Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 09 Martedì calendario

Arabia e Iran, i mali comuni degli arcinemici

Non è certo la rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda. I due acerrimi nemici che si affacciano sulle sponde del Golfo Persico, e puntano a divenirne la potenza regionale, hanno molto più in comune di quanto vogliano mostrare.  
Iran e Arabia Saudita sono sempre stati insofferenti a un sistema realmente democratico. Sauditi (arabi) e iraniani (persiani) sono peraltro alle prese con gli stessi problemi: economie ancora troppo petro-dipendenti e schiacciate dall’onnipresente mano dello Stato, disoccupazione rampante, riforme promesse ma irrealizzate. Condividono perfino le stesse paure: scampati alle primavere arabe, da allora sono sempre in guardia per evitare che il malcontento popolare rovesci le rispettive leadership. 
In questa strategica area del pianeta, dove si trova quasi la metà delle riserve mondiali di greggio,l’Arabia, roccaforte dell’Islam wahabita (una delle versioni più rigide dell’Islam sunnita) e l’Iran – la potenza mondiale sciita – sono i due paesi più popolosi (rispettivamente 32 e 80 milioni di abitanti). Entrambi hanno compreso che le giovani generazioni sono il passaggio verso il successo o verso una pericolosa deriva. In Iran metà della popolazione ha meno di 30 anni. Nel regno saudita gli under 30 arrivano al 70 per cento. Nei due Paesi le giovani generazioni soffrono tassi di disoccupazione estremamente elevati. 
I due nemici, che si fronteggiano in guerre per procura in Siria e in Yemen, hanno un altro punto in comune. Le loro economie, da poco uscite da una fase di recessione (più recente quella saudita),stanno crescendo, e dovrebbero crescere in questi anni, a tassi sostenuti. Eppure sono ancora inferiori alle aspettative, e comunque insufficienti ad assorbire l’esercito di giovani che ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro. Dopo l’accordo sul dossier nucleare (estate 2015)e la successiva rimozione delle sanzioni, l’Iran è uscito da una profonda recessione. L’economia ha cominciato a correre. Nel primo semestre del 2017-2018 il Pil è cresciuto ancora, del 5,6%,e l’Fmi ha stimato per il 2018 e il 2019 una crescita del 4 e del 4,3 per cento. In verità è stato un boom senza benessere. Riad ha invece accusato la prima recessione in otto anni nel 2017(-0,5%). Ma per il 2018 si attende già una crescita del 2,7, che dovrebbe rafforzarsi negli anni seguenti. Nel 2016 il Pil saudita era a 646 miliardi di dollari. Quello iraniano 420. Il Pil pro capite premia i sauditi, ma le sperequazioni sociali sono ampie anche qui. Mentre la corruzione, endemica, ha frenato la distribuzione della ricchezza. Arabia e Iran sono il primo ed il terzo produttore dell’Opec. Nei periodi delle vacche grasse, quando i prezzi del greggio galeggiavano a una media di 100 dollari al barile, non hanno fatto quasi nulla per ridurre la loro dipendenza del greggio. E quando (nel 2014)è iniziato il crollo del barile, sono iniziati i problemi. 
E le riforme? Tra le ragioni per per cui molti iraniani sono scesi in piazza per protestare contro Hassan Rouhani, il clerico moderato che avevano riconfermato presidente soltanto sette mesi prima, ci sono le riforme economiche – promesse ma mancate – e la fallimentare battaglia contro la corruzione, una piaga che inghiotte miliardi di dollari ogni anno. L’Iran deve scrollarsi di dosso l’ingombrante presenza dello Stato in quasi tutti i settori dell’economia. E avviare quanto prima la riforma del sistema bancario. 
Diversificare è la parola d’ordine anche dei sauditi. Il potente principe Mohammed Bin Salman è deciso a procedere con il suo ambizioso piano per diversificare l’economia e sviluppare il settore privato. All’insegna del motto “spendere per crescere”, per il 2018 ha fatto approvare il più costoso budget dai tempi dell’indipendenza, cercando di ridurre gradualmente il deficit. Il budget contiene misure fiscali innovative, come l’introduzione dell’Iva, pacchetti di robusti stimoli all’economia, ma anche tagli drastici ai sussidi energetici. Ma ha messo troppa carne al fuoco. E il piano, come gli obiettivi di crescita, peccano di ottimismo. 
Un conflitto diretto, per quanto non da escludere, è ancora remoto. L’Iran per ora possiede un esercito più potente. Riad è il secondo paese al mondo con il più alto rapporto tra spese militari e Pil(oltre il 10%). Teheran sta correndo ai ripari alzando la spesa. Saranno anche acerrimi nemici ma sulla restrizione della libertà di espressione, e su altre violazioni dei diritti umani, Riad e Teheran hanno ancora un elemento in comune. Non sono certo esempi virtuosi. Tutt’altro.