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 2018  gennaio 09 Martedì calendario

Università gratis per tutti. I ricchi pagherebbero di più

Domenica Pietro Grasso ha lanciato una delle proposte del programma di Liberi e Uguali: “Aboliamo le tasse universitarie”. Ha indicato dove reperire le risorse: “Questo provvedimento costa circa 1,6 miliardi di euro. Basta tagliare un decimo dei 16 miliardi di sgravi fiscali dedicati ad attività che danneggiano l’ambiente” (fonte: “Catalogo dei Sussidi”, ministero dell’Ambiente). La proposta è stata criticata da diversi esponenti del Pd con questo argomento: è un favore ai ricchi. È intervenuto anche il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che l’ha definita una misura “trumpiana”: “Oggi gli studenti con redditi bassi sono già esentati di fatto dalle tasse universitarie”.
Le tasse in Europa. Più che una misura “trumpiana” si tratta di una realtà per diversi Paesi europei. In Germania l’università è gratuita sia per gli studenti Ue che per gli extra Ue. In Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia gli studi sono gratuiti per tutti gli studenti comunitari, ma non per gli extra (fonte Il Sole 24 Ore – mastersportal.eu). In Repubblica Ceca l’università è gratis per gli studenti che completano gli studi nei tempi stabiliti e nella lingua nazionale. In Grecia è gratuita solo la laurea triennale. L’Italia invece, dopo Inghilterra e Olanda, ha le tasse più alte d’Europa: in media circa 1.400 euro a studente (dati Ocse).
Chi paga in Italia. Le tasse universitarie dirette che vuole abolire Grasso coprono circa il 20% del Fondo di finanziamento ordinario destinato agli atenei italiani (6,9 miliardi di euro nel 2017). Il resto del Ffo viene finanziato dalla fiscalità generale.
Le tasse dirette corrispondono a circa 1,6 miliardi. Gli studenti “più poveri” però ne sono già esentati, come giustamente fa notare Calenda: l’ultima legge di stabilità ha introdotto una “no tax area” – esenzione fiscale totale – sotto la soglia Isee di 13mila euro (l’Isee è l’indicatore di reddito e patrimonio familiare). Diversi atenei hanno alzato questa soglia a 15mila euro. Il risultato, nel 2017/18, è che 592 mila iscritti su un totale di 1 milione e 637mila (il 36,2%) non pagheranno tasse universitarie, eccetto quelle regionali e l’imposta di bollo virtuale (dati Il Sole 24 Ore – Inps). In questo senso la misura di Grasso sembra effettivamente aiutare “i ricchi”, o meglio i redditi superiori alla soglia minima.
C’è però un altro effetto da considerare quando si valuta l’abolizione delle tasse dirette. Il sistema universitario pubblico a quel punto sarebbe finanziato interamente attraverso la fiscalità generale (al pari di altri servizi universalistici, come scuola e sanità). Un fisco progressivo: chi ha di più, paga di più. Uno studio di Emanuele Pugliese e Ugo Gragnolati su lavoce.info calcola il saldo rispetto ai servizi universitari per ogni fascia di reddito. Il risultato è il seguente: “Le nove fasce di reddito più basse sono in attivo: cioè godono di una parte dei servizi universitari superiore a quella che contribuiscono a finanziare tramite l’Irpef. Al contrario, il 10 per cento più ricco della popolazione è in passivo: cioè finanzia l’università in misura maggiore di quanto la utilizzi”. Traduzione: “Se l’università fosse finanziata interamente attraverso l’Irpef, sposterebbe le risorse dai ‘ricchi’ ai ‘poveri’, e non viceversa”. È la proposta di LeU. Ne ha scritto sull’Huffington Post la responsabile Scuola di Sinistra Italiana, Claudia Pratelli: “Pagano i più ricchi attraverso la fiscalità generale, in un sistema da rendere fortemente progressivo”.
I problemi. Al di là di qualsiasi proposta fiscale, l’università italiana ha un drammatico bisogno di risorse. Alcuni dati: solo il 18% degli italiani tra i 25 e i 64 anni ha una laurea; la media europea è del 33% (Ocse, 2017). Tra il 2008 e il 2014 l’Italia ha tagliato 9 miliardi di euro ai bilanci di scuola e università: con il suo -17% è lo Stato Ocse che ha diminuito di più