il Fatto Quotidiano, 9 gennaio 2018
Siamo Lord e andiamo su Youporn (anche in aula)
Tutto si può dire tranne che sia stato un anno noioso, dentro e fuori il Parlamento britannico. Ma le ore a Westminster sono lunghe, i dibattiti a volte convoluti, le sedute infinite, spesso prolungate fino a notte fonda: e insomma, capita di cercare sollievo nel porno. O almeno provarci. Ostinatamente. 24.473 volte fra giugno e ottobre scorso. 160 al giorno, di media. E non riuscire quasi mai a collegarsi, visto che, ha spiegato un portavoce: “Tutti i siti pornografici online sono bloccati dal sistema informatico del Parlamento. La grande maggioranza dei tentativi di collegarsi non è intenzionale”.
Sarà, ma il connubio sesso-Westminster ha riempito le cronache politiche negli ultimi mesi, da quando, sull’onda dello scandalo Weinstein, anche nel Parlamento britannico sono emersi presunti episodi di molestie sessuali che avrebbero coinvolto una quarantina di politici sia Tory che Labour. Ennesimo imbarazzo per il governo May, che sui comportamenti di parlamentari e staff ha dovuto aprire un’inchiesta ufficiale. Pesanti le ripercussioni sugli equilibri già fragili del suo governo: ai primi di novembre si era dimesso il ministro della Difesa Michael Fallon per comportamenti ‘inappropriati’ con due giornaliste. E poi Damian Green, de facto il braccio destro della May, accusato non solo di molestie ma di aver scaricato contenuti porno sul computer dei suoi uffici parlamentari nel 2008. Ha sempre negato di averlo fatto, ma prima di Natale è stato costretto alle dimissioni dalla stessa May, “per aver fornito informazioni fuorvianti”. Come per Fallon, carriera politica finita. E, con il massimo rispetto per le vittime, il sospetto che il dossier sulle molestie sia stato anche strumentale a certe vendette politiche interne.
E i sospetti chiamano sospetti; i dati sugli accessi ai siti porno sono stati scovati dalla Press Association grazie a una Freedom of Information request, cioè a una specifica richiesta di accesso a informazioni in possesso di amministrazioni pubbliche. Ma che dal Parlamento si tenti di accedere ai siti hard non è una novità, anzi gli accessi sono in calo: erano 213,020 nel 2015, 113,208 nel 2016. In gioco potrebbe esserci molto di più: la Press Association è infatti la maggiore agenzia multimediale britannica e ha, fra i suoi 26 soci, gruppi editoriali come il Daily Mail, News Uk di Rupert Murdoch, il Telegraph e il Guardian, che hanno tutti rilanciato la gustosa notizia. Proprio nella settimana in cui, alla Camera dei Lord, si discute se procedere con la fase due dell’Inchiesta Leveson, sui rapporti, quelli sì senza ombra di dubbio inappropriati, fra una certa stampa e la polizia, scoperti con lo scandalo News of the World nel 2011. La Leveson 2, se autorizzata, porterebbe a irrigidire i controlli pubblici sulla stampa e, in eventuali processi per diffamazione, al pagamento per i media delle spese legali anche in caso di vittoria. Il governo May si è impegnato a lasciarla cadere, ma un voto a favore dei Lords potrebbe riaprire la partita.