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 2018  gennaio 09 Martedì calendario

APPUNTI SU OPRAH WINFREY

MASSIMO GAGGI, CORRIERE DELLA SERA 9/1 –

Dopo i due 75enni democratici allergici alla pensione (l’ex vice di Obama, Joe Biden e lo sfidante di Hillary Clinton alle primarie del 2016, Bernie Sanders), dopo i nuovi volti del fronte progressista come la californiana Kamala Harris, dopo i sovrani della tecnologia potenziali outsider come Mark Zuckerberg di Facebook, spunta un altro nome come possibile sfidante di Donald Trump alle presidenziali del 2020: Oprah Winfrey. 

Popolarissima star televisiva da decenni, in passato ha sempre escluso l’ipotesi di un suo impegno in politica, spiegando di non avere alcuna competenza in questo campo. Ma ora che alla Casa Bianca è arrivato un altro personaggio privo di competenze specifiche, eletto più grazie alla sua abilità di comunicatore e showman che per le sue capacità imprenditoriali, c’è chi auspica un ripensamento della Winfrey. E lei domenica, col discorso di accettazione del premio Cecil DeMille nella serata dei Golden Globe, ha dato più di una speranza a chi si augura di vederla scendere nell’arena. Parole calde, coinvolgenti, piene di pathos: un discorso emozionante quasi quanto quello di Barack Obama a Selma. Obama: il primo politico per il quale la Winfrey si spese dopo decenni nei quali aveva mantenuto le sue trasmissioni prudentemente lontane dalla politica per non rischiare di perdere pezzi della sua audience. Invitò in trasmissione e appoggiò Barack fin dalla sua candidatura. E, secondo molti, il suo sostegno contribuì non poco al successo del primo presidente nero della storia americana.

Nella notte del grande gala dello spettacolo, introdotta da un Seth Meyers che l’ha scherzosamente definita una candidata inesistente (in realtà un invito a farsi avanti, visto che Seth nel 2011 disse a Trump che uno come lui non sarebbe mai arrivato alla Casa Bianca), la Winfrey ha parlato di riscatto degli afroamericani dopo decenni di soprusi e discriminazioni e di donne che alzano la testa per mettere fine a un’era di prevaricazioni.

La storia di lei bambina che nel 1964 capì di potercela fare vedendo un attore nero, Sidney Poitier, conquistare l’Oscar. Ma anche la storia di tante donne assalite, abusate, «donne che avevano bimbi da sfamare, bollette da pagare, sogni da inseguire». Come Recy Taylor, una ragazza nera violentata nel 1944 in Alabama da sei bianchi armati mentre tornava dalla chiesa. Venne minacciata di morte se avesse parlato, ma Rosa Parks scese in campo al suo fianco chiedendo giustizia 11 anni prima della celebre protesta sull’autobus segregato che le dette celebrità universale. Recy che, ha raccontato Oprah, non riuscì mai ad ottenere giustizia, è morta due settimane fa, a 98 anni: «Ha vissuto per troppi anni in una cultura imbevuta di sopraffazione maschile, ma credo che se ne sia andata consapevole che quel tempo sta finendo».

Oprah ha parlato soprattutto di minoranze oppresse e discriminate, di donne abusate, del giorno in cui grazie al loro coraggio «e a quello di alcuni uomini fenomenali, nessuno dovrà più trovare il coraggio per uscire allo scoperto denunciando me too»: anch’io, l’espressione divenuta simbolo della denuncia di soprusi e molestie sessuali nella società americana. Ma ha accennato anche alla brutta aria politica che tira in America e ha ringraziato la stampa: «È sotto assedio, ma è più preziosa che mai, ci aiuta a navigare in questi tempi difficili».

Un’ovazione ai Golden Globe e l’aperto invito a scendere in politica di molte star democratiche dello spettacolo, a cominciare da Meryl Streep. Ma davvero Oprah rinuncerà al suo impero televisivo? In passato, come detto, lei ha escluso categoricamente un suo impegno, ma più di recente ha aperto uno spiraglio mostrandosi sorpresa e pensosa davanti al successo di un outsider come Trump (ieri la Casa Bianca ha commentato: «la sfida è benvenuta»). E quando il New York Post ha scritto che è la miglior speranza del partito democratico lei ha risposto: «Grazie per il vostro voto di fiducia».

C’è anche un sondaggio Quinnipac del marzo scorso che le attribuisce un indice di popolarità maggiore di quello di tutti i politici (52% di favorevoli, 23% di sfavorevoli), ma poi solo un intervistato su 5 dice che lei dovrebbe candidarsi nel 2020.


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PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA 9/1 –

Oprah Winfrey aveva finito da pochi minuti il discorso con cui aveva scosso la premiazione dei Golden Globe a Los Angeles, quando due ex consiglieri di Barack Obama, David Axelrod e Ben Rhodes, sono corsi a prendere gli smartphone per twittare messaggi identici di una sola parola: «Oprah». La conferma, se fosse mai servita, che la serata di domenica potrebbe passare alla storia come il lancio della sua campagna presidenziale nel 2020.

