Libero, 8 gennaio 2018
Pur di evitare Saviano, i camorristi traslocano
Gomorra, la fiction tratta dal romanzo di Roberto Saviano, per la terza stagione continua a raccontare in tv la storia delle famigerate Vele di Scampia. Un agglomerato residenziale alla periferia di Napoli roccaforte dei clan partenopei più forti a livello internazionale negli affari illeciti. Ma le Vele ormai sono un affare per produttori e giornalisti che arrivano anche dall’estero attratti dal mito di quella che fu il fortino della famiglia Di Lauro, guidata da Paolo, detto Ciruzz o milionario. Un impero crollato negli anni con lo scoppio della faida e della scissione guidata da una costola degli stessi Di Lauro. A Scampia qualche “piazza” la trovi sempre perché ormai con la crisi e la disoccupazione che ha raggiunto picchi insostenibili, da queste parti lo spaccio resta l’unica fonte di reddito per la stragrande maggioranza delle famiglie.
LA RIBALTA MEDIATICA
Ma le organizzazioni criminali sono state costrette a cambiare “copione” proprio a causa della ribalta mediatica che quelle maledette Vele di cemento e degrado hanno avuto. Telecamere, troppe, in giro per il quartiere; pattuglie delle forze dell’ordine che hanno messo sotto assedio l’intero rione; gli agguati di camorra a tutte le ore del giorno. Un mix esplosivo che ha fermato gli “affari”.
Serviva un rimedio perché lo spaccio non rendeva più come una volta in quanto in uno scenario del genere gli stessi tossicodipendenti avevano timore ad avventurarsi tra quei casermoni di cemento per paura di finire nella rete dei controlli o per paura di ritrovarsi al centro di una resa dei conti tra rampolli di famiglie in guerra. Da queste parti le vittime innocenti di camorra non si contano più. Giovani ammazzati per sbaglio dai commando dei clan. Lo spaccio, al contrario, ha bisogno di pace, sicurezza, tranquillità, omertà, silenzio. E le Vele non danno più queste garanzie. Contesto ideale per il set cinematografico e nulla più.
Serviva una soluzione immediata per rimettere in vita l’industria di coca ed eroina. Un piano elaborato a tavolino a ripristinare i vecchi affari distinti e distanti dalla guerra di Scampia e dai continui cambi di vertice. Tra le Vele resta la regia del traffico di droga: comanda chi prevale a suon di colpi di kalashnikov. Ma la “roba” viene smistata e venduta al dettaglio altrove, lontano dalla guerra e dalla fiction.
Dove? Dieci minuti di macchina. Si percorre l’Asse mediano che collega la città alla provincia di Napoli. Entriamo nell’hinterland a nord del capoluogo partenopeo. Uscita Caivano, comune cerniera tra la provincia di Napoli e quella di Caserta. Appena lasci l’asse mediano trovi un insieme di case costruito dopo il terremoto del 1980: il Parco Verde. Già conosciuto nel mondo per le tragedie avvenute in questi anni che riguardano i bambini. Ricordate la piccola Fortuna? Seviziata e poi uccisa in circostanze che la Procura cerca ancora di chiarire in un contesto di tolleranza e omertà.
Un totale di 758 alloggi, 600 assegnati alle famiglie di Napoli colpite dal terremoto e trasferite agli inizi degli anni Ottanta in provincia mentre i restanti 158 appartamenti sono stati assegnati a famiglie di Caivano. Ottomila residenti di cui 1200 tra bambini e adolescenti. Pronti a far parte dell’esercito dello spaccio. Per farlo non serve la carta d’identità. Ci sono ruoli per tutti. Anche per i bambini e per gli adolescenti. Oltre a quelli già reclutati per lo spaccio, anche gli ultimi 500, tra bambini e adolescenti, sono a rischio criminalità.
Da queste parti non c’è scelta. La strada è obbligata. La droga è l’unica fonte di guadagno per le famiglie e la voce in bilancio più imponente dei clan. È l’unico strumento che consente a questi scugnizzi di sognare un futuro migliore. Il Parco Verde ha sostituito le Vele ed è oggi il “droghasop” più grande e fornito d’Italia preso d’assalto ogni giorno da centinaia di tossicodipendenti provenienti da tutta la Campania perché i prezzi sono convenienti.
Sui tetti ci sono pali e vedette per avvistare un eventuale blitz e dare l’allarme prima ancora che i militari possano arrivare all’ingresso del rione. Così la “roba” è sempre la sicuro e gli arresti in flagranza ridotti al minimo.
LA SORVEGLIANZA
Gli investigatori hanno scovato persino un sistema di videosorveglianza installato nelle strade del Parco e direttamente controllato dai guardaspalle dei boss per tenere sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro qualsiasi movimento in ogni parte di quella che rappresenta una vera e propria enclave sfuggita al controllo dello Stato.
