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 2018  gennaio 11 Giovedì calendario

Anna Maria Vignati, detta «Nina», bellissima nobile di Oleggio musa ispiratrice di ’O sole mio

L’altro sole, «ancor più bello», è il viso di una donna oleggese. Al museo civico in provincia di Novara ne conservano una fotografia e lo spartito della canzone che il poeta Giovanni Capurro scrisse nel 1898 ispirandosi proprio a lei: Anna Maria Vignati, detta «Nina», moglie del senatore Giorgio Arcoleo e vincitrice del primo concorso di bellezza di Napoli.
È suo il volto che si nasconde tra le parole del brano «’O sole mio». Sulla partitura, in alto a destra, c’è la dedica: l’aggiunta «Mazza» si deve a Carlo Giacomo Fanchini, fondatore del museo, che ricevette in dono la trascrizione nel ‘63 e inserì il cognome della mamma di Nina perché apparteneva a una delle più tradizionali e ricche famiglie del paese.
Galeotta fu una volpe
Così anche per gli oleggesi più giovani sarebbe stato facile riconoscere l’origine della nobile. «Che incontrò il suo futuro sposo a una battuta di caccia alla volpe – racconta Jacopo Colombo, responsabile del museo ed esperto di storia locale -. Lui veniva dal Meridione e faceva parte del corpo dei cavalieri di Pinerolo.
A quell’epoca il gruppo militare si trasferiva spesso a Oleggio per esercitarsi nella vallata del Ticino. Tra le attività c’era la caccia, a cui partecipava come ospite l’alta nobiltà piemontese e lombarda». Dunque anche la donna, innamorata dell’uomo non ancora senatore e con cui si trasferì a Napoli.
Fra Napoli e Odessa
La sua bellezza stregò Capurro, che consegnò i propri versi all’amico e compositore Eduardo Di Capua. Durante un viaggio con il padre a Odessa, il musicista scrisse la melodia al pianoforte davanti a una finestra affacciata sul Mar Nero e al ritorno completò il lavoro con Alfredo Mazzucchi.
Il riferimento a Nina è in questo passaggio ripetuto più volte: «Ma n’atu sole cchiu’ bello, oi ne’, ’o sole mio sta ‘nfronte a te». Con l’espressione «Oi ne’» si indicava di solito una ragazza, qui l’oleggese che incantò Napoli e suggerì una delle canzoni più celebri al mondo.
In realtà all’inizio il pezzo non riscosse poi così tanto successo: si piazzò secondo – non primo, come è specificato nel documento – al concorso «La tavola rotonda» di Piedigrotta istituito dall’editore Bideri dietro al quasi sconosciuto «Napule bello!».
Morirono in povertà
Il premio rimase comunque l’unico vero riconoscimento concesso a Capurro e Di Capua, che cedettero i diritti della canzone per poche lire e morirono poveri. Nel frattempo «’O sole mio» diventò presto un inno: già nel ’15 la prima interpretazione in inglese a cura del tenore Charles W. Harrison, l’anno dopo la più famosa di Enrico Caruso e nel ’20 quella eseguita alle Olimpiadi di Anversa.
Poi le versioni di Elvis Presley, Luciano Pavarotti e altri ancora. «Ma la ricerca non è conclusa – avvertono al museo –. Stiamo organizzando un incontro con i discendenti dei Vignati, lombardi, per scoprire se esista qualche altra memoria oleggese».