Il discorso della più famosa star televisiva nera del mondo ha toccato i temi della razza, l’assedio contro l’informazione libera, gli abusi contro le donne, ma è andato molto oltre annunciando che «c’è un nuovo giorno all’orizzonte». Non ha mai citato Trump, ma è chiaro che ha proposto una visione alternativa e opposta a quella del capo della Casa Bianca. Maryl Streep ci ha subito letto l’inizio della corsa alla Casa Bianca: «Ha lanciato un razzo. Spero che si candidi. Non pensavo che volesse farlo, ma ora non ha più scelta». Il compagno di Oprah, Stedman Graham, lo ha confermato al «Los Angeles Times»: «Dipende dalla gente. Lei lo farebbe assolutamente». Il giorno dopo, almeno due fonti molto vicine a Winfrey hanno confidato alla Cnn che «sta attivamente considerando la candidatura».
Oprah è nata nel 1954 in Mississippi da una madre single, che puliva case, ed è cresciuta quasi in povertà a Milwaukee. Ha studiato e cominciato la carriera come giornalista, in Tennessee e a Baltimora, ma la sua capacità di trasmettere emozioni l’ha presto proiettata verso la carriera di conduttrice di talk show e attrice. «L’Oprah Winfrey Show», basato su interviste e confessioni coinvolgenti con celebrità e persone comuni, l’ha resa famosa in tutta America e ricca, al punto che il suo patrimonio personale è stimato in 3 miliardi di dollari. Nello stesso tempo è diventata molto attiva nel campo della filantropia, dagli aiuti per le vittime dell’uragano Katrina alle scuole aperte in Sudafrica per le ragazze svantaggiate, coinvolgendosi anche nella politica per sostenere Obama e Hillary Clinton. Oggi è la ceo del cable channel OWN, e la corrispondente speciale del rotocalco della Cbs «60 Minutes». Nel tempo libero continua a fare l’attrice, con una parte nel film «A Wrinkle in Time» che uscirà ad aprile. Ma può davvero ambire alla Casa Bianca?
I suoi punti forti sono parecchi. Ha una capacità comunicativa unica, migliore dello stesso Trump, e abbastanza soldi da finanziarsi da sola la campagna. È nera, donna, viene dalla classe bassa. Quindi può puntare sui gruppi elettorali che avevano fatto vincere Obama, hanno tradito Hillary, e ora sono diventati ancora più motivati dalla presidenza Trump. Conosce mezzo mondo, e mezzo mondo la conosce. I punti deboli sono l’inesperienza politica, ma su questo fronte non è molto indietro rispetto a dove è partito Donald, e la stretta connessione col mondo liberal di Hollywood: già girano le sue foto insieme a Weinstein. Se però gli elettori hanno perdonato a Trump la registrazione in cui diceva di poter prendere le donne per i genitali, probabilmente ormai sono abbastanza vaccinati contro gli eccessi delle celebrità.
I politici di professione democratici staranno tremando, perché da una parte non vogliono lasciare il posto ad un’outsider, ma dall’altra hanno disperatamente bisogno di un salvatore della patria. Qualcuno azzarda che la soluzione potrebbe essere un dream team con Joe Biden candidato presidente e Oprah vice, con l’impegno che Biden faccia un solo mandato e dopo quattro anni lasci la Casa Bianca a Winfrey, quando lei avrà abbastanza esperienza per gestire da sola la carica.
La verità è che la vittoria di Trump ha cambiato profondamente la politica americana, demolendo i vecchi paradigmi. Oprah ha tutte le sue capacità, forse anche di più, e la storia personale necessaria a ricostruire, motivare e allargare la base vittoriosa di Obama. Deve però definire un messaggio politico, interpretare la pancia dell’America come ha fatto Donald, ma su basi opposte, e trovare la sua stessa determinazione a combattere ogni giorno. È difficile, ma dopo Trump niente è impossibile.


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FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA 9/1 –

