la Repubblica, 11 gennaio 2018
«Noi, cacciatori di meteoriti in Antartide»
ROMA Il tesoro custodito dai ghiacci che circondano il polo Sud arriva da lontano, da milioni o miliardi di chilometri. Nere “pepite”, che vanno dalle dimensioni di una nocciolina a quelle di un pugno, posate sulla distesa immacolata che termina all’orizzonte con le vette dei monti Transantartici: «Qualsiasi cosa capiti di scorgere qui è extraterrestre, arriva dallo spazio». In poche parole c’è tutto il senso della ricerca di Luigi Folco, professore associato di Cosmochimica e Geologia planetaria all’Università di Pisa. È a capo del team di quattro ricercatori approdati nel luogo più freddo del pianeta, a raccogliere meteoriti.
L’Antartide è il posto ideale dove trovare i “fossili” del Sistema solare, che possono svelarci i segreti su come si sono formati il Sole e i pianeti. «Cerchiamo le meteoriti qui per tre motivi: sono nere e si vedono molto bene sul ghiaccio – spiega Folco – il secondo è che l’Antartide è un deserto, arido e freddo, e le preserva quasi intatte anche per un milione di anni, altrove sopravvivono solo per qualche migliaio. Il terzo: solo qui ci sono le “trappole di meteoriti”».
Quando uno di questi sassi cosmici entra in atmosfera, bruciando, si ricopre di un nero guscio vitreo. «Vengono inglobati dal ghiaccio che li trasporta verso l’oceano – continua Folco – quando trova un ostacolo il flusso viene spinto verso l’alto». L’erosione del Sole e del vento riporta alla luce il ghiaccio più antico, dove sono intrappolate le meteoriti. Loro non devono fare altro che raccoglierle.
Il professore è arrivato a dicembre alla base italo-francese Mario Zucchelli assieme a Maurizio Gemelli e Matteo Masotta, ricercatori dell’ateneo pisano. La missione, del Programma nazionale di ricerche in Antartide, ha il coordinamento scientifico del Cnr e logistico dell’Enea.
Per arrivare sul Plateau bisogna salire dal livello del mare a oltre 2.000 metri di quota. L’elicottero decolla alle 8.30, due ore di volo, con uno stop per fare rifornimento: 250 chilometri più a sud inizia la ricognizione: «Non usiamo strumenti particolari – racconta Folco – camminiamo distanziati di 20-25 metri. Sul ghiaccio siamo in grado di scorgere una meteorite piccola come una noce anche da quella distanza. Ogni giorno facciamo anche 25 chilometri a piedi senza fermarci, prima di tornare alla base».
Può capitare di trovarsi tra le mani il frammento di un asteroide, un pezzetto che arriva dalla Luna o persino da Marte.
Schizzati via dopo un violento impatto e arrivati fino a qui dopo aver vagato per milioni di anni e miliardi di chilometri. In poche settimane i tre ricercatori, assieme al collega francese Jerome Gattacceca, hanno collezionato una trentina di meteoriti: «Tra i più interessanti c’è una condrite carboniosa, un frammento primitivo di quel materiale che ha formato il Sistema solare – riprende Folco – un pezzo di “dado Knorr” da cui si è evoluto tutto. La sua composizione chimica è la stessa del Sole». E poi quello che pensano possa essere un pezzo dell’asteroide Vesta.
Al rientro, previsto per il 5 febbraio, saranno analizzati dal laboratorio di Pisa e poi finiranno al Museo nazionale dell’Antartide di Siena, a disposizione della ricerca scientifica mondiale.
Masotta è il più giovane, non ha ancora 40 anni. Per Folco, 52 anni, questa è invece la decima missione in Antartide. La prima nel 1993, da laggiù ha riportato in tutto un migliaio di “fossili” cosmici.
Alle sette escursioni giornaliere in programma, si aggiungerà un campo remoto 500 chilometri più a sud, 80 gradi di latitudine.
Meteo permettendo. Ma l’estate antartica è al suo culmine, il sole brilla anche a mezzanotte e le temperature in questi giorni sono più miti che a New York: «Sul Plateau arriviamo a meno 20 gradi, con vento a 20 nodi. Alla base, sulla costa, tra i meno cinque e meno dieci. Quando passeggiamo o corriamo, la sera, è come di stare in Sardegna o sul golfo di Napoli. Il granito è come quello di Santa Teresa di Gallura e il monte Melbourne ci ricorda il Vesuvio».