10 gennaio 2018
Il caso Oprah Winfrey: può davvero candidarsi contro Trump nel 2020?
Oprah Winfrey aveva finito da pochi minuti il discorso con cui aveva scosso la premiazione dei Golden Globe a Los Angeles, quando due ex consiglieri di Barack Obama, David Axelrod e Ben Rhodes, sono corsi a prendere gli smartphone per twittare messaggi identici di una sola parola: «Oprah». La conferma, se fosse mai servita, che la serata di domenica potrebbe passare alla storia come il lancio della sua campagna presidenziale nel 2020 [Mastrolilli, Sta 9/1].
Massimo Gaggi: «Dopo i due 75enni democratici allergici alla pensione (l’ex vice di Obama, Joe Biden e lo sfidante di Hillary Clinton alle primarie del 2016, Bernie Sanders), dopo i nuovi volti del fronte progressista come la californiana Kamala Harris, dopo i sovrani della tecnologia potenziali outsider come Mark Zuckerberg di Facebook, spunta un altro nome come possibile sfidante di Donald Trump alle presidenziali del 2020» [Gaggi, CdS 9/1].
Nel suo discorso Oprah ha parlato soprattutto di minoranze oppresse e discriminate, di donne abusate, del giorno in cui grazie al loro coraggio «e a quello di alcuni uomini fenomenali, nessuno dovrà più trovare il coraggio per uscire allo scoperto denunciando me too»: anch’io, l’espressione divenuta simbolo della denuncia di soprusi e molestie sessuali nella società americana [Gaggi, CdS 9/1].
Oprah non ha mai citato Trump, ma è chiaro che ha proposto una visione alternativa e opposta a quella del presidente statunitense. Maryl Streep ci ha subito letto l’inizio della corsa alla Casa Bianca: «Ha lanciato un razzo. Spero che si candidi. Non pensavo che volesse farlo, ma ora non ha più scelta». Il compagno di Oprah, Stedman Graham, lo ha confermato al Los Angeles Times: «Dipende dalla gente. Lei lo farebbe assolutamente». Il giorno dopo, almeno due fonti molto vicine a Winfrey hanno confidato alla Cnn che «sta attivamente considerando la candidatura» [Mastrolilli, Sta 9/1].
Gianni Riotta ricorda: «In un’intervista del 1999, l’allora palazzinaro Donald Trump dichiarò perentorio “Se mai mi presentassi alla Casa Bianca, Oprah sarà vicepresidente!”. Ventun anni dopo vedremo il più spettacolare duello tv dai tempi di Ronald Reagan, l’aggressività macho di Trump, per i repubblicani, contro la forza femminile della Winfrey, per i democratici?» [Riotta, Sta 9/1].
Lunedì sera anche Ivanka Trump si è unita al coro, con questo tweet: «Ho appena visto il potente e stimolante discorso di Oprah. Uniamoci tutti, uomini e donne, e diciamo #timesup!». Un messaggio che non è stato digerito dalle femministe, che le hanno chiesto: ma non hai capito che Oprah parlava di tuo padre, quando ha accusato i predatori e annunciato l’arrivo di un nuovo giorno all’orizzonte? Scrive Mastrolilli: «L’intento della figlia di Trump è evidente: anche lei nutre ambizioni presidenziali, già per il 2024, quando potrebbe scadere il secondo mandato del padre; coltiva un’immagine più moderata e progressista; e ha bisogno di non alienare il decisivo elettorato femminile» [Sta 10/1].
Popolarissima star televisiva da decenni, Oprah Winfrey in passato ha sempre escluso l’ipotesi di un suo impegno in politica, spiegando di non avere alcuna competenza in questo campo. Gaggi: «Ma ora che alla Casa Bianca è arrivato un altro personaggio privo di competenze specifiche, eletto più grazie alla sua abilità di comunicatore e showman che per le sue capacità imprenditoriali, c’è chi auspica un ripensamento della Winfrey» [CdS 9/1].
Oprah è nata nel 1954 in Mississippi da una madre sedicenne single che puliva case ed è cresciuta quasi in povertà a Milwaukee. A sua volta ha avuto il primo e unico figlio all’età di 14 anni, morto poco dopo la nascita [Pompetti, Mes 16/1/2013].
