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 2018  gennaio 09 Martedì calendario

Il serial killer è nell’intestino

Più che scienza, sembra un giallo. Chi, fra i diecimila tipi di batteri che vivono nel corpo umano, è il colpevole che ci fa ammalare? Che il criminale – parliamo in questo caso di tumori – si annidi nel nostro sistema digestivo è una pista che i ricercatori- detective seguono ormai con convinzione.
Science ha appena corroborato la tesi con uno studio dell’università di Chicago sul rapporto stretto fra cancro e microbioma. Ma ogni volta che gli scienziati puntano il dito contro uno degli abitanti dell’intestino, sia esso uno Staphylococcus haemolyticus o un Corynebacterium aurimucosum, i contorni del criminale si confondono, i buoni diventano cattivi, i cattivi buoni e i ricercatori restano con un pugno di m osche in mano.
L’inizio del giallo risale al 2013, quando Giorgio Trinchieri, pioniere del settore e oggi direttore del Cancer Inflammation Program del National Cancer Institute degli Stati Uniti, scoprì con stupore che un trattamento per il cancro funzionava solo se i topolini che lo ricevevano avevano determinati batteri intestinali. L’osservazione è stata ripetuta più volte, a dimostrazione che non era casuale. Due esperimenti pubblicati su Science a novembre 2016 e un terzo appena uscito, sempre sulla rivista americana come notizia di copertina, confermano che per tumori diversi e per terapie diverse – da quelle immunitarie alla chemio – il successo di una cura dipende anche dai nostri commensali. Così sono chiamati i circa 30mila miliardi di batteri che ci aiutano a digerire, producono sostanze che da soli non saremmo in grado di sintetizzare (come alcune vitamine), ma soprattutto – e qui sta il probabile legame con il cancro – dialogano in continuazione con il sistema immunitario, irritandolo, calmandolo, indirizzandolo verso strade diverse a seconda delle circostanze. E soprattutto influenzando – così sospettano i detective che studiano il caso – la decisione degli anticorpi di attaccare le cellule del cancro o di farsi corrompere da esse, lasciandole proliferare indisturbate.
«Il microbioma – conferma Alberto Mantovani, immunologo, uno dei più importanti scienziati italiani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e docente alla Humanitas University – ha un rapporto speciale con il sistema immunitario. E il sistema immunitario, con la sua capacità ancora per molti versi misteriosa di distinguere i buoni dai cattivi, gioca un ruolo di primo piano nella lotta dell’organismo contro il tumore». In alcuni studi, condotti negli ultimi anni anche direttamente sugli uomini, è bastato un ciclo di antibiotici per i motivi più banali (curare un’influenza o togliere un dente) per spopolare l’intestino e determinare il fallimento di una terapia immunologica anticancro. Che esista un legame fra il microbioma da una parte e la probabilità di ammalarsi e guarire dal cancro dall’altra è cosa dunque assodata. «L’effetto è chiarissimo», dice Trinchieri, che ha coniato la definizione del tumore come “malattia del metaorganismo”, cioè dell’insieme dell’uomo e del suo microbioma. «Ma qui purtroppo finiscono le nostre certezze – continua – quando siamo andati a cercare quali batteri favoriscono la guarigione e quali no, ogni studio ci ha messo davanti a specie diverse. I risultati degli esperimenti semplicemente non combaciano. L’ecosistema dei batteri del sistema digerente è probabilmente più complicato di quello che immaginiamo, con moltitudini di ceppi che intrecciano i segreti del loro successo e della loro proliferazione».
Alcune delle 25 specie di Lactobacilli che in un esperimento di Trinchieri sembravano inficiare una terapia immunologica, ad esempio, in un altro esperimento condotto in Francia abbondavano nei topi che ben rispondevano a una chemio. I trial francesi sugli uomini hanno identificato come “buoni” gli Akkermansia muciniphila e gli Enterococcus hirae, quelli condotti in Texas hanno offerto il loro plauso a Clostridiales, Ruminococcaceae e Faecalibacterium. A Chicago invece l’etichetta di salvavita è capitata a un Bifidobacterium, a dimostrazione di quanto le tessere di questo puzzle da 10mila pezzi siano ancora terribilmente lontane dal trovare una collocazione.
E siamo ugualmente privi di punti di riferimento sul cosa fare per rafforzare i batteri buoni e bastonare quelli cattivi. Si pensa che attività fisica e consumo di fibre facciano bene. Ma siamo ancora fermi alle indicazioni generiche. «Personalmente limito la carne e uso probiotici – racconta Trinchieri – penso che questi ultimi facciano bene, ma il mio è un atto di fede. Non ci sono dati scientifici». Anche perché, sottolinea Mantovani, «i nostri compagni di viaggio li conosciamo in maniera approssimativa. Coltivarli o sequenziarne il Dna non è semplicissimo». Poco chiaro resta anche il meccanismo con cui un cocktail di batteri predispone un individuo ad ammalarsi. L’unico effetto diretto è stato dimostrato in loco, cioè nel tumore del colon. «La ricchezza di Fusobacterium in questo tessuto è uno dei segni della malattia» spiega Trinchieri. Tanto che il “conteggio” dei batteri è stato usato in via sperimentale anche come metodo complementare di diagnosi. «Questi batteri sono stati ritrovati anche nelle metastasi. Segno che riescono a migrare dal colon insieme alle cellule malate». Sui microrganismi come causa di altri tipi di cancro non si va oltre la considerazione generale che il microbioma ha l’effetto di modulare il sistema immunitario, determinante nel soffocare o meno la malattia al suo insorgere.
Per quanto difficile, decifrare l’enigma dell’effetto del microbioma sulla terapia è però vitale. E per un motivo ben preciso: «Alle strategie immunologiche – spiega Mantovani – risponde in maniera importante solo un quarto dei pazienti». Sono trattamenti con effetti collaterali e costi importanti. «Capire in anticipo chi potrà trarne beneficio ed eventualmente manipolare il microbioma per aumentare l’efficacia sarebbe importantissimo».