Corriere della Sera, 11 gennaio 2018
Il crollo del cinema italiano
Distinguo e precisazioni servono a poco. L’anno appena trascorso è stato davvero horribilis per il cinema: i 92 milioni e 337 mila biglietti staccati (corrispondenti a un incasso di 584 milioni e 843.610 euro) registrati da Cinetel sul 93 per cento circa delle sale italiane fanno segnare un netto regresso rispetto al 2016: meno 12,4 per cento di presenze e 11,6 per cento di incassi.
Certo, il 2016 era stato l’anno record di Zalone (65 milioni di incasso con Quo vado? ) e di Perfetti sconosciuti (più di 17 milioni per il film di Paolo Genovese), due italiani che erano arrivati in testa alle classifiche, sbaragliando tutti gli americani. Ma la frenata del 2017 è largamente inferiore anche ai risultati del 2015 e del 2013. Solo il 2014 era andato peggio, anche se di pochissimo (con lo 0,89 per cento di presenze in meno). Il che non è certo una consolazione. In questa situazione, i dati del cinema italiano sono particolarmente critici. Con 16 milioni e 880 mila presenze (e 103 milioni e 150 mila euro d’incasso), la produzione di casa nostra ha fatto segnare un arretramento del 44,21 per cento (che diventa il 46,3 per cento se confrontiamo i risultati del box office) rispetto al 2016, lasciando via libera ai film made in Usa che, in un anno di recessione per la produzione americana, in Italia hanno aumentato la loro quota di mercato: 65,12 per cento dei biglietti venduti (cioè il 3,37 per cento in più rispetto al 2016) e il 66,28 per cento degli incassi (arrivati a 387 milioni e 619.551 euro: più 5,24 per cento).
Se guardiamo l’elenco dei maggiori incassi dell’anno, ai primi venti posti ci sono diciassette film americani, guidati da La bella e la bestia di Bill Condon e poi il cartoon Cattivissimo me 3, un film inglese ( Dunkirk di Christopher Nolan, al tredicesimo posto) e solo due film italiani, L’ora legale di Ficarra e Picone e Mister Felicità di Alessandro Siani, rispettivamente nono e decimo, con 10 milioni e 376 mila euro d’incasso il primo e 10 milioni e 206 mila il secondo. Per trovare un altro film italiano bisogna arrivare al ventottesimo posto ( Poveri ma ricchissimi con poco più di 5 milioni).
La lista delle doléances potrebbe continuare, soprattutto se paragoniamo la situazione italiana a quella di altri stati europei, con la «solita» Francia che nonostante un meno 2 per cento rispetto all’anno precedente vanta più del doppio dei nostri biglietti: 209 milioni e 200 mila, cioè un miliardo e 300 milioni di incasso. Così come sono cresciuti gli incassi in Germania (995,4 milioni di euro: più 3,6 per cento), in Gran Bretagna (1 miliardo e 380 milioni di sterline, cioè 1 miliardo e 558 milioni di euro: più 4,7 per cento). Solo la Spagna ha fatto registrare una diminuzione dello 0,70 per cento, il che non ha impedito comunque di superarci in valore assoluto, con 597 milioni di euro incassati. La domanda vera da fare allora è: perché? Perché una crisi così drammatica, in generale per il cinema in Italia ma in particolare per il prodotto nazionale? Visto che non si può ogni volta sperare nel miracolo di san Zalone, bisognerebbe chiedersi cosa cambiare o migliorare, magari per sfruttare la stanchezza che ha colpito anche il prodotto Usa (solo per fare un esempio: quest’anno l’ottavo episodio di Star Wars, Gli ultimi Jedi, ha incassato «solo» 15 milioni di euro contro i 25 del settimo, Il risveglio della forza ).
A sentire i produttori, la debolezza principale è la troppa «dipendenza» dei film italiani dalla loro possibile destinazione televisiva: Rai, Mediaset e Sky sono troppo preoccupati di finanziare opere che possano avere una buona resa sul piccolo schermo (dove la rassicurazione vince sulla sorpresa) e finiscono per favorire film che ripetono – spesso in peggio – schemi e situazioni scontate.
Altri, anche con più ragioni, pensano a tutti quei film, spesso di qualità, che non trovano spazio per le imposizioni dei blockbuster (teniture obbligate, guerra alla multiprogrammazione) e che penalizzano soprattutto i locali medio-piccoli di provincia (fino a 4 schermi) che rappresentano il 45 per cento delle sale italiane ma solo il 25 per cento del pubblico.
Proprio quello che trovando poca scelta di titoli nei cinema vicino a casa finisce per rivolgersi a chi gli offre di più e meglio: le tivù on demand.