Talento straordinario, ha iniziato a leggere la Bibbia a tre anni di età. Pignatelli: «A 9 anni, circuiva il popolo domenicale nella chiesa di Kosciusko e le matrone nere in prima fila si scambiavano dei “Rattie Mae, certo che quella bambina sa parlare”. A casa della nonna materna, invece, succhiava libri rifiutandosi di imparare a sgozzare galline e a fare sapone di soda, perché la sua vita “sarebbe stata diversa”. Così è stato» [Benedetta Pignatelli, Panorama 26/11/1998].
A tredici è fuggita dalla casa materna e dagli abusi sessuali che subiva a opera di zii e cugini. A diciassette ha vinto il concorso di bellezza tra le donne di colore del Tennessee, e ha firmato il primo contratto giornalistico. Pompetti: «Da allora ha messo in piedi un impero imprenditoriale senza precedenti per una donna. È stata la prima afro americana miliardaria (2004), prima di divenire l’americana self made più ricca in assoluto, con un patrimonio di 3 miliardi di dollari. Le sue trasmissioni televisive sono diffuse in 140 paesi a beneficio di 46 milioni di spettatori, e le copertine di riviste da Time a Forbes la dichiarano la donna più influente e potente del mondo» [Pompetti, Il Messaggero 9/1].
Michael Jackson le aprì le porte della sua tenuta di Neverland nel ’93 quando era accusato di aver molestato un bambino. Rihanna le confessò tra le lacrime la difficoltà di prendere distanza da Chris Brown, nonostante le percosse che ancora le segnavano il volto [Pompetti, Mes 16/1/2013].
È molto attiva nel campo della filantropia, dagli aiuti per le vittime dell’uragano Katrina alle scuole aperte in Sudafrica per le ragazze svantaggiate. Oggi è la ceo del cable channel OWN, e la corrispondente speciale del rotocalco della Cbs 60 Minutes [Mastrolilli, Sta 9/1].
Oprah Winfrey è un prodotto interamente televisivo. Spiega Stefano Pistolini: «La sua escalation transita attraverso l’immensa popolarità del suo talk show, luogo condiviso per le donne americane, dove argomenti anche non convenzionali vengono affrontati con un tocco di sensibilità, sincerità e chiarezza. Questa nera perennemente sovrappeso (ancora adesso che è miliardaria realizza gli spot per Weight Watchers, dovere civile di sorellanza) ha saputo incarnare il migliore modello della normalità americana, senza svilirne i sogni, ma anzi proteggendoli. E la nazione si è affezionata a lei per sempre, regalandole una straordinaria fortuna economica che lei ha amplificato grazie a non comuni doti di manager, basate sulla istintiva competenza quanto ai gusti del pubblico» [Fatto 10/1].
Obama è stato il primo politico per il quale la Winfrey si spese dopo decenni nei quali aveva mantenuto le sue trasmissioni prudentemente lontane dalla politica per non rischiare di perdere pezzi della sua audience. Invitò in trasmissione e appoggiò Barack fin dalla sua candidatura. E, secondo molti, il suo sostegno contribuì non poco al successo del primo presidente nero della storia americana» [Gaggi, CdS 9/1].Harry Enten, macinatore di dati del sito FiveThirtyEight, calcola che nel 2008 Oprah seppe convogliare su Barack Obama almeno un milione di voti contro Clinton, risultando decisiva [Riotta, Sta 9/1].
E se si candida per la Casa Bianca, può vincere? Rampini: «Dal dibattito tra gli esperti emerge che la Winfrey ha alcune risorse eccezionali: un’altissima notorietà in partenza, un carisma sicuro, ed è una variante nel mito americano dell’imprenditore di successo, self-made woman, capace di costruire un impero mediatico-televisivo partendo dal nulla. Alcune somiglianze con l’attuale presidente sono evidenti. Le differenze pure: donna, femminista, nera, ultra- liberal. Insomma un’immagine speculare, rovesciata e antagonista dell’uomo che ha trascinato la destra verso l’improbabile conquista della Casa Bianca» [Rep 9/1].
