Il Sole 24 Ore, 9 gennaio 2018
Una tassa occulta da 10 miliardi sul risparmio
Un popolo tartassato dalla pressione fiscale, sempre sul piede di guerra per i balzelli e che gioca ogni singola campagna elettorale sulle tasse, non si è accorto che nel 2017 ha “pagato” sui risparmi una tassa occulta di oltre 10 miliardi di euro chiamata inflazione. La propensione degli italiani a tenere i soldi “sotto il materasso” o sul conto corrente, dove le famiglie hanno la bellezza di 1.329 miliardi di euro secondo i dati della Banca d’Italia, nel 2017 ha prodotto proprio questo: un balzello occulto, causato dalla perdita di potere d’acquisto, di oltre 10 miliardi. Si tratta di circa 5 volte il gettito del canone Rai, una delle tasse più odiate. E una delle più dibattute, anche in questa campagna elettorale.
Eppure il risparmio degli italiani, un tesoro distribuito male ma comunque pari a 4.228 miliardi di euro al netto degli immobili, andrebbe preservato dalla perdita di potere d’acquisto. Va certamente protetto dagli sbalzi d’umore dei mercati, ovvio, ma anche investito in modo tale che possa cogliere al meglio gli slanci dei mercati stessi. Soprattutto ora che – come certifica l’Istat- la propensione al risparmio sta tornando ad aumentare. Al termine di un anno eccezionale sui mercati finanziari, dove tutte le asset class hanno avuto performance positive, bisogna però ammettere che l’allocazione dei risparmi degli italiani non è stata il massimo dell’efficienza. Anche se migliora.
La tassa occulta
Partiamo dalla parte di ricchezza meno redditizia: la liquidità. Gli italiani tengono 873 miliardi in contanti e su conti correnti a vista. Insomma: in strumenti a rendimento zero. E poi hanno altri 456 miliardi in altri depositi. Totale: 1.329 miliardi di liquidità. Considerando che l’inflazione nel 2017 è stata dell’1,2% e che il rendimento medio dei depositi in Italia è stato dello 0,4%, si può a spanne dire che su questi 1.329 miliardi gli italiani abbiano “perso” in termini reali lo 0,8%. Si tratta di 10,6 miliardi di euro. E si tratta probabilmente di una stima per difetto, dato che il contante (Banca d’Italia non specifica quanto sia) rende zero.
Potevano questi soldi essere investiti in maniera più redditizia? Certo. Anche se una quota di liquidità per la vita quotidiana e per sana prudenza va certamente tenuta. «Una quota di liquidità è fisiologica – osserva Vincenza Di Lorenzo, Senior Specialist di Prometeia -. Del resto anche in altri Paesi le famiglie tengono una buona fetta della ricchezza liquida: se in Italia è al 31,4%, in Francia è al 28% e in Spagna e Germania addirittura al 40%». La liquidità rappresentava un problema minore gli anni passati, quando l’Italia era in deflazione, ma ora che il costo della vita aumenta diventa una tagliola sui risparmi. Come è sempre stata: secondo le stime di Ubs, 100 ipotetici euro del 1990 oggi equivarrebbero a meno di 60 euro a causa della perdita di potere d’acquisto. Chi ama il materasso, ne dovrebbe tenere conto.
Meno fai-da-te
Per contro gli italiani non amano l’investimento in azioni. Peccato che nel 2017 sia stato il più redditizio: le azioni italiane hanno guadagnato il 19,14% e quelle mondiali (trasformando in euro la loro performance) l’8,1%. Gli italiani investono direttamente appena 55 miliardi in azioni quotate italiane e 69 miliardi in azioni estere: si tratta di appena il 3% della loro ricchezza totale. Se si sommano anche i fondi comuni azionari, dove gli italiani mettono il 22% della quota destinata al risparmio gestito, si arriva a 232 miliardi totali. Sommando anche le polizze assicurative (che investono in azioni meno del 10% dei 900 miliardi messi dagli italiani), si arriva a circa 320 miliardi: si tratta di appena il 7,5% della ricchezza totale degli italiani. Bisognerebbe aggiungere la componente azionaria dei fondi pensione, ma comunque l’esposizione degli italiani sul mercato borsistico resta ben inferiore al 42% medio delle famiglie nel mondo occidentale. Siamo un popolo prudente (il che è positivo), ma nel 2017 abbiamo certamente perso il treno delle Borse.
Gli italiani hanno ridotto anche l’investimento in obbligazioni. Da 410 miliardi investiti in bond a medio-lungo termine a fine 2015, oggi ne restano solo 334. Circa 80 miliardi sono stati tolti dalle obbligazioni bancarie. Invece è aumentata la quota di risparmio gestito: se a fine 2015 gli italiani mettevano nei fondi comuni 456 miliardi, ora ne mettono 494. Un po’ per le esigenze dei risparmiatori (bruciati dai bond bancari) e un po’ per la politica commerciale delle banche (fameliche di ricavi da commissioni), gli italiani stanno aumentando la quota nel risparmio gestito a scapito del fai-da-te. «Questo è positivo – osserva Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs Wm Italia -. Si tratta di una crescita importante in valore assoluto, ma limitata in proporzione alla ricchezza totale. E tra l’altro gonfiata dalla performance positiva dei mercati. In Italia l’industria del risparmio gestito resta piccola».
I rischi del 2018
Se nel 2017 gli italiani hanno perso il treno delle Borse ma nel complesso hanno incrementato i risparmi grazie alle performance positive di tutti i mercati, il 2018 si presenta denso di incognite. Le Borse sono sui massimi, i bond sono sui massimi (i rendimenti sono bassi): i rischi di qualche storno non sono pochi. Soprattutto sul mercato obbligazionario, molto esposto alle politiche monetarie delle banche centrali che nel 2018 ridurranno gli stimoli. Il fatto che gli italiani siano così esposti sulle obbligazioni (che rappresentano il 41,8% dei fondi comuni secondo Assogestioni ai quali si sommano i 334 miliardi tutt’ora investiti direttamente in bond) può rappresentare un rischio? Sarà il 2018 a dare una risposta.