Il Sole 24 Ore, 9 gennaio 2018
Firenze nel limbo del nuovo stadio
A Firenze le grandi storie d’amore durano al massimo dieci, dodici, quindici anni ma si portano dietro qualcosa d’irrisolto che resta per sempre. Se proprio non vogliamo tirare in ballo Dante e Beatrice e quel legame ideale che li ha uniti oltre la morte, parliamo di calcio: il rapporto tra la città e le famiglie proprietarie della Fiorentina – club che come pochi altri è fattore di identità – fa molta fatica a superare la soglia del 15esimo anno.
Ci si innamora, arriva il momento delle promesse, il grande sogno sembra a un passo, quindi incombe inesorabile la crisi. Accadde con i conti Pontello, rimasti in sella per tutti gli anni Ottanta tra Antognoni e il giovane Roby Baggio, con Cecchi Gori, a un soffio dal sogno scudetto ai tempi delle mitragliate di Batistuta, oggi sembra accadere di nuovo con i Della Valle, protagonisti di una parabola per certi versi storica: partenza dalla C2 dopo il fallimento della vecchia Fiorentina datato 2001, rapida scalata in A, addirittura due partecipazioni in Champions League nel 2008-2009 e nel 2009-2010 con Prandelli in panchina e Mutu in campo, la vittoria del campionato che sembra di nuovo alla portata. Ma non arriva, tanto che a distanza di otto anni da quei giorni il club galleggia a centro classifica con una squadra imbottita di giovani, da Federico Chiesa in giù, affidata alle mani esperte di Stefano Pioli, dopo essersi privata l’estate scorsa di Bernardeschi, il talento più importante in rosa finito a ingrossare le fila della «odiata» Juventus. Una situazione di limbo che neanche al canto IV dell’Inferno. «Di doman non c’è certezza», diceva l’uomo che più di chiunque altro ha fatto grande Firenze, figuriamoci cosa possano mai dire di questi tempi i fiorentini che, pure avendo inventato il «giuoco» più amato al mondo, sono appesi a due grandi incognite, per giunta interconnesse: la nascita del nuovo stadio direttamente in mano al club e le intenzioni di Diego e Andrea Della Valle che potrebbero passare la mano.
Partiamo da quest’ultimo punto. A giugno, in un comunicato ufficiale, la proprietà della Fiorentina si diceva «assolutamente disponibile, vista l’insoddisfazione di parte della tifoseria, a farsi da parte e mettere la società a disposizione di chi voglia acquistarla per poterla poi gestire come ritiene più giusto fare. È questo il momento in cui chi vuole bene alla maglia viola e ritiene che la società possa essere gestita diversamente e con maggiore successo, deve farsi avanti». Il feeling tra gli imprenditori di Tod’s e Hogan e la piazza sembra ai minimi storici, come dimostra il fatto che prima di Natale, per la prima volta, abbiano disertato la tradizionale cena di fine anno. La partita con il comune di Firenze per il nuovo stadio va avanti all’insegna del fair play, ma sembra arrivata a una fase in cui i rimpalli prevalgono sul fraseggio. Il progetto, presentato a dicembre 2016, è molto ambizioso: investimento in project financing da 400 milioni per 4mila posti di lavoro che arriverebbero a 8mila con l’indotto. La procedura individuata per l’operazione è quella prevista dai commi 303 e 304 della Finanziaria del 2013, «qualcosa di non troppo diverso – sottolinea il sindaco di Firenze Dario Nardella – dal modello che ha portato alla costruzione dello Juventus Stadium a Torino». Seguendola si dovrebbe arrivare a una struttura per 40mila spettatori, con spazi commerciali da 50mila metri quadri e 10mila metri quadri da destinare a servizi turistico-ricettivi. L’operazione, però, prevede incastri tutt’altro che semplici a nordovest della città: il nuovo aeroporto che ha già incassato la Verifica di impatto ambientale condivisa dai ministeri di Ambiente e Beni culturali porterebbe allo spostamento dei mercati ortofrutticoli Mercafir nell’area di Castello, oggi di proprietà di Unipol, con la conseguente liberazione degli spazi su cui dovrebbe sorgere la cittadella viola. «Noi siamo pronti a fare la nostra parte – sottolinea Nardella – approvando la variante urbanistica al più presto. Con queste premesse il 2018 potrebbe essere l’anno buono per la conclusione dell’iter amministrativo e il 2019 quello dell’inizio dei lavori». Da qui un appello del sindaco ai Della Valle «a rilanciare il loro rapporto con la città che chiede soprattutto chiarezza». Ma intanto la Fiorentina prende tempo. Prima delle festività ha annunciato che si riserva altri sei mesi per presentare il progetto definitivo dello stadio: prima vorrebbe valutare nel dettaglio i contenuti della variante urbanistica. I tecnici di Palazzo Vecchio si sono anche incontrati con gli emissari dei Della Valle, facendo il punto sullo stato di avanzamento del piano che doveva essere consegnato entro il 31 dicembre del 2017. Si va insomma ai tempi supplementari che ai toscani, nel corso della lorolunga storia, non sempre hanno portato bene.
La cosa chiara più o meno a tutti è che con l’impianto direttamente gestito dalla Viola ci sarebbero i presupposti per far crescere un fatturato nel 2016 a quota 135,4 milioni, in virtù di un territorio di riferimento che, mettendo insieme tutta la provincia, supera di poco il milione di abitanti. «Fare calcio oggi», secondo Luigi Salvadori, presidente di Confindustria Firenze e grande tifoso gigliato, «è molto complicato, tanto più se non puoi contare su un grande bacino d’utenza. Ti scontri con multinazionali e gruppi finanziari parecchio strutturati. Il progetto di stadio, comunque la si metta, renderebbe più sostanziosi i ricavi». Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di commercio fiorentina, «da imprenditore» elogia la gestione Della Valle, per quanto «da tifoso» si augurerebbe «un progetto ben definito. Lo stadio può essere la chiave di volta: sia in un’ipotesi di rilancio da parte dei Della Valle che per una exit strategy», contando sul fatto che «il brand Firenze è potentissimo sui mercati internazionali» e qualche investitore pronto a scommettere sulla Fiorentina potrebbe pure spuntare. Qualcuno capace di far sognare in grande una piazza passionale che non vede lo scudetto dal 1969, quando in panchina sedeva l’argentino di Napoli Bruno Pesaola, «un’epoca magica per la città – secondo lo scrittore fiorentino Marco Vichi che proprio nella Firenze di quegli anni ambienta i gialli bestseller del commissario Bordelli – che aveva nella squadra di calcio un pezzo irrinunciabile del proprio immaginario». Ma potrebbe mai tornare lo scudetto in riva all’Arno? «Non è questo il punto», secondo Giovanni Galli, per nove anni portiere viola ai tempi di Socrates, uno che, lontano da Firenze, ha vinto tanto. «Premetto che, per quanto mi riguarda, i Della Valle me li terrei stretti: non sono molti nel mondo del calcio gli imprenditori seri. Quanto alla piazza, qui si chiede soprattutto chiarezza. Che si tratti di lottare per il titolo o per il centro della classifica, sarebbe opportuno che Diego Della Valle in persona venisse allo scoperto». Dicendo cose che, tirando in ballo Dante, «’l tacere è bello».