la Repubblica, 9 gennaio 2018
Spinoza, Kant e la critica del giudizio calcistico
Al filosofo francese Jean-Claude Michéa piacerebbe che il calcio fosse ancora come lo vedeva Antonio Gramsci, «un regno della lealtà umana esercitato all’aria aperta». Ma, pur se non dispera nella resistenza di piccole oasi dove questo accade, constata con amarezza la definitiva invasione di campo del liberismo. Il gigantismo economico-finanziario ha trasformato gli atleti in star del cinema, i club in aziende quotate in Borsa, tese al profitto e non alla ricerca di quella bellezza che solo la competenza dei ceti popolari adusi a frequentare gli stadi sapeva decrittare. Non manca una critica a quel milieu colto che snobba il calcio: «A chi mi chiede come ci si possa interessare contemporaneamente a Spinoza e a Lionel Messi, rispondo che il disprezzo per il football è il segno di una vera infermità intellettuale».
Un pregiudizio che si fatica a superare nonostante i Pasolini, i Camus si siano spesi per segnalare come proprio lo sport sia un terreno d’indagine prezioso per il pensiero.
Michéa, 67 anni, prossimo alle idee socialiste ma critico con la sinistra per l’abbandono del proletariato, ha ordinato i suoi scritti sul calcio in un libro uscito da Neri Pozza, Il gol più bello è stato un passaggio, dove il titolo è un omaggio a una frase di Eric Cantona pronunciata nel film a lui dedicato, Il mio amico Eric di Ken Loach. Il passaggio assurge a emblema della condivisione, contro l’individualismo. Il volume è un atto d’amore verso il gioco articolato in vari ambiti.
In un intervento all’università di Montpellier ricorda Georges Canguilhem: «La filosofia è una riflessione per la quale ogni materia estranea è buona. Anzi: per la quale ogni buona materia deve essere estranea». Ma non gli basta, scomoda il Kant del giudizio estetico: «È impossibile usare la sia pur minima dimostrazione quando si tratta di questione di gusti, ma ha sempre un senso cercare di ottenere un accordo di fatto al termine di una discussione portata avanti secondo le regole della ragione». Concetto che si può applicare alle «discussioni del dopopartita» perché appartengono, per lui in modo «innegabile», al genere filosofico. Approda, infine, all’omaggio al lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano che si definiva «mendicante di buon calcio». E si rallegrava perché «per fortuna appare ancora sui campi, sia pur molto di rado, qualche sfacciato che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria per il puro piacere del corpo che si lancia verso l’avventura proibita della libertà». Torna gioco, se rompe gli schemi.