il Giornale, 9 gennaio 2018
La Pfizer alza bandiera bianca: vincono Alzheimer e Parkinson
La multinazionale farmaceutica statunitense «Pfizer» getta la spugna e annuncia l’interruzione della ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci nel settore neuroscienze, inclusi gli studi per terapie contro l’Alzheimer e il Parkinson. Troppo scarsi i risultati, troppo caro il prezzo da pagare per gli studi. La casa farmaceutica punterà su investimenti in aree in cui ha già raggiunto una forte leadership scientifica e il massimo impatto sui pazienti.
Un annuncio, quello pubblicato dal Wall Street Journal, che getta nel panico le associazioni dei pazienti. Ma se alcuni tra i più importanti ricercatori statunitensi si arrendono, nel resto del mondo continuano incessanti le ricerche. E l’Italia è al top tra i Paesi dell’Ue. La decisione della Pfizer prevede, tra l’altro, il licenziamento di trecento ricercatori a Cambridge e Andover (nel Massachusetts) e a Groton (Connecticut).
La casa farmaceutica fa comunque sapere che si impegnerà a sviluppare farmaci in fase avanzata per il trattamento del dolore come il pregabalin o il tanezumab e per il trattamento di malattie neurologiche rare. Prevede, inoltre, di utilizzare i risparmi ottenuti per finanziare la ricerca e lo sviluppo di farmaci in altre aree «in cui la pipeline e l’esperienza scientifica sono più forti. E per creare un fondo di venture capital aziendale per investire in promettenti progetti di neuroscienza al di fuori dell’azienda».
E così, almeno negli Stati Uniti, gli sforzi per trovare un «antidoto» alla demenza che colpisce decine di milioni di persone nel mondo sono stati vani, oltre che costosi. Ora la speranza è riposta in altre case farmaceutiche americane. A partire da due recenti studi su una pillola studiata da «Eli Lilly» e «AstraZeneca» i cui risultati dovrebbero essere resi noti entro la fine di quest’anno. Nel 2019 sarà invece pubblicata la sperimentazione di un altro farmaco da parte della «Biogen». Infine gli esiti della ricerca su un farmaco sperimentale della Johnson&Johnson e Shionogi sono previsti solo nel 2023.
Si tratta in tutti i casi di farmaci che bloccano l’enzima di conversione beta-amiloide. La ricerca indica, infatti, che la malattia è strettamente associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari riscontrati nel cervello, ma non è nota la causa della degenerazione. Attualmente i trattamenti terapeutici utilizzati offrono leggeri benefici sintomatici e possono rallentare in maniera parziale il decorso della patologia. Nonostante le centinaia di studi clinici non sono ancora stati identificati trattamenti che arrestino o invertano il decorso dell’Alzheimer.
L’Alzheimer è una patologia progressiva neurodegenerativa, caratterizzata da un declino cognitivo e fisico irreversibile e da comportamenti anomali. Rappresenta oggi il tra il 50 e l’80 per cento delle forme di demenza e la sua incidenza aumenta parallelamente alla crescita dell’età media della popolazione. Sebbene possa manifestarsi in persone giovani, la malattia colpisce in genere persone tra i 70 e gli 80 anni con un’incidenza che aumenta con l’età. Questa patologia è stata descritta nel 1907 dal dottor Alois Alzheimer. Le persone affette da questo morbo soffrono principalmente di alterazioni della memoria e dell’orientamento, limitazioni della concentrazione, della capacità di organizzazione e di giudizio, cambiamenti della personalità, della parola e della deambulazione.
Anche il «Morbo di Parkinson» (i cui sintomi sono noti da migliaia di anni) è una malattia neurodegenerativa, ma ha un’evoluzione lenta e progressiva che mina il movimento e l’equilibrio. La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite «Disordini del Movimento» e tra queste è sicuramente la più frequente.