La rivolta “in nero” contro le molestie sessuali conquista Hollywood, domina la scena dei Golden Globe, e infine lancia una candidatura per la Casa Bianca: Oprah Winfrey. Chi meglio di una celebrity dello show- business per sconfiggere il presidente showman? Se poi è donna, afroamericana, e sa infiammare l’audience con una vibrante denuncia del maschilismo, la sinistra è entusiasta: ha trovato la degna erede di Barack e Michelle Obama, nonché la vendicatrice di Hillary Clinton. La Cnn ignora le smentite (forse rituali) dell’interessata, e lancia la “ breaking news”: secondo due fonti a lei vicinissime, Oprah starebbe «esaminando attivamente» la propria candidatura per il 2020. Del resto la Winfrey ha la politica nel sangue da tempo, ebbe un ruolo prezioso nel sostenere proprio Obama all’esordio, quando la nomination sembrava un miraggio per il giovane senatore dell’Illinois.Galeotto fu il Golden Globe, dunque. Hollywood aveva pianificato con cura questa cerimonia — una sorta di “ anticipo” degli Oscar — per purificarsi dopo l’ignobile regno Weinstein nonché tutte le altre denunce- rivelazioni che hanno colpito e quasi sempre affondato i predatori sessuali nel mondo del cinema. La Winfrey era stata scelta come madrina della serata, ma il suo discorso è andato ben oltre le attese. Lacrime, applausi, standing ovation, di fronte a un comizio che poteva essere già pre- elettorale, con frasi di grande efficacia. « Dire la vostra verità è lo strumento più potente che avete. Voglio che tutte le ragazze che ci guardano sappiano che un nuovo giorno spunta all’orizzonte. E quando quel giorno finalmente sorgerà, sarà stato grazie a tante magnifiche donne, molte delle quali sono proprio in questa stanza stasera, e alcuni uomini fenomenali, che hanno combattuto per conquistare una nuova era in cui nessuno dovrà più dire #MeToo» .Dalla standing ovation dei Golden Globe erano passate poche ore, e in tutti i talkshow televisivi del mattino seguente il tema vero era quello: si candida? E se si candida, vince? Dal dibattito tra gli esperti emerge che la Winfrey ha alcune risorse eccezionali: un’altissima notorietà in partenza, un carisma sicuro, ed è una variante nel mito americano dell’imprenditore di successo, self- made woman, capace di costruire un impero mediatico- televisivo partendo dal nulla. Alcune somiglianze con l’attuale presidente sono evidenti. Le differenze pure: donna, femminista, nera, ultra- liberal. Insomma un’immagine speculare, rovesciata e antagonista dell’uomo che ha trascinato la destra verso l’improbabile conquista della Casa Bianca.Ma proprio qui si nasconde il primo problema. Una regola empirica del ciclo elettorale americano vuole che il pendolo oscilli da un estremo all’altro, non solo politicamente ma anche nella tipologia umana.Dunque dopo un presidente che viene dal business e non ha la minima esperienza di governo, è possibile che gli elettori vorranno tornare all’estremo opposto premiando nel 2020 una personalità di sicura competenza. In tal caso la sinistra starebbe facendo un errore, “replicando” una sua versione di Trump anziché cercare in tutt’altra direzione.Alla Casa Bianca, invece, sembrano già pronti. «La sfida nel 2020 è benvenuta, che sia con Oprah o con chiunque altro», ha detto il viceportavoce Hogan Gidley.C’è poi la stretta associazione fra Oprah e il movimento #MeToo, proprio in una fase in cui questa ondata purificatrice incontra dissensi interni, e donne autorevoli prendono le distanze dai metodi radicali, intimidatori. Tra le voci del dissenso una ricca finanziatrice del partito democratico, Susie Tompkins Buell, annuncia che negherà i suoi fondi ai politici di sinistra che hanno spinto alle dimissioni il senatore Al Franken « senza neppure dargli la possibilità di difendersi» dalle accuse delle donne. Sulle pagine dei commenti del New York Times la scrittrice Daphne Merkin osserva: «In pubblico ci schieriamo tutte con #MeToo, ma in privato molte femministe hanno dei dubbi. Stiamo tornando a un’immagine della donna- fragile- vittima che ricorda il puritanesimo vittoriano». È solo l’ultima di una serie di critiche del movimento, espresse soprattutto da donne non più giovanissime, che spesso tendono a sottolineare la deriva sessuofobica, la demonizzazione di ogni corteggiamento, oltre che la sospensione di ogni presunzione d’innocenza in una sorta di rito abbreviato sulla piazza mediatica. Anche nei retroscena del Golden Globe è accaduto un episodio inquietante quando delle giovani attrici hanno tentato di organizzare un linciaggio psicologico di Meryl Streep accusandola di avere saputo e taciuto tutto sulle infamie del produttore Weinstein. Il dibattito sulla candidatura Winfrey nasce in questo contesto e il commento più ironico è su una testata che conosce l’ambiente. « Se un’elezione presidenziale si svolgesse oggi — scrive Ray Rahman su Hollywood Reporter — Oprah riceverebbe il 100% dei voti nel gruppo di critici televisivi con cui ho guardato la premiazione» .


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GIANNI RIOTTA, LA STAMPA 

Sarà dunque tra il presidente Donald Trump, per i repubblicani, e l’attrice e produttrice tv Oprah Winfrey, democratica, il faccia a faccia per la Casa Bianca 2020?
Ieri, in America, cyber elettrocardiogramma in tumulto per l’appassionato discorso che Oprah, così i fan la chiamano, ha pronunciato alla cerimonia dei premi Golden Globe. Winfrey ha citato, in dieci minuti di appello applaudito in piedi da Hollywood, i diritti degli oppressi, mescolando con maestria dolore delle star umiliate da sadici come il magnate Harvey Weinstein e il retaggio lontano delle braccianti afroamericane, preda per generazioni della foia bianca.

