il Giornale, 10 gennaio 2018
Ecco il piano di Renzi per provare a contare anche con una débâcle
4 VOTI PER MATTEO
Se non superano il 3%, i voti di queste tre liste serviranno solo ad eleggere
parlamentari del Pd
Lo sa bene Pier Luigi Bersani quante volte gli si è rivolta contro quella frase pronunciata subito dopo le elezioni del 2013, quel sincero e per certi versi disarmante «abbiamo non vinto». In quante occasioni proprio Matteo Renzi ha ricordato che tutto ciò che è successo dopo – a cominciare dal governo di larghe intese con Pd e Pdl – fu colpa di quell’esito elettorale. Eppure, il prossimo 4 marzo è proprio una «non vittoria» la carta su cui il segretario del Pd sta disperatamente puntando il tutto per tutto. Per salvare se stesso ed ottenere il massimo beneficio da una tornata elettorale che per Renzi e tutto il Pd si annuncia davvero ostica.
I sondaggi, infatti, continuano a registrare un trend decisamente negativo per i dem. Un vero e proprio tracollo, iniziato bruscamente alla fine dell’anno, quando i riflettori sono tornati improvvisamente sulla vicenda Banca Etruria e su Maria Elena Boschi. Nonostante la querelle bancaria si sia andata silenziando, il calo è continuato inarrestabile e a inizio di questa settimana alcune delle rilevazioni riservate nelle mani delle segreterie dei partiti davano il Pd addirittura al 22%. Ben al di sotto, dunque, del 25% portato a casa da Bersani nel 2013. Per il Pd sono numeri preoccupanti, soprattutto se letti insieme alla contestuale crescita dei Cinque stelle, sempre più primo partito con il 28%. È proprio verso M5s, infatti, che si sarebbe spostato un pezzo dell’elettorato dem.
Alle elezioni, però, si può correre da soli come i Cinque stelle o in coalizione come faranno centrodestra e centrosinistra. E i sondaggi danno decisamente avanti l’alleanza tra Forza Italia, Lega, FdI e i centristi di Noi per l’Italia, con il Pd e i suoi alleati costretti a inseguire a diverse lunghezze. Eppure, nonostante si prospetti per Renzi una sonora sconfitta, il segretario dem potrebbe riuscire a ottimizzare i vantaggi del Rosatellum incrementando voti e seggi. La nuova legge elettorale, infatti, prevede che in una coalizione possano accedere alla ripartizione dei seggi solo le liste che superano il 3%. E per queste liste entra in funzione una sorta di moltiplicatore, visto che gli vengono assegnati in modo proporzionale anche i seggi dei partiti presenti in quella stessa coalizione che non arrivano però alla fatidica soglia del 3% (purché superino l’1%, altrimenti i voti non vengono comunque computati).
Nel centrodestra saranno almeno tre i partiti che supereranno lo sbarramento (solo Noi per l’Italia è sul filo), accedendo così tutti insieme all’eventuale moltiplicazione dei voti nel caso ci siano in coalizione liste sotto il 3%. Diverso, invece, è il discorso per il centrosinistra dove il Pd sarà con ogni probabilità l’unico partito a superare la soglia, accaparrandosi da solo il moltiplicatore per le altre tre liste che fanno parte della coalizione: +Europa di Emma Bonino e Bendetto Della Vedova, Civica popolare di Beatrice Lorenzin e Insieme (la lista del Partito socialista e dei Verdi). Un pacchetto di voti da non sottovalutare visto che, sondaggi alla mano, i cosiddetti «altri» della coalizione di centrosinistra sono quotati al 4-5%.
Questo significa che se anche Renzi riuscisse nell’impresa di portare il Pd sotto la quota Bersani, magari sprofondando fino al 22% che gli attribuiscono oggi alcune rilevazioni, potrebbe comunque contare su un numero di parlamentari «gonfiato» anche del 4-5% in virtù del Rosatellum. Il che gli permetterebbe – nonostante una oggettiva débâcle – di portare a casa un risultato non di poco conto: in quanto a numero di deputati e senatori, infatti, il Pd potrebbe perfino essere il primo gruppo parlamentare di Camera e Senato. Ed è su questo che punta Renzi per poter dire nonostante tutto di non aver perso.