Corriere della Sera, 10 gennaio 2018
Quegli atleti dell’altro mondo (con il calcio e l’Italia nel mirino)
Benvenuti al Sud. Ai Giochi di Pyeongchang, tra 29 giorni, i faccini spaesati dei pattinatori Ryom Tae-Ok e Kim Ju-Sik, sorridenti sotto il gonfalone con la stella rossa comunista, piazzeranno la bandierina della Repubblica popolare democratica di Corea sul risiko dello sport mondiale. E pazienza se le spese sostenute dalla coppia nordcoreana per qualificarsi alla XXIII Olimpiade invernale sono state in gran parte anticipate dal Comitato olimpico internazionale, gran mediatore dell’operazione-simpatia, e dal coach francese che li allena a Montreal, Bruno Marcotte: «I ragazzi non hanno carta di credito né patente, non è facile viaggiare con loro – racconta —. E non si separano mai dal loro allenatore nordcoreano e dal funzionario della Federghiaccio che li accompagna».
Ma i dettagli, in questa storia di diplomazia e marketing, sono note a margine. Quel che importa sottolineare, a quasi trent’anni dal boicottaggio di Seul 1988, l’Olimpiade sudcoreana estiva, è che Kim Jong-un ha deciso di usare lo sport come potente strumento di propaganda nei due sensi: all’interno (gli atleti verranno esibiti come simboli di modernità e, in caso di improbabile medaglia, ricompensati con auto di lusso e appartamenti a Pyongyang, la capitale) e all’esterno (la Corea del Nord esiste e sfila accanto ai nemici americani). Cinquantadue anni dal piattone destro di Pak Doo-ik— né un cameriere né un dentista ma un modestissimo centravanti, pescato dall’esercito, capace di azzeccare il gol della vita – che folgorò Albertosi eliminando l’Italia di Fabbri dal Mondiale 1966, non sono passati invano.
Pak, 74enne, è da oltre dieci lustri ambasciatore della famiglia Kim e del regime, che non perde occasione di definire «lungimirante al punto da scrutare con saggezza il futuro». L’idolo calcistico dei giovani oggi si chiama Han Kwang-song e gioca, attaccante, in Italia. È stato il primo calciatore nordcoreano a debuttare (Cagliari-Palermo) e segnare (Cagliari-Torino) in serie A, prima che i sardi lo mandassero in prestito a Perugia, in B, dove Han – grazie al business del presidente Santopadre – ha potuto indossare per la prima volta, a 19 anni, un paio di jeans, odioso simbolo capitalista (il 70% del suo ingaggio va alla Federcalcio). È lui la testa d’ariete degli investimenti di Kim Jong-un nel calcio (a Pyongyang c’è lo stadio più grande del mondo: capienza 150 mila spettatori): l’umiliante 7-0 rimediato dal Portogallo di Ronaldo al Mondiale 2010, che deluse mortalmente Kim Jong-il, non dovrà mai più ripetersi. Se per anni «April 25», la polisportiva dell’esercito, è stata il vivaio dei talenti, nel 2013 è stata fondata l’International Football School, maggior investimento sportivo del regime. Obiettivo della nazionale allenata da Jorn Andersen, c.t. norvegese consigliato a Kim dall’amicone Dennis Rodman, ex stella Nba, i petrodollari di Qatar 2022.
Primo oro nordcoreano ai Giochi estivi Ri Ho-jun (tiro, Monaco ‘72). Miglior Olimpiade, Londra 2012: 3 ori. Primo podio invernale Han Pil-hwa (argento nel pattinaggio velocità a Innsbruck ‘64). Pyeongchang 2018, insomma, non sarà una messe di medaglie. Varcare le porte di Olimpia con la bomba nucleare in tasca senza far suonare il metal detector: quello sì, che sarà un trionfo.