L’icona
Recy Taylor, contadina povera che nel 1944 venne stuprata da una gang di razzisti in Alabama, senza mai ricevere giustizia malgrado la confessione di un aguzzino, diventa grazie a Oprah Winfrey un’icona dei diritti umani delle donne. Fu giusto Rosa Parks, poi celebre per non avere ceduto a un bianco il posto in autobus lanciando lo storico boicottaggio dei mezzi pubblici, a indagare sul caso Taylor, finché lo sceriffo di Abbeville non scacciò la militante dalla cittadina.
Oprah ha chiesto agli uomini, bianchi e no, di far da testimoni senza omertà, non processandoli in blocco ma suggerendo che le vittime, sempre, hanno diritto ad emancipazione e giustizia. Le attrici in scena, e con loro milioni di donne a casa, indossavano tutte abiti color nero, segno di dolore e battaglia, ed Oprah, elegante e composta, è apparsa da campionessa, priva di rancore o odio, dell’America tollerante, compassionevole, globale, ancora capace di fascino e stile, quel che Hollywood sogna di essere, ieri con i film sul New Deal di Frank Capra, oggi con «The Post» di Spielberg.
L’Orco Weinstein, e i tanti attori accusati di molestie, hanno sporcato l’industria culturale con prevaricazione e ipocrisie, si finanziava l’amica femminista Hillary Clinton, comportandosi poi da bruti sul lavoro.

Il riscatto
Oprah ha riscattato davanti ai telespettatori lo show business, con tale piglio retorico da scatenare la cyberpolitica: Oprah for President 2020? I veterani ricordano che in un’intervista del 1999, l’allora palazzinaro Donald Trump dichiarò perentorio «Se mai mi presentassi alla Casa Bianca, Oprah sarà vicepresidente!». Ventun anni dopo vedremo il più spettacolare duello tv dai tempi di Ronald Reagan, l’aggressività macho di Trump, per i repubblicani, contro la forza femminile della Winfrey, per i democratici?
La rete Nbc confermava in un primo tempo «Winfrey correrà», poi ha cancellato il tweet, ma subito la rivale Cnn incalzava «Due fonti: Oprah si presenta nel 2020». Lei minimizza? Il suo compagno storico, Stedman Graham, rilancia con il «Los Angeles Times»: «Tocca al popolo parlare, lei è pronta». Harry Enten, macinatore di dati del sito FiveThirtyEight calcola che nel 2008 Oprah seppe convogliare su Barack Obama almeno un milione di voti contro Clinton, risultando decisiva. Con un patrimonio personale stimato in due miliardi e mezzo di dollari, Winfrey potrebbe pagarsi la campagna da sé, e ha legioni di ricchi pronti a darle una mano. Il 52% degli americani la giudica positivamente, il 56% ha un parere negativo sul presidente Trump, ma si deve passare dalle elezioni di midterm a novembre, e intanto, nel turbolento inverno Usa, pare che il procuratore speciale Mueller voglia interrogare il presidente sul Russiagate, le ingerenze russe sul voto 2016.

La prima donna nera
È pronta l’America per la prima donna nera presidente, debuttante in politica? Difficile dire, ma il passato è ormai cattivo maestro per anticipare il futuro Usa, vedi vittorie di Obama e Trump. Colpisce, piuttosto, la vitalità formidabile della democrazia americana, capace di offrire a una personalità tv il podio per fare un’eroina di Recy Taylor, stuprata dai razzisti nel 1944, in piena guerra, quando Eugene Gordon, del giornale «Daily Worker», osservava caustico «Lo stupro della signora Recy Taylor è violazione brutale, come quelle perpetrate dai fascisti, dei suoi diritti personali di donna e cittadina di una democrazia». Oprah ha rimesso i diritti al centro, ha scaldato tanti cuori e vedremo poi se sfiderà l’uomo che un tempo la sognava come sua vicepresidente e come se la caverà se chiamata a difendere la libertà davanti a Putin o Xi Jinping.


