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 2018  gennaio 11 Giovedì calendario

Moravia, il pittore letterario

Lo si legge nel libro-intervista con Alain Elkann, Vita di Moravia (1990), a proposito del Gruppo 63 e del Nouveau Roman: «L’avanguardia, qualsiasi avanguardia mi interessa, mi diverte e mi stimola». Con la convinzione aggiuntiva di non essere stato amato dai due gruppi, seppure mai oggetto di quell’ostilità che invece fu riservata a Bassani – e a Cassola aggiungiamo –, accusati di essere le nuove Liale. Sono parole che già giustificano almeno un fatto: e cioè quella disponibilità alla sperimentazione che ci diede un romanzo come L’attenzione (1967). E ne spiegano un altro: l’ammirazione tributatagli assai precocemente da un neoavanguardista militante della prima ora come Edoardo Sanguineti nella monografia critica del 1962. Parole coerenti con quanto Moravia aveva scritto in un libro quale L’uomo come fine e altri saggi (1964) e in una serie di interventi degli anni ’60 dedicati alle arti e alle avanguardie, che ora possiamo finalmente leggere, per la prima volta in un volume che ne include 90 in tutto, appena uscito per Bompiani (pagine 456, euro 35,00), ovvero Non so perché non ho fatto il pittore. Scritti d’arte 19341990 (seppure il frontespizio reciti Scritti sul-l’arte), per la cura di Alessandra Grandelis, la quale firma anche l’ottima prefazione, impostata in termini biografici e critici, anche per determinare, poi, l’idea moraviana di pittura (fortemente legata a una consapevole teoria della percezione e della conoscenza), e per riflettere sui modi in cui la stessa pittura abbia influenzato l’intera sua opera letteraria. Senza dire delle puntuali e utilissime schede in calce a ogni testo, che lo contestualizzano, filologicamente e storicamente, ne approfondiscono gli spunti, e, quando il caso, ci danno informazioni sull’artista preso in esame. Bisognerà solo aggiungere che l’apparato iconografico – ritratti anche fotografici di Moravia, opere di artisti che hanno conosciuto o perlomeno incontrato lo scrittore – è stato approntato da Nour Melehi.
Moravia mostra, talvolta, persino una certa insofferenza per la critica d’arte, che pare ritenere pleonastica, se non addirittura dannosa. Così nel 1969: «Sulla pittura non c’è niente da dire». È vero: ci si potrebbe provare a restituire «quello che si prova davanti alla pittura». Epperò: «Che c’entra quello che si prova davanti alla pittura con la pittura stessa?». Moravia rifiuta un discorso sull’arte gergale e specialistico, subito pronto a concettualizzare, a oltrepassare insomma la materiale datità del quadro – i «quadri visti da vicino» (scriveva Luigi Baldacci con passione di collezionista e intenditore, prima che di critico) – in vista delle poetiche e delle ideologie. Ma rifugge anche, con la medesima forza, dalla reazione emozionale, dall’impressionismo oracolare, dall’uso filosoficamente pretestuoso delle opere, magari in nome d’una qualsiasi religione della vita o dell’arte.Questa diffidenza per la critica d’arte, però, è contraddetta, nei fatti, da un eccezionale talento critico, che si esercita nei modi più diversi, magari per approfondire alcune istanze del dibattito culturale coevo, sotto il segno del quale si costruisce anche la sua opera. Come nel caso, per dire, delle tempestive e assai lucide considerazioni, per me definitive, che Moravia ci affida sui possibili esiti della neoavanguardia, a pochi giorni dalla nascita a Palermo del Gruppo 63, nell’articolo intitolato Lavorare al buio.
Questi: «o di arcadia ossia una semplice proposta di riforma dei mezzi espressivi intesi come pura forma e lessico; oppure, se è disperata e nevrotica sul serio, di rivoltarsi contro se stessa». Per un esercizio che punta spesso alla pronuncia del giudizio, alla formula ricapitolativa, come qui, nel 1975, a proposito di Ligabue: «Questa ferocia espressa con colori onirici, psicologicamente involontari e culturalmente archetipici è quella della solitudine dell’inconscio nella quale come in fondo al mare, si può vivere insieme a tanti altri ma, egualmente non si comunica e si è sempre soli». Certamente, e lo scritto su Ligabue ne è un esempio, l’attenzione di Moravia passa facilmente, e felicemente, dal quadro – dalla pittura – al pittore. Presentazione a una mostra del 1969: «Sergio Vacchi mi riceve nel suo appartamento di Piazza San Lorenzo in Lucina». E si tratta d’un discorso che vira subito verso il ritratto e che, quando passa in rassegna i quadri tematicamente, si concentra sulla disposizione che il pittore dà loro nello spazio, rispetto alla luce che li illumina. E ancora, 1983: «Un giorno, molti anni fa, sono andato a visitare Alexander Calder nel suo studio a New York». Il che vuol dire almeno due cose. La prima: che ha ragione Alessandra Grandelis a sottolineare l’importanza del ritratto e dell’autoritratto, quanto alla possibilità della pittura di «illuminare la scrittura». La seconda: che sulla pagina di Moravia si trovi sempre già, allo stato di latenza, la possibilità del racconto, il quale, poi, può svilupparsi o meno. Non è stato lo stesso Moravia, del resto, in un articolo del 1985 dedicato a Mario Marcucci, a chiedersi chiaramente: «I romanzieri scrivono autoritratti? Me lo sono spesso domandato visitando le gallerie d’Europa». Non per niente sono pochissimi gli artisti del passato inclusi qui, e tutti collegabili a quel dibattito sul Realismo che ha tanto impegnato lo scrittore: Rembrandt e Courbet, Goya e Velázquez. La predilezione è per i contemporanei, quelli che si possono ritrarre dal vivo: Renato Guttuso in primis, ma anche, che so, Fabrizio Clerici, Mario Schifano, Piero Guccione.
Concludo: il primato della vista è continuamente ribadito da Moravia, ma – occorre sottolinearlo – in un duplice senso e movimento: della pittura verso la letteratura, della letteratura verso la pittura. Come dimostra quel sorprendente incipit d’un articolo su Lorenzo Tornabuoni del 1969, che si risolve in una lunga citazione di Estasi di John Donne, per poi introdurre, del pittore, il gran tema della coppia. Non so perché non ho fatto il pittore sarà presentato oggi a Roma, alla Fine art Gallery di piazza di Pietro, 28, alle 18.30 da Alessandra Grandelis, Carmen Llera Moravia ed Edoardo Sassi.