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 2018  gennaio 09 Martedì calendario

Michielin: «In cerca di equilibrio volevo scappare a Bogotà»

ROMA Ci si può raccontare attraverso le canzoni. Si può essere schivi, timidi e stare in scena sotto ai riflettori. Si può essere raffinati, interessanti e pop. O almeno ci si può provare. E ci prova Francesca Michielin con il suo nuovo lavoro, 2640, in arrivo venerdì. Un racconto in musica della crescita di Francesca, delle sue esperienze e della sua visione del mondo: «Credo sia il frutto potente di una persona che ha quasi ventitré anni, riconoscibile, molto definito».
Da “X Factor” a oggi lei è sempre stata alla ricerca di un equilibrio.
«L’equilibrio è sempre difficile da raggiungere. Ero partita con le idee molto chiare ma al tempo stesso ero disposta a un processo di tesi-antitesi-sintesi per confrontarmi con un produttore come Michele Canova. Sono andata da lui con il disco già pronto, preprodotto da me e dagli artisti con i quali l’ho scritto, lui non aveva ascoltato nulla. Sono stata un mese a Los Angeles da lui. Alla fine, con un lavoro molto lungo, ha fatto un giro incredibile per tornare ai pezzi come volevo io, ma con dei codici pop».
Che cosa vuol dire “2640”, il titolo dell’album?
«È l’altitudine di Bogotà, un posto dove volevo andare e mollare tutto.
Poi sono rimasta qui a scrivere e ho pensato di chiamare così il disco. E poi mettere un numero al posto del titolo credo che possa lasciare spazio ai titoli delle canzoni».
Come mai ha scelto collaboratori come Calcutta, Cosmo e Tommaso Paradiso?
«In realtà Paradiso ha scelto me, ha scritto il pezzo con me in mente e ha voluto darmelo. Cosmo invece l’ho cercato perché volevo avere in Tapioca dei campionamenti in lingua ghanese e lui era la persona più adatta per farlo. Calcutta l’ho conosciuto per caso, abbiamo condiviso pensieri sulla musica e poi ci siamo trovati quasi per gioco in studio a scrivere Io non abito al mare».
Timida e forte, pop e ricerca, impegno e leggerezza.
Il suo resta un mondo di contraddizioni.
«È vero, sono contraddittoria. Potrei definirmi molto rock, ma sono anche una cantautrice, mi piace il mondo emotivo di Damien Rice ma anche lui ogni tanto si incazza.
Stavolta anziché stare a pensarci su ho semplicemente fatto. È un lavoro vulcanico, con i suoi momenti di calma e le sue esplosioni. Ci sono io, con la mia fragilità e la mia rabbia».
Qual è il motore emotivo o personale che la spinge a scrivere brani?
«Ho un bisogno costante di scrivere per dire delle cose che non riuscirei a dire altrimenti. Non saprei davvero spiegare perché è così. Per me la musica è un modo per sublimare certe sensazioni, è un’arma, un fiore».
E dal vivo?
«Sarà anche quello uno spettacolo di contraddizioni, soprattutto tra analogico e digitale».