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IL DISCORSO DI OPRAH AI GOLDEN GLOBE – 

Nel 1964 ero una piccola bambina, seduta sul pavimento di lineoleum nella casa di mia madre a Milwaukee, e guardavo Anne Bancroft che presentava l’Oscar per il miglior attore protagonista alla 36ª edizione degli Academy Awards. Lei aprì la busta e lesse cinque parole che fecero letteralmente la storia: «Il vincitore è Sidney Poitier». Sul palco salì l’uomo più elegante che avessi mai visto. La sua cravatta era bianca, la sua pelle nera, e veniva celebrato. Non avevo mai visto un uomo nero celebrato così. Ho cercato di spiegare molte, molte volte cosa un momento così significasse per una piccola bambina, che guardava dai posti a sedere economici, mentre mia madre apriva la porta, stanca dopo aver pulito le case di altre persone. Nel 1982 Sidney aveva ricevuto il DeMille Award proprio qui ai Golden Globe. Non mi sfugge che in questo momento ci sono alcune piccole bambine che stanno guardando, mentre io divento la prima donna nera a ricevere lo stesso premio. È un onore e un privilegio condividere questa serata con tutte loro.
Vorrei anche ringraziare la Hollywood Foreign Press Association, perché tutti sappiamo che oggi la stampa è sotto assedio. Ma sappiamo anche che è l’insaziabile dedizione a scoprire la verità assoluta che ci impedisce di chiudere gli occhi davanti alla corruzione e all’ingiustizia, ai tiranni e alle vittime, ai segreti, alle bugie. Apprezzo la stampa come mai prima, mentre cerchiamo di navigare questi tempi complicati. Ciò che so per certo è che dire la verità è lo strumento più potente che tutti noi abbiamo. E io sono specialmente orgogliosa e ispirata da tutte le donne che si sono sentite abbastanza forti da poter parlare e condividere le loro storie personali. Ognuno di noi in questa stanza viene celebrato per le storie che racconta e quest’anno noi siamo diventate la storia.
Una di queste donne è Recy Taylor, un nome che dovreste conoscere tutti. Nel 1944 Recy Taylor era una giovane moglie e madre. Stava tornando a casa dalla messa ad Abbeville, in Alabama, quando venne rapita da sei uomini bianchi armati, violentata e lasciata bendata sulla strada. Gli uomini che cercarono di distruggerla non sono mai stati processati. Recy è morta dieci giorni fa, poco prima del 98° compleanno. Lei ha vissuto, come tutte noi, troppi anni in una cultura corrotta da uomini brutalmente potenti. E per troppo tempo, le donne non sono state ascoltate o credute, se si azzardavano a dire la loro verità davanti al potere di questi uomini. Ma il loro tempo è finito. Il loro tempo è finito.
Perciò voglio che tutte le ragazze che stanno guardando, ora, sappiano che c’è un nuovo giorno all’orizzonte. E quando arriverà, sarà grazie a molte donne magnifiche, e alcuni uomini fenomenali, che stanno combattendo per portarci nel tempo in cui nessuna dovrà più dire «Me too», anche io.


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FLAVIO POMPETTI, IL MESSAGGERO 9/1 –

«A new day is on the horizon», c’è un nuovo giorno all’orizzonte! L’eco del grido lanciato da Oprah Winfrey dalla platea dei Golden Globe ha risuonato a lungo nella notte di Los Angeles ma anche in quella di Washington. La regina nera della televisione statunitense aveva appena terminato di pronunciare un discorso travolgente a difesa dei diritti delle donne, e lo aveva fatto davanti alla platea delle attrici che hanno dato vita negli ultimi mesi al movimento Me too. Ma l’ampiezza dei temi trattati e i toni militanti con i quali si è espressa, hanno rilanciato le aspettative di quanti da anni si augurano che Oprah scenda in campo per una competizione elettorale, e diventi la prima donna presidente degli Usa. L’euforia è stata propiziata dalle parole del comico Seth Myers, presentatore della serata, che al momento di chiamare sul palco l’attrice e assegnarle il prestigioso premio alla carriera intitolato a Cecil B. DeMille ha ricordato come molti attribuiscono alla sua satira feroce contro Donald Trump il desiderio di rivalsa che ha portato l’immobiliarista newyorkese a conquistare la Casa Bianca. «Oprah, tu non sarai mai presidente!» Ha gridato Myers, con l’augurio che la sua invettiva possa di nuovo ribaltarsi. «E tu Hanks non sarai mai il vice presidente!» ha continuato alla volta di Tom Hanks, il cui nome era stato ventilato come possibile compagno di cordata di Hillary Clinton due anni fa.

«DIPENDE»
Oprah candidata nel 2020? «Dipende dalla (risposta) popolare» ha risposto dietro le quinte della rassegna il suo partner di lunga data Stedman Graham, a chi gli chiedeva una conferma. «Lei lo farebbe con assoluta certezza». La diretta interessata ha ironizzato sulla prospettiva a fine spettacolo, come ha fatto altre volte in passato. Ma non è un mistero che sia tentata dall’idea, oltre ad essere incoraggiata dai finanziatori e dai rilevatori di opinione. Oprah riassume tutti gli ingredienti che definiscono un personaggio di successo, sulla scena mediatica americana e su quella mondiale. E’ nata dal singolo incontro amoroso tra una donna delle pulizie con figli a carico e di un minatore, in un angolo impoverito del Mississippi. E’ cresciuta tra gli stenti, vestita a volte di un semplice sacco di patate acconciato a mo’ di tunica. Talento straordinario, ha iniziato a leggere la Bibbia a tre anni di età. A tredici è fuggita dalla casa materna e dagli abusi sessuali che subiva ad opera di familiari. A diciassette ha vinto il concorso di bellezza tra le donne di colore del Tennessee, e ha firmato il primo contratto giornalistico. Da allora ha messo in piedi un impero imprenditoriale senza precedenti per una donna. E’ stata la prima afro americana miliardaria (2004), prima di divenire l’americana self made’ più ricca in assoluto, con un patrimonio di 3 miliardi di dollari. Le sue trasmissioni televisive sono diffuse in 140 paesi a beneficio di 46 milioni di spettatori, e le copertine di riviste da Time a Forbes la dichiarano la donna più influente e potente del mondo.

