La Gazzetta dello Sport, 10 gennaio 2018
Conti donasti. Bruno, Daniele e ora Brunetto
«Di Bruno ce n’è uno…». Il resto del coro che i tifosi della Roma dedicano a Conti, per differenziarlo da un altro Bruno eccellente, Giordano, ve lo risparmiamo. Di Bruno, in realtà, ce ne sono due da quando, il 13 giugno 2002, Daniele Conti decise di chiamare così il suo primogenito. Tale nonno, tale padre, tale figlio: Bruno, Daniele, Bruno, per nonno e papà «Brunetto», sin da quando era piccolo. Ora Brunetto è cresciuto, è alto quasi come il padre e più del nonno, e in questi giorni è a Coverciano, dove ovunque ti giri trovi foto dell’Italia di Bearzot. Il 2018 della Nazionale Under 16 è iniziato con il Torneo dei gironi, che da ieri a domani vede in campo i migliori 60 giocatori selezionati nati nel 2002. Brunetto c’è, e quando ieri si sono ritrovati tutti in campo, chi non lo conosceva lo ha guardato con occhi diversi e pensato: «Ma ti chiami proprio così?». Gli hanno dato la maglia numero 7, lui ha giocato un tempo – il primo – con la selezione A (guidata da Patrizia Panico) che ha battuto 4-1 la selezione B. Con nonno in tribuna.
LONTANO DA ROMA Non è la prima volta che Brunetto è convocato con le Nazionali giovanili: era già successo, per la prima volta e con l’U15, nel 2016, a Roma, all’Acqua Acetosa. A due chilometri dallo stadio Olimpico, dove Bruno ha fatto la storia e Daniele segnò il suo primo gol in Serie A: era il 5 dicembre 1998, a vedere Roma-Perugia c’erano quasi 50mila persone. A Daniele non sembrò vero di fare gol con la maglia della Roma: non riuscì a trattenersi, corse sotto la curva Sud nonostante fosse già ammonito. L’arbitro, il padovano Bettin, non ebbe pietà: cartellino rosso. Nell’estate successiva, non certo per quell’episodio, il Cagliari avrebbe acquistato la metà del suo cartellino e, nel 2000, il trasferimento sarebbe diventato definitivo. Forse, per la carriera di Daniele, è stato meglio così: lo ha riconosciuto anche lui. «L’ambiente sarebbe stato impossibile anche per il cognome che porto». Con Cristian Totti i paragoni si sprecano e i bookmaker fanno le quote sull’esordio in A; Brunetto, invece, si gode i suoi 15 anni nell’Under 16 del Cagliari (allenata da David Suazo) con spensieratezza, senza che i più grandi spendano una parola in più oltre quelle di circostanza. Bruno si è limitato a dire che «ha un buon mancino e un buon carattere, ma va lasciato crescere senza pressioni»; Daniele, invece, è un papà come gli altri anche sui social network: il 13 giugno, giorno del 15° compleanno di Brunetto, postò un selfie al Bernabeu, con una dedica. «Ti amo». Lo stesso amore, visto con altri occhi, che Bruno ha dato e ricevuto da Roma, e che Daniele ha dato e ricevuto da Cagliari.
TRE GENERAZIONI Bruno, «Marazico», con la Nazionale ha vinto il titolo mondiale nell’82, e in finale contro la Germania fece ammattire mezza difesa tedesca; Daniele, che alla Roma ha segnato più di ogni altra squadra e che, con gli anni, si è strappato di dosso l’etichetta di «figlio di», ha vestito solo la maglia dell’Under 21 (sostituì Cassano in un’amichevole contro il Messico nell’agosto del 2000, Tardelli allenatore). Brunetto ha tutto il tempo di divertirsi, ma è già al secondo step della trafila delle giovanili. Chi lo ha visto giocare, parla di un misto tra papà e nonno: di Bruno ha preso il sinistro, di Daniele il ruolo, di entrambi la personalità. L’ultima volta che sono stati assieme su un campo di calcio, i Conti erano addirittura cinque: Daniele, la scorsa estate, ha organizzato un Summer Camp a Cagliari e Villasimius che portava il suo nome e, oltre ai tre, c’erano anche Andrea – dei due figli di Bruno, quello che ha avuto meno fortuna con il calcio – e Manuel, il fratellino di Brunetto.
LA LETTERA Manuel è nato nel 2006, gioca anche lui nelle giovanili del Cagliari: dopo un gol al Torino, nel novembre del 2013 papà lo andò a cercare e lo abbracciò, esattamente come aveva fatto neanche un anno prima (sempre dopo un gol al Torino) con Brunetto, che faceva il raccattapalle. A quell’emozione, nonno Bruno aveva retto. Alla seconda, scrisse una lettera a L’Unione Sarda, con la penna e il cuore: «Pensavo di averle vissute e provate tutte, poi mi ritrovo a 58 anni sul divano davanti alla tv con le lacrime agli occhi, e tua madre accanto, non spiccica parola, mi guarda incantata e troppo emozionata e felice per parlare e rompere l’incantesimo (...). Quell’abbraccio racconta una famiglia, la nostra famiglia. Perché tutti conoscono il grande calciatore che sei diventato, in pochi però sanno quanto tu sia un grande uomo, un grande figlio, un grande padre». Quella della dinastia Conti, invece, è una grande storia: un po’ colorata di giallorosso, un po’ di rossoblù. Ma anche d’azzurro.