Il Messaggero, 9 gennaio 2018
Nuove lievitazioni, la pizza è cambiata
Ormai si può parlare di rivoluzione copernicana nel mondo della pizza. Cibo pop, costruito per riempire con gusto lo stomaco, oggi l’universo pizza sta invece diventando soggetto di alta gastronomia, con un lavoro sempre più sofisticato per rendere il prodotto leggero e digeribile, ma anche intrigante al palato.
Il vecchio spartiacque tra lo stile napoletano – alta e col cornicione – e quello romano – bassa e scrocchiarella – è diventato in qualche modo obsoleto con la ricerca esasperata dedicata a farine e lievitazioni. Assistiamo a un felice ritorno di farine biologiche, a lunghe lievitazioni, ma anche a lavorazioni speciali sugli impasti che vanno dall’alta idratazione (per un risultato croccante) all’idrolisi degli amidi, per avere un prodotto del tutto privo di lievito, dalla maturazione naturale di 24 ore con pasta madre, all’uso solidale della farina di canapa.
IL GRANOAl pizzaiolo infarinato di una volta si sostituisce uno scienziato di cotture e lieviti per ottenere una pizza di elevato valore nutrizionale. Ogni dettaglio viene analizzato, comprese le cotture finali fuori dal forno, per alcuni tipi di pizza, per salvare il sapore originale degli ingredienti. Non stupisce quindi che ci sia persino chi, come il maestro pizzaiolo Guglielmo Vuolo, dopo centinaia di esperimenti, è riuscito a realizzare una pizza di grano arso, fatta maturare più di venti ore, ma soprattutto resa rivoluzionaria grazie all’impiego di acqua di mare purissima nell’impasto, col risultato di una esaltazione del sapore di ogni singolo ingrediente, e di una eleganza davvero inusitata.
Ma non c’è solo chi fa impiego dell’acqua di mare. Basta fare un salto a Montmartre, il vecchio quartiere degli artisti di Parigi e affacciarsi da Bijou, oggi la pizzeria (ma il termine è riduttivo) di Parigi, per trovare degli impasti realizzati con un grande champagne che stanno facendo impazzire i gourmet parigini. Non è una provocazione fine a se stessa, però, ma la filosofia di Gennaro Nasti, napoletano doc, e pizzaiolo-chef, ovvero un artista della pizza che usa impasti complessi come supporto a ricette messe a punto con materia prima al top della qualità. È la stessa filosofia a Roma che Edoardo Papa applica nella sua In Fucina al Portuense, dove i clienti vengono accompagnati lungo un percorso di degustazione dove marinara e margherita sono affiancate a piatti appoggiati a una base di pasta.
La pizza diventa un modo per ospitare sapori e ricette. Basti pensare al grande percorso fatto da un vero e proprio maestro come il grintoso Gabriele Bonci che, dal suo laboratorio romano di via della Meloria, ha saputo conquistare il palato dei romani con il più umile degli street food, la pizza al taglio, rinnovata negli impasti e con l’impiego di prodotti di nicchia.
La pizza nuova non perde però il cuore antico: cresce in ogni dettaglio della sua lavorazione e farcitura. Senza perdere di vista anche la possibilità di provocare senza ricorrere a combinazioni di alta cucina. Come ha fatto a Roma il geniale Stefano Callegari, che si è inventato il goloso trapizzino, un triangolo di pasta di pizza ripiegato per contenere ricette classiche come le seppie con piselli o la coda alla vaccinara.