LA GRANDE UNIFICATRICE
La sua prima apparizione in campo politico è stata la festa a Chicago la notte dell’elezione di Barack Obama nel 2008. Le costò le critiche di una parte degli spettatori, abituati a vederla nei panni di una saggia paladina degli umili, ma sorpresi da uno schieramento così plateale. A distanza di dieci anni però nessuno dei 17 milioni di simpatizzanti che la seguono su Twitter ha preso le distanze. Lo schermo della tv continua a coronarla come la grande unificatrice dell’animo degli statunitensi, e questo marchio potrebbe essere la chiave di una sua eventuale corsa elettorale. La direzione del partito democratico ha da tempo dato la sua approvazione per una eventuale candidatura. L’ostacolo dei finanziamenti sarebbe superato con agilità: Oprah combatterebbe alla pari con Trump, al quale la più recente classifica Forbes ha assegnato una ricchezza personale di 3,1 miliardi di dollari. Potrebbe decidere di investire i suoi soldi nella campagna, oppure accettare le copiose donazioni sulle quali potrebbe contare.C’è già chi ha iniziato a lavorare seriamente in questa direzione. Lo scorso ottobre A. J. Stevens, un 47enne padre di famiglia di un remoto paesino del Kansas, un repubblicano che non è nemmeno un fan dei programmi televisivi animati da Winfrey e non ne ha mai guardato uno, ha aperto una raccolta di fondi dal nome: Draft Oprah 2020, convinto che non ci sia una persona migliore di lei per governare il paese.


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ANNA GUAITA, IL MESSAGGERO 9/1 –

Cominciò tutto nell’anno 1960, con i dibattiti presidenziali che videro l’uno contro l’altro Richard Nixon e John Kennedy. Il 43enne senatore del Massachusetts, più giovane e spigliato, seppe usare il medium televisivo così bene che sbaragliò il rivale. L’esperienza lo convinse che la televisione era preziosa per parlare al pubblico, e una volta eletto presidente fu il primo a decidere che le sue conferenze stampa sarebbero state trasmesse direttamente in tv. Molta acqua è passata sotto i ponti, ma da allora l’influenza della tv sulla politica è cresciuta esponenzialmente. Oggi negli Usa il presidente è una ex star televisiva, e nel 2020 si ipotizza che a sfidarlo da sinistra potrebbe essere una star ancora più grande di lui, Oprah Winfrey. Ma a Donald Trump va anche il riconoscimento di aver capito che la tv si può sposare bene con i social network. E difatti è lui il primo ad aver imparato come catturare i titoli aggirando l’effetto filtro dei giornalisti e comunicando direttamente con il pubblico tramite la piattaforma social di Twitter. Il destinatario ideale dei tweet di Trump non sono tutte le tv. Il suo interlocutore privilegiato è la Fox News, il canale via cavo che parla ai conservatori. 

TWEET E FOX
Fra i tweet di Trump e il programma del mattino Fox and Friends si è creato un connubio che avvantaggia entrambi. Talvolta è Trump ad ascoltare alcune delle elucubrazioni dei tre giornalisti della mattina, e rilanciarle sul suo conto Twitter. Talvolta sono i tre moschettieri della destra a leggere i suoi tweet, a metterli a caratteri cubitali alle proprie spalle e discuterli. Alleati, Trump e Fox riescono a pilotare buona parte del discorso politico nella nazione, come prova il recente crescere di polemiche da parte della destra contro il procuratore speciale Robert Mueller, che sta indagando sul Russiagate: se la fiducia in Mueller diminuisce nei ranghi della destra si deve proprio a una campagna ideata fra la Casa Bianca e il canale fondato da Rupert Murdoch. Il potere della Fox non è da prendere sottogamba. Un importante studio comparso sull’American Economic Review prova che il canale via cavo, pieno zeppo di analisti e opinionisti conservatori, ha da solo spostato a destra l’ago politico americano, obbligando il partito repubblicano a seguirlo. Se oggi nel Gop è difficile trovare dei centristi, il merito va proprio alla Fox.


