La Stampa, 11 gennaio 2018
Il “pirata” JR a caccia di facce per raccontare le storie invisibili
Il volto del bambino che si affaccia e scruta oltre il muro con il Messico è apparso all’improvviso una mattina dello scorso settembre vicino al check-point di Tecate, nei pressi di San Diego. È un faccione in bianco e nero, alto venti metri, diventato subito virale. È l’ultima provocazione di JR, artista francese di cui non si conosce l’identità ma solo le iniziali. A differenza di Banksy, JR si mostra in pubblico, anche se sempre protetto da occhiali da sole e un cappello modello Fedora. Ormai la sua fama è globale, le sue opere valgono migliaia di dollari e JR ha un piede (o forse anche due) dentro il sistema, ma mantiene ancora la freschezza e la spinta creativa che l’hanno portato a conquistare l’attenzione mondiale appena poco più che ventenne, quando era ancora braccato dalla polizia e dalle gang di writers rivali.
Ora di anni ne ha 37, vive principalmente a New York, ma ha mantenuto il suo studio di Parigi, dove ha appena finito di preparare la mostra che aprirà domani a Londra alla nuova Lazinc Gallery di Steve Lazarides, il gallerista inglese nato a Bristol (stessa città di Banksy di cui è stato a lungo l’agente), supporter e mentore dei graffitari e degli artisti underground.
Tra i progetti più recenti di JR c’è il documentario girato con la regista ottantanovenne Agnès Varda sul tema dell’indifferenza. Il lavoro della strana coppia si intitola Faces Places, è stato premiato a Cannes e tutti dicono che vincerà l’Oscar per la categoria documentari. Facce e luoghi: il tema caro a JR da sempre. Da quando ha iniziato a scribacchiare sui muri, a seguire le «crew» di writers nella banlieue parigina dove è nato e cresciuto in un palazzone popolare, in una casa troppo piccola per tutta la famiglia, per cui la madre tunisina e il padre dell’Est europeo dormivano sul divano in salotto. A 17 anni JR è stato espulso da scuola e nelle sue scorribande è stato più volte fermato dalla polizia. «Venga a riprenderselo», telefonavano a casa. «Tenetevelo», rispondeva la madre.
Poi, come spesso capita nelle vite degli irregolari destinati a non finire spacciatori di piccolo calibro, un giorno sul sedile di una metropolitana parigina JR trova una vecchia macchina fotografica e capisce che quella è la sua strada. Non più scalare i tetti dei palazzi per lasciare un marchio ribelle, ma catturare immagini. La fotografia, ha capito JR, è un mezzo molto più potente e ti permette di raggiungere molte più persone.
Così inizia a scattare foto e ad appiccicarle sui palazzi. Colla, carta, fotocopie in bianco e nero, che costano poco e rendono l’opera distinguibile dai colori della realtà. Facce di persone, palazzi, luoghi. Il tema costante della sua opera. Diventa famoso nel 2005, durante la rivolta che infiammò Parigi, quando una sua installazione sul muro del complesso popolare di Les Bosquets diventa icona della protesta.
È fotografo, ma anche filmmaker e i suoi progetti hanno sempre al centro l’uomo, la libertà, le identità, la cittadinanza, l’indifferenza. La tecnica resta la stessa: grandi installazioni in bianco e nero, immagini di occhi o volti di persone, per raccontare storie invisibili. A 28 anni ha già fatto installazioni pirata nei quartieri topaia in India, Cambogia, Kenya, Sud Sudan. Va all’Avana dove riempie i muri, abituati solo alle immagini del Che e di Fidel, con i volti rugosi di vecchi isolani. A Ellis Island ripopola i luoghi dove sbarcavano gli immigrati con foto e sagome a grandezza naturale. Nel 2008 fa scalpore a Rio de Janeiro, dove tre giovani della più antica favela brasiliana erano stati uccisi per strada nell’indifferenza generale. JR è andato dove né la polizia né le ambulanze osavano entrare. Ha parlato con le persone, ha vissuto con loro, ha fotografato i loro volti e poi ha attaccato sulle baracche le gigantesche immagini degli occhi di quelle persone. L’installazione è stata filmata dagli elicotteri delle televisioni di mezzo mondo: volti e persone, la favela non era più invisibile. Sempre a Rio, per le Olimpiadi, ha installato su un palazzo un saltatore alto cinque piani.
Opere spettacolari e idee mostruosamente ambiziose, come Inside Out (Dentro fuori), un progetto internazionale iniziato nel 2011 che consiste nel girare per il mondo con il suo camper e fotografare più facce di persone possibili, di diverse etnie, religioni, culture o tendenze sessuali. E poi ricoprire con questa «diversità» i palazzi delle città. Lo ha fatto da Shanghai alla Germania, da Aspen a Hong Kong, da Londra al Pantheon di Parigi.
Il mondo è la sua tela, la sua arte è effimera come la carta e l’inchiostro che usa, e resiste finché la pioggia e le intemperie non se la portano via. Ma anche questo fa parte del gioco.