Da anni Caivano, cuore della Terra dei fuochi, chiede un sistema di videosorveglianza contro i roghi tossici (immondizia e rifiuti speciali abbandonati e bruciati in diverse parti del territorio) ma non si è andati oltre le promesse delle istituzioni. Nessuna traccia delle telecamere anti roghi. Il copione non cambia. Qui le istituzioni promettono e non mantengono. La camorra, invece, fornisce risposte certe, rapide e sicure. Riuscendo ad acquisire consenso tra la popolazione in cambio di “servizi” e occupazione. Il controllo delle strade che portano ai punti in cui si spaccia è affidato ad adolescenti armati, fermi nei luoghi strategici, agli incroci e nei principali punti di aggregazione: giardinetti incolti tra erbacce e rifiuti. Senza dimenticare le pattuglie mobili che battono il quartiere a volto rigorosamente scoperto (qui il casco è vietato per paura di eventuali agguati) in sella a potenti scooter. Si tratta
di un circuito ad orario continuo. Una catena di montaggio che ti porta, offrendo anche indicazioni, sulla piazza giusta per acquistare ciò di cui il cliente ha bisogno. Solo per la vendita di eroina si parte alle 8 e 30 e si chiude alle 21 e 30. Di notte rendono di più altre sostanze, soprattutto cocaina, amnesia e cobret. Gli spacciatori organizzati in turni si danno il cambio garantendo un ciclo continuo agli affari. A qualsiasi ora del giorno e della notte il Parco Verde resta un punto di riferimento per ogni esigenza. Qui si rifornisce la Napoli bene che negli ultimi tempi ha chiesto anche un servizio accessorio, ovviamente da pagare profumatamente: la consegna a domicilio. Tutto viene gestito attraverso una rigida organizzazione piramidale.
Il boss resta a casa e di sera deve solo contare i soldi dell’incasso. A lui va la parte più grossa che in parte serve a garantire il funzionamento dell’organizzazione e la sopravvivenza degli affiliati. Incluso le famiglie dei carcerati alle quali va riconosciuto un sussidio mensile per dare forza al legame di affiliazione, anche nei momenti più difficili, e soprattutto per evitare pentimenti che potrebbero mettere a repentaglio l’intero “sistema”.
AFFARI D’ORO
Poi ci sono i “capipiazza” che portano a casa, rispetto agli affari della giornata, circa duemila euro al giorno. Guadagni più alti nel fine settimana dove la domanda aumenta vertiginosamente. Ai guaglioni, invece, che lavorano sulle piazze e sono impegnati nello spaccio viene riconosciuto un fisso mensile attorno ai duemila euro più un premio di un euro e cinquanta centesimi per ogni pezzo venduto. Pali e vedette, come detto in larga parte bambini e adolescenti, sono l’ultima ruota del carro e lo stipendio varia rispetto all’età e all’esperienza dei singoli soggetti. Comunque si va dagli ottanta ai cento euro al giorno. Inutile parlare della scuola. Tasso di evasione da record. Non è solo un problema di legalità ma di diritto all’infanzia che nessuno vuole affrontare. Bambini che vivono tra droga, pistole, boss e un degrado difficile da percepire per quello che è se non lo si tocca con mano. Il Comune non riesce a garantire nemmeno i servizi essenziali come il taglio dell’erba. Marciapiedi invasi da erbacce e persino le rampe d’accesso alle palazzine, incluso quelle per disabili, sono invase da spazzatura e carcasse di animali schiacciate al suolo. Nel cuore del rione ci sono anche delle serrande per ospitare magazzini con tanto di insegne: coloniali, pescheria, salumeria. Rigorosamente abbassate. La pescheria si rifornisce di poca roba solo nel fine settimana. Poi resta chiusa. Il coloniale apre un’ora al giorno circa, attorno alle 19 e chiude alle 20. Qualche scaffale sparso nel magazzino, pochi pacchi di biscotti e null’altro. Di mattina in giro ci sono le donne vanno al mercato a fare la spesa. Il pomeriggio c’è il coprifuoco. Di gente onesta che vive di lavoro ce n’è ma deve seguire le regole imposte dalla camorra. Tre principali: non vedo, non sento, non parlo.
DESTINO SEGNATO
Paolo Esposito, residente del Parco Verde, scala 4/2 interno uno, muratore di Caivano, lo mette immediatamente in chiaro davanti al nostro taccuino. «La droga? Di queste cose non si vede e non si sente nulla. Non so niente». Memoria e parola gli tornano immediatamente, invece, appena il discorso sfocia sui suoi due figli, di 11 e di 5 anni. «Dovete scrivere la verità: qui i bambini hanno una strada obbligata da percorrere perché anche se vanno a scuola quando tornano a casa ad ora di pranzo cosa devono fare? Lo Stato è assente, non c’è nulla per i bambini. Passano il loro tempo nello scenario che avete appena visto. Siamo famiglie povere, il lavoro non c’è. I bimbi vivono di stenti e di rinunce. E il mito del guadagno facile dilaga perché guardano chi qui macina fior di quattrini da adulto e quand’era bambino era esattamente come loro, uno scugnizzo e pure povero. È lui che diventa il mito, il simbolo per i bambini del rione». Paolo dice “lui” ma non spiega chi. Il riferimento è ai boss che vivono immersi in un mare di euro. Partiti da zero, scugnizzi cresciuti nella fame, qui, al Parco Verde, sono riusciti a realizzare quello che chiamano il “salto di qualità” e soldi contanti da capogiro conservati nelle confezioni sottovuoto. Proprio come i salumi. Le parole di Paolo non lasciano spazio all’interpretazione. Scoppia in una grassa risata: «Lo Stato? E cos’è?». Brutto dirlo ma al Parco Vede non c’è traccia dello Stato.