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GIULIA BELARDELLI, HUFFINGTONPOST.IT 9/1 –

Tutti pazzi per Oprah, dunque? Non proprio, non tutti. Se è vero che il suo discorso ’presidenziale’ ai Golden Globes ha galvanizzato l’opinione pubblica e parte dei democratici, a mente fredda arrivano le prime frenate da alcuni dei giornali più influenti d’America. La prospettiva di una sfida nel 2020 tra Trump e Oprah, o di un confronto tutto al femminile tra Ivanka e la diva della tv americana, preoccupa chi continua a credere che per fare il presidente servano esperienza, serietà e un solido background di servizio pubblico.


Il più netto di tutti è Thomas Chatterton Williams, che in un editoriale sul New York Times si rivolge direttamente a lei: "Oprah, non farlo".

"Non sono immune al fascino di Oprah, ma quella di una Presidente Winfrey è un’idea terribile. Evidenzia anche la misura in cui il Trumpismo - la dedizione agli ascolti, il ripudio dell’esperienza e delle competenze - ha infettato la nostra vita civica. Il politico post-Trump ideale sarà, per lo meno, una figura profondamente seria con un forte background di servizio pubblico alle spalle. Sarebbe una ferita devastante, autoinflitta, per i democratici [la scelta di] accontentarsi della pur benevola mimica del circo allucinante di Trump".


Per il NyTimes, il clamore mediatico suscitato dall’ipotesi di una #Oprah2020 "è un segnale preoccupante sullo stato del Partito Democratico".

"In un certo senso, la conversazione a sinistra (e nella destra anti-Trump) attorno alla Winfrey è anche più preoccupante dell’immaturità emotiva e dell’anti-intellettualismo che pulsa dagli Stati rossi che hanno eletto il signor Trump. Quegli elettori si sono da tempo definiti in opposizione alla serietà intellettuale che i Democratici pretendono di personificare.


Se i liberali non sono più orgogliosi di essere gli adulti nella stanza, il baluardo contro i capricci della folla, la nostra discesa nazionale nel caos sarà completa [...]. La politica americana è diventata solo un altro sport di squadra, e se adattarsi a un battitore pesante come la signora Winfrey è quello che serve per ottenere la vittoria al campionato, così sia.


L’idea che la presidenza debba diventare solo un altro premio per le celebrità – anche per quelle con cui crediamo di essere d’accordo - è estremamente pericolosa. Se il primo anno dell’amministrazione Trump ha chiarito qualcosa, è che l’esperienza, la conoscenza, l’educazione e la saggezza politica hanno un’importanza enorme. Governare è completamente diverso dal fare campagna elettorale. E forse, la cosa più importante, le celebrità non sono eccellenti capi di stato. La presidenza non è un reality show o un talk show [...]. Speriamo, per il bene della nostra nazione, che Oprah non voglia [scendere in campo]".

Per contro, a quasi 24 ore di distanza dal discorso della Winfrey, è arrivato via twitter il plauso della primogenita del presidente, Ivanka Trump. "Ho appena sentito il discorso autorevole di Oprah. Uniamoci donne e uomini per dire #TimeSup", riferendosi all’iniziativa lanciata da attrici e artiste americane per combattere la cultura della violenza maschile contro le donne sul posto di lavoro.

A bocciare come "deprimente" la prospettiva di una Oprah Winfrey for president è anche il Los Angeles Times, che spiega la sua posizione in un commento dell’Editorial Board:

"Non intendiamo mancare di rispetto a Winfrey, che ci colpisce per essere molto più informata e intellettualmente curiosa, oltre che presumibilmente meno spericolata e disonesta del presidente in carica. Ma troviamo bizzarro che gli americani che sono sconvolti dalla condotta ottusa e ignorante di Trump al più alto ufficio della nazione gravitino attorno a un’altra star televisiva non testata in politica".

"Gli Stati Uniti – avverte il Los Angeles Times - non hanno bisogno di un’altra stella televisiva che gestisca il Paese, neanche se si tratta di una star talentuosa e compiuta come Oprah Winfrey. Ciò di cui hanno bisogno è qualcuno che sia preparato per il lavoro, che abbia preso decisioni difficili, che abbia familiarità con i problemi e una storia di servizio pubblico. Non tutti i senatori o i governatori sono dei buoni presidenti, certo, ma sono una scommessa migliore, in generale, rispetto alla tipica star del cinema o uomo d’affari. Ecco il tipo di curriculum che si avvicina di più a ciò che tendiamo a cercare in un candidato (e perdonaci se sembra familiare): ex senatore degli Stati Uniti, ex segretario di Stato.

Sarebbe meglio, per il partito e per il Paese, se gli elettori pensassero di poter riporre la loro fiducia in potenziali presidenti che condividessero le loro opinioni e le loro passioni, ma avessero anche esperienza nel governo. Ci aggrappiamo ancora alla speranza che le elezioni per il presidente non siano state definitivamente trasformate in un episodio di Celebrity Apprentice".

