercato di Coutinho?».
Se Fassone e Mirabelli la chiamassero al Milan, avrebbe traumi da proprietà cinese o da colori avversi?
«No, io lavoro bene con tutti e non ho problemi di colore».
Lavorerebbe ancora con Balotelli?
«Non l’ho seguito molto, ma ho visto che ha segnato tanto. Per il bene che gli voglio, spero che possa ancora togliersi tante soddisfazioni. Ha solo 27 anni. Deve tornare in Nazionale. Uno come lui, certe partite può vincerle anche da solo».
Più sorpreso dal licenziamento di Montella o da quello di Mihajlovic?
«Un allenatore esonerato non è mai una sorpresa, è parte del suo lavoro. Con Sinisa non mi sento da parecchio tempo».
Ha qualche idea tattica in testa su cui lavorare?
«Premessa: dipende sempre dai calciatori che hai a disposizione. In generale: quattro attaccanti puri. Mi servirebbe un centrale di mediana capace di soccorrere bene la difesa ed equilibri di squadra delicati. Ma ci lavorerei volentieri. La frontiera è questa: la ricerca di un calcio sempre più offensivo».
Il City di Guardiola.
«Appunto. Ha almeno sei giocatori offensivi da far ruotare in attacco che lo rendono micidiale. Anche più del Barcellona».
Conte contro Mourinho?
«Vedrete: s’incontrano e finisce a tarallucci e vino»
Chi lo vince il Mondiale?
«Il Brasile. Nelle qualificazioni è stato impressionante. Sylvinho, che collabora con la Seleçao e la vede da vicino, è d’accordo con me».
Rimpianti di non aver avuto la Var da giocatore?
«No, avrei vinto e perso le stesse cose. Il campo dà sempre la sentenza giusta. Però l’aiuto della tecnologia mi piace. Bisogna solo metterla a punto, impedire per esempio che venga disinnescata da un arbitro che dice: “Ho visto io”. Concedere per esempio una chiamata per squadra della Var».
C’è stato all’Hermitage di San Pietroburgo?
«Diciamo che ormai mi considerano una statua del museo… Passo spesso a godermi quella bellezza. Anche perché fuori fa freddo…».
Però ora porterà il suo Zenit al caldo. Giusto?
«Sì, domenica partiamo per Dubai, poi andremo in Turchia, Antalya. Poi ci saranno le due partite di coppa con il Celtic e a marzo ripartirà il campionato. Dovremo rimontare».
Più facile che rimontiate voi o l’Inter?
«Noi. La Lokomotiv ci ha battuti 3-0 in casa nostra, ma dopo aver subito per tutta la partita. Ci segnò 3 gol nell’ultima mezzora. Lo Spartak Mosca è più forte. La Lokomotiv non è la Juve».
Mancini, che periodo è della sua vita?
«Felice. Mio figlio Filippo si è laureato in business sportivo negli Stati Uniti, Camilla studia comunicazione e Andrea, che ha appena smesso di giocare, sta decidendo la sua strada. Ho il corpo e gli affetti in buona salute. E faccio il mestiere che amo».
Sì, l’uomo che attraversa Piazza del Popolo con le mani nelle tasche del cappotto blu ha la faccia di un uomo felice. La temperatura è mite e il cielo di Roma azzurro. Come un sogno.