La Stampa, 10 gennaio 2018
Intervista a Mirkoeilcane: Umana, non politica. La mia canzone racconta il bambino nel barcone
Mirkoeilcane, all’anagrafe Mirko Mancini, cantautore romano classe ’86, competerà a Sanremo nella categoria Nuove proposte con Stiamo tutti bene. Il testo, più recitato che cantato su una base da opera rock, racconta la storia di un piccolo migrante che si mette in viaggio su un barcone con la madre, senza sapere nemmeno il perché. Il brano ha commosso la giuria di Sarà Sanremo per l’impatto emotivo dell’argomento e per la scelta di raccontarlo con la tenera incoscienza del bambino: «Volevo che il pezzo trasmettesse un’emozione – dice Mirko -, anche per me è stato complicato trattenere le lacrime».
Non è un tema un po’ facile?
«È facile nel senso che è qualcosa a cui siamo abituati, ma questa è una malattia del nostro tempo, abituarsi a certe atrocità. Racconto la storia dal punto di vista di un bambino e forse così fa più breccia di un servizio al Tg».
Nel suo mondo ideale come risolverebbe il problema?
«Basterebbe rendersi conto di ciò che vive quella gente, basterebbe parlare con qualcuno di loro. Io l’ho fatto, ho conosciuto un ragazzo in un locale qui a Roma, lì mi è venuta l’idea. Pensa se un giorno torni a casa e trovi i genitori morti. Può essere una vita normale? Può essere che esci per giocare a pallone e rischi di essere rapito? Se parlasse con i migranti, scommetto che anche il più schierato contro di loro, il più cattivo, il più radicale, cambierebbe idea».
Quindi sarebbe felice se un giorno in Italia ci fosse lo «Ius soli»?
«Io di politica non so nulla, ci tengo a precisarlo, è una questione umana, non politica. Non possiamo dire soltanto sì o no, la canzone non è schierata politicamente, invita a provare empatia. C’è chi dice “aiutiamoli a casa loro”, io vorrei capire che cosa si intende per “casa loro”. Come io sono libero di camminare fino a casa loro e vivere con le loro tradizioni, nel loro spazio, non vedo perché non possa valere il contrario».
C’è una nuova ondata di cantautori di Roma di successo, come Paradiso, Contessa, Gazzelle, Calcutta. Si vede insieme a loro?
«No. Io vengo da tutt’altro scenario, ero un chitarrista, adesso faccio il cantautore. Mi sembra che molti di loro si vogliano omologare, preferiscono fare un suono più trasmissibile e più riconoscibile piuttosto che cercare di scrivere canzoni personali. Ci siamo visti un po’ con tutti, ma non ci siamo mai stretti la mano. C’è una corsa all’oro, io ho sempre cercato di rimanere sulla mia stradina. Di certo non cercherò mai di fare qualcosa che non mi appartiene».
Mai pensato di cambiare stile?
«No, mai. Nel periodo in cui le cose non andavano, mi è venuta voglia di prendere un aereo e andare a vivere lontano».
In molti l’hanno paragonata a Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, Samuele Bersani.
«La cosa più antipatica che si può dire è: “Tu sei uguale a questo o a quest’altro”. Non ho alcuna volontà di copiare quelli che ha nominato, anche se è chiaro che mi piacciono molto e che mi hanno influenzato. Come Dalla, De Gregori, Fossati, Stefano Rosso, i Beatles».