Sul Washington Post è Paul Waldman a mettere in guardia i Dem dal rischio di ’cedere’ alla tentazione di rispondere a celebrity con celebrity.

"I democratici sono rimasti traumatizzati dagli eventi recenti, e una delle risposte è alzare le mani e dire: "Bene. Se ciò che importa agli elettori è che ci sia qualcuno in grado di mettere su un bello spettacolo, allora ci faremo avanti anche noi con una nostra celebrità [...]."

È vero che i democratici hanno sottovalutato l’importanza del carisma nella politica presidenziale", ricorda il Wp. "Ma la risposta a quei fallimenti elettorali non è di smettere di preoccuparsi della sostanza. È trovare candidati che siano sia carismatici che seri, che sarebbero in grado sia di vincere che di fare il lavoro una volta entrati in carica.

Indovinate un po’: i democratici lo hanno già fatto in passato! Bill Clinton e Barack Obama erano candidati straordinariamente avvincenti che potevano parlare per ore di politica. Sapevano come lavorare sul sistema politico e sapevano anche come vendere. E non è vero che ai democratici mancano le scelte per il 2020. Probabilmente ci saranno almeno una dozzina di persone che corrono, e se sei un democratico probabilmente ti piaceranno almeno alcune di esse.

Essere presidente non è come condurre un talk show o gestire un marchio multimediale, osservano i critici. "E il successo di Oprah nel suo campo non è più indicativo del suo poter essere una buona presidente di quanto non lo fosse il successo di Trump nel settore immobiliare. Non si può criticare Trump per non avere alcuna esperienza rilevante o comprensione evidente delle politiche pubbliche, quindi dire che la soluzione per i democratici è solo alzare le mani e trovare la propria celebrità da promuovere".

"È un Paese libero e Oprah può correre se vuole. Se lo fa, avrà la possibilità di esprimere le sue migliori argomentazioni sul perché dovrebbe essere presidente. Ma se lei correrà, l’idea di una sfida Trump-Oprah manderà in visibilio il mondo delle news. C’è una forte possibilità che, proprio come accadde per Trump nelle primarie 2016, lei finisca col risucchiare ogni grammo di attenzione mediatica, limitando la capacità dei candidati più esperti e seri di presentare la propria causa agli elettori.

Anche la rotta di Obama verso la presidenza iniziò con un grande discorso. Ma negli anni seguenti, ha dimostrato di essere degno delle grandi aspettative che in lui erano state riposte. È possibile che Oprah possa dimostrare di meritare tutta l’attenzione suscitata dall’idea di una sua candidatura. Ma certamente non l’ha ancora fatto, e dovremmo essere tutti estremamente scettici a meno che e fino a quando lei non ci mostri perché, oltre a essere solo ricca e famosa, sarebbe diventata davvero una buona presidente".


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WINFREY Oprah Kosciusko (Stati Uniti) 29 gennaio 1954. Attrice. Conduttrice tv • «Quando parla, gli yankee corrono in libreria, perdono dozzine di kili superflui e mettono mano al portafoglio per cause altrui. In cambio lei fa da balia catodica, con The Oprah Winfrey Show, talk show divorato quotidianamente da 33 milioni di americani. [...] "Time" l’ha inserita nella lista dei 100 personaggi più influenti del secolo [...] una nomination all’Oscar 1985 per il debutto ne Il colore viola di Steven Spielberg [...] a 9 anni, circuiva il popolo domenicale nella chiesa di Kosciusko e le matrone nere in prima fila si scambiavano dei "Rattie Mae, certo che quella bambina sa parlare". A casa della nonna materna, invece, succhiava libri rifiutandosi di imparare a sgozzare galline e a fare sapone di soda, perché la sua vita "sarebbe staata diversa". Così è stato: dopo il debutto radio e il posto di anchorwoman alla Wtvf di Baltimora, arrivano People are talking e Am Chicago trasformato in seguito in The Oprah Winfrey Show [...] nulla viene risparmiato ai fedeli tv: Oprah che divora würstel con sciroppo d’acero; Oprah violentata a 9 anni; Oprah che sniffava a 20 anni [...] Il pubblico partecipa alla sua esistenza e, sazio di dettagli, la ripaga con fiducia illimitata. Così lei muove numeri straordinari: fonda l’Angel network, catena di buone azioni, e mette in piedi "il più grande salvadanaio del mondo", per spedire all’università 50 ragazzi, uno per ogni stato [...] Una parola che pesa come un macigno. Oprah annuncia in diretta di aver eliminato il venerato hamburger dalla sua dieta per via del morbo da "mucca pazza"? L’associazione allevatori del Texas le fa causa per 18 miliardi per lesa maestà bovina. Risultato: Oprah sverna ad Amarillo, Texas (dove prosegue il suo show nel teatrino locale) e vince [...]» (Benedetta Pignatelli, "Panorama" 26/11/1998).