la Repubblica, 10 gennaio 2018
«Macron è un eroe da romanzo e Brigitte la sua Emma Bovary». Intervista a Philippe Besson
PARIGI L’elezione di Emmanuel Macron come un romanzo.
Philippe Besson ha deciso di seguire la campagna elettorale del giovane tecnocrate quando ancora nessuno scommetteva su di lui. Tra colpi di fortuna e improvvise cadute degli avversari, non c’è stato bisogno di scrivere la trama. «La realtà ha superato la finzione» racconta Besson. Un personnage de roman, titolo del libro pubblicato da Julliard qualche mese fa, non ancora tradotto, permette di aprire uno scorcio nell’intimità del giovane leader. Macron arriva oggi a Roma di ritorno dalla Cina dove ha annunciato l’apertura di un museo Pompidou a Shanghai.
Romanziere un tempo schierato a sinistra, pubblicato in Italia da Guanda, Besson dedica al presidente-filosofo un libro empatico, seguendo un esercizio letterario praticato in passato da Yasmina Reza con Nicolas Sarkozy ( L’aube le soir ou la nuit) e da Laurent Binet con François Hollande (Rien ne se passe comme prévu).
È ormai un genere letterario, questo dei libri dedicati ai candidati all’Eliseo?
«Reza e Binet scoprivano il candidato nel corso del racconto. Io invece conoscevo Macron da tempo. Ci siamo incontrati a una cena nel 2014. È arrivata Brigitte e a fine serata anche Emmanuel, in ritardo come al solito. C’è un’altra differenza tra il mio libro e quelli di Reza e Binet: Macron aveva poche chance di vincere. Se fosse stato favorito non avrei scelto di seguirlo. Ero attratto dalla traiettoria di un uomo che sfida il calcolo delle probabilità, capace di prendere dei rischi».
Anche Emmanuel Carrère ha fatto un racconto breve su Macron. L’ha letto?
«Un testo formidabile, mi ha ricordato L’Avversario».
Macron come l’assassino Jean-Claude Romand?
«Nell’occhio del romanziere c’è lo stesso desiderio di indagare su qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. E c’è una fascinazione.
Carrère è stato sedotto».
È impossibile resistere al presidente?
«È un uomo speciale. Esagero? No, proprio perché siamo amici. Sono parziale, forse manipolato, ma il lettore lo sa».
Non ha paura di essere marchiato a vita come scrittore macroniano?
«Pubblicare un libro significa rendere pubblico: non si può avere paura. Sono convinto che lo scrittore non debba vivere rinchiuso in una Torre d’avorio, ignorando guerre o elezioni».
Macron ha voluto rileggerlo?
«Ho inviato il libro all’Eliseo solo qualche giorno prima dell’uscita.
Ormai era stampato, non erano possibili correzioni».
Il presidente è invece critico con gli intellettuali francesi.
«Siamo passati da Jean-Paul Sartre a Michel Onfray. Oggi molti intellettuali si accontentano di fare gli opinionisti, sull’attualità».
Il libro parla anche molto di Brigitte. Perché?
«Non si capisce Macron senza Brigitte. La loro unione si è costruita nell’avversità. Hanno sopportato maldicenze, infranto tabù, vinto il disprezzo sociale. È qualcosa che conosco, io omosessuale cresciuto in provincia. Come loro avevo due strade: impiccarmi o dimostrare a tutti che ce l’avrei fatta».
Fa il paragone tra Brigitte e Emma Bovary.
«Ha passato metà della sua vita sposandosi secondo i canoni, facendo figli. Poi a quarant’anni ha incontrato un “matto”, così le dice un giorno sua figlia che è in classe con Macron. Fortunatamente lui non è Charles Bovary».
Gli eroi fanno spesso una fine tragica…
«Finora non ha commesso gravi errori, regna in un paesaggio politico devastato. Eppure, secondo la tradizione, noi francesi eleggiamo un monarca repubblicano per poi decapitarlo».
Che succederà quando la fortuna lo abbandonerà?
«Sono convinto che saprà essere all’altezza anche se ci saranno crisi o eventi drammatici. Piuttosto è l’ordinaria routine a essere pericolosa per chi, come lui, si sente straordinario».
Il potere l’ha cambiato?
«È aumentata la sua parte opaca, assomiglia sempre più a Mitterrand. Teorizza la verticalità e la rarefazione del potere. Per il resto, è sempre affettuoso, tattile, e continua a mandare sms alle due di notte».