Mastrolilli: «I punti deboli sono l’inesperienza politica, ma su questo fronte non è molto indietro rispetto a dove è partito Donald, e la stretta connessione col mondo liberal di Hollywood: già girano le sue foto insieme a Weinstein. Se però gli elettori hanno perdonato a Trump la registrazione in cui diceva di poter prendere le donne per i genitali, probabilmente ormai sono abbastanza vaccinati contro gli eccessi delle celebrità» [Sta 9/1].
Rampini sottolinea: «C’è poi la stretta associazione fra Oprah e il movimento #MeToo, proprio in una fase in cui questa ondata purificatrice incontra dissensi interni, e donne autorevoli prendono le distanze dai metodi radicali, intimidatori. Tra le voci del dissenso una ricca finanziatrice del partito democratico, Susie Tompkins Buell, annuncia che negherà i suoi fondi ai politici di sinistra che hanno spinto alle dimissioni il senatore Al Franken “senza neppure dargli la possibilità di difendersi” dalle accuse delle donne. Sulle pagine dei commenti del New York Times la scrittrice Daphne Merkin osserva: “In pubblico ci schieriamo tutte con #MeToo, ma in privato molte femministe hanno dei dubbi. Stiamo tornando a un’immagine della donna- fragile- vittima che ricorda il puritanesimo vittoriano”» [Rep 9/1].
C’è anche un sondaggio Quinnipac del marzo scorso che le attribuisce un indice di popolarità maggiore di quello di tutti i politici (52% di favorevoli, 23% di sfavorevoli). Anche se poi solo un intervistato su 5 dice che lei dovrebbe candidarsi nel 2020 [Gaggi, CdS 9/1].
In realtà fra i progressisti americani c’è tepore, se non imbarazzo. Elena Molinari: «L’idea di contrastare il fenomeno Trump con un’altra celebrità senza alcun trascorso in posizioni di rappresentanza o di governo, a molti appare come un suicidio. La prima a frenare è stata la leader democratica alla Camera, Nancy Pelosi: “Credo che uno degli argomenti contro Oprah sia 45”, ha detto la deputata, riferendosi al tycoon come al 45esimo presidente Usa, ma riconoscendo che almeno “Oprah ha letto dei libri e sa come riconoscere le persone di talento”» [Avvenire 10/1].
Se è vero che il discorso di Oprah ai Golden Globes ha galvanizzato l’opinione pubblica, a mente fredda sono arrivate le prime frenate da diversi giornali influenti degli Stati Uniti. «Il caso Trump non ha insegnato nulla?» è la domanda di fondo. Giulia Belardelli: «La prospettiva di una sfida nel 2020 tra Trump e Oprah, o di un confronto tutto al femminile tra Ivanka e la diva della tv americana, preoccupa chi continua a credere che per fare il presidente servano esperienza, serietà e un solido background di servizio pubblico» [Huffingtonpost.it 9/1].
Thomas Chatterton Williams in un editoriale sul New York Times si rivolge direttamente a lei: “Oprah, non farlo”. Scrive il giornalista: «Non sono immune al fascino di Oprah, ma quella di una Presidente Winfrey è un’idea terribile. Evidenzia anche la misura in cui il Trumpismo – la dedizione agli ascolti, il ripudio dell’esperienza e delle competenze – ha infettato la nostra vita civica. Il politico post-Trump ideale sarà, per lo meno, una figura profondamente seria con un forte background di servizio pubblico alle spalle» [Belardelli, Huffingtonpost.it 9/1].
Sul Washington Post Paul Waldman mette in guardia i e Democratici: «È vero che i democratici hanno sottovalutato l’importanza del carisma nella politica presidenziale. Ma la risposta a quei fallimenti elettorali non è di smettere di preoccuparsi della sostanza. È trovare candidati che siano sia carismatici che seri, che sarebbero in grado sia di vincere che di fare il lavoro una volta entrati in carica. Indovinate un po’: i democratici lo hanno già fatto in passato! Bill Clinton e Barack Obama erano candidati straordinariamente avvincenti che potevano parlare per ore di politica. Sapevano come lavorare sul sistema politico e sapevano anche come vendere. E non è vero che ai democratici mancano le scelte per il 2020» [Belardelli, Huffingtonpost.it 9/1].