la Repubblica, 9 gennaio 2018
La seconda vita del calciatore Bolt. «Ma non ce la farà»
ROMA «Ma perché fa così? Ma non si rende conto delle brutte figure cui andrebbe incontro?». Usain Bolt che nella sua seconda vita si mette gli scarpini ai piedi, scende in campo e fa il calciatore professionista è una soluzione suggestiva, mediatica magari, ma che i medici, gli esperti di fisiologia, i colleghi e persino quelli che lo hanno conosciuto in gioventù, facendo il massimo per lui, non contemplano. È letteralmente un coro di no: «Proprio non ce lo vedo», disse un po’ di tempo fa Asafa Powell, peraltro ottimo calciatore. Il dt dell’atletica azzurra Elio Locatelli lo conosce da quando aveva 18 anni. Sorride ma non ha dubbi: «Uno con quelle qualità non si può reinventare a 31 anni». Per paradosso, più hai talento genetico per una disciplina, più nel tempo quella disciplina ti ha regalato soddisfazioni e provocato traumi e più è maledettamente complicato cambiare pianeta e trasformarti in qualcos’altro. Il corpo va in un’altra direzione e soprattutto recepisce sempre meno. Eppure lui non molla: «Voglio giocare a calcio». Desiderio condivisibile. Ma il punto è: a che livello? «Un conto è giocare a pallone con gli amici, un conto è il professionismo», aggiunge il dottor Piero Volpi, responsabile sanitario dell’Inter, che sente i brividi alla sola prospettiva che un atleta del genere possa «riprogrammare il proprio schema motorio: è quasi impossibile che tutte le strutture acquisiscano le nuove informazioni per rendere allo stesso livello di competitività. Poi se cerca la partitella allora siamo tutti con lui, evasione sì, professionismo no». Insomma non è come Rossini che smette di scrivere musica per dedicarsi alla cucina. «E non è neppure come passare dal calcio al golf che richiede poco al fisico». È la storia dello sport «che nega questa opportunità», prosegue Volpi, «chiudere con i 100 metri e riciclarsi da calciatore mi pare un’idea surreale. Ecco: surreale è la parola giusta». Il giamaicano aveva intrattenuto rapporti con Alex Ferguson: l’approdo perfetto sarebbe stato il Manchester United, perché Usain quello tifa. Adesso si è spostato verso il Borussia Dortmund, al quale potrebbe aggregarsi per un «provino intorno a marzo». «Facciamolo sognare», prosegue Locatelli, «però non vorrei che si mettesse lì in piazza soltanto per questioni di sponsor o perché impaurito da una vita senza impegni. Capirei se fosse un problema di quattrini, ma in questo caso gli suggerirei di fare un colpo di telefono al suo allenatore Mills e di rimettersi a correre, cosa che fra l’altro renderebbe felice mezzo mondo, inclusi i suoi amici rivali Gatlin e De Grasse. È vero, il franco- senegalese che vinse il bronzo a Roma nel ’60, Seye, era velocista e calciatore. Ma parliamo di un’altra epoca e di altre richieste funzionali». E poi in quale ruolo? Con quelle gambe lunghe non farebbe in tempo e pensare che gli sarebbero già entrati in tackle. In due. Sopporta il contatto fisico? Centrale difensivo? Non avrebbe i movimenti. Cioè diagonali e chiusure, fondamentali che non s’imparano a 31 anni così come non si impara a sciare da campioni alla stessa età. Centrocampista? «Bolt è veloce ma non rapido abbastanza da fermo», chiosa Locatelli. Altro paradosso che sarebbe meglio non verificare di persona. «Guardate cos’è successo a Van Niekerk giocando a rugby». Ala? Nel calcio moderno, lo sappiamo, non c’è spazio per la corsa a ginocchia alte e forse non ce n’è mai stato. Ammesso che con una falcata di due metri e ottanta si riesca a controllare il pallone (non ci si riesce), se scappi sulla fascia quale terzino ti lascerebbe andare? Centravanti? Già e la coordinazione? E un contrasto aereo con Ter- Stegen? Conclusione: «Rischia solo di fare il record delle delusioni». E di prendere botte.