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 2018  gennaio 10 Mercoledì calendario

Salario minimo, rischio impatto sul costo del lavoro

Il salario minimo legale è entrato nel dibattito elettorale, dopo che il leader del Pd, Matteo Renzi, lo ha proposto spingendosi fino ad indicare la soglia minima di 9-10 euro l’ora.
Si tratta di un istituto largamente diffuso nel mondo, lo applica il 90% dei Paesi membri dell’Ilo, il 70% dei Paesi dell’Ocse e 22 dei 28 Paesi della Ue. In Europa non è applicato dall’Italia che è in compagnia di Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia, nazioni che hanno affidato alla contrattazione collettiva tra le parti sociali il compito di individuare le quote salariali di riferimento per ciascun settore. In Italia l’85% dei lavoratori è coperto dai contratti collettivi e percentuali più alte si registrano nei Paesi scandinavi e in Austria. La gran parte dei Paesi, invece, ha scelto di affidare a commissioni di esperti (spesso anche con rappresentanti delle parti sociali) o al governo stesso il compito di individuare per via legislativa una soglia minima salariale oraria da applicare a tutti i lavoratori subordinati. C’è poi un gruppo di Paesi (tra essi Germania, Francia, Belgio, Spagna e Portogallo) in cui si utilizzano entrambi gli istituti.
Non è la prima volta che Renzi lancia questa idea. Già il Jobs Act prevedeva di introdurre un compenso orario minimo, in via sperimentale, per i settori non regolati dai contratti collettivi, da estendere anche ai Cococo. Il governo non esercitò la delega di fronte alla sollevazione delle parti sociali, preoccupate dalle conseguenze in termini di perdita del ruolo della contrattazione e dal ridimensionamento del loro ruolo. Nelle analisi degli esperti, si ipotizzò un salario minimo orario compreso tra i 6,5 euro e i 7 euro, ben al di sotto dunque della fascia indicata adesso da Renzi. «La soglia del salario minimo – spiega Andrea Garnero, economista Ocse (membro della Commissione francese sul salario minimo) – viene posizionata generalmente tra il 50 e il 60% del salario mediano che si aggira intorno ai 12 euro, di qui si è arrivati alla forbice di 6,5-7 euro. Se viene individuato un livello toppo alto le imprese perdono in competitività, si ha un impatto sul costo del lavoro, perché va alzata quella quota di salari posizionata al di sotto della soglia, con ricadute negative sull’occupazione. Le imprese potrebbero essere spinte a licenziare o a sostituire lavoratori con macchine o a rivalersi sui prezzi, alimentando l’inflazione». Garnero ha osservato che tutti i lavoratori dipendenti sono formalmente coperti dai Ccnl in Italia, ma c’è un «12% che è sottopagato rispetto ai minimi contrattuali».
Alla platea di lavoratori “deboli” – gli indipendenti, o utilizzati per i lavoretti dalle piattaforme online -, esclusi dal raggio d’applicazione dei Ccnl, guardano i sostenitori del salario minimo legale. Ma questo istituto generalmente si applica al lavoro subordinato non agli autonomi (lo strumento in questo caso è l’equo compenso), per loro potrebbe essere solo un riferimento, senza alcun automatismo applicativo da parte dei giudici in caso di contenzioso. «Il salario minimo non serve al lavoro subordinato – sostiene Arturo Maresca, ordinario di diritto del lavoro a La Sapienza di Roma – perché la retribuzione di riferimento è fissata dai Ccnl, e la giurisprudenza ritiene che il salario sufficiente è quello della contrattazione. Non serve neanche a ridurre i contratti “pirata” perché questi rapporti fasulli non incidono sui minimi tabellari ma su ulteriori elementi economico-normativi». Il riferimento è a quei 868 contratti censiti dal Cnel, per due terzi “pirata”, siglati da organizzazioni poco rappresentative, con condizioni normative e retributive inferiori a quelle dei Ccnl standard di riferimento, proliferati in assenza di controlli e di regole sulla rappresentanza.
«La copertura della contrattazione collettiva in Italia garantisce già un salario minimo de facto per l’85% dei lavoratori – aggiunge Francesco Seghezzi, direttore generale della Fondazione Adapt -, non sembra quindi che il salario minimo sia una priorità per il nostro mercato del lavoro. Inoltre le differenze territoriali rendono difficile immaginare un salario minimo nazionale uguale per tutto il Paese. Se poi il salario fosse pari a 5-6 euro, come le stime migliori sostengono, le imprese potrebbero essere spinte ad avvicinarsi al salario minimo, anche livellando verso il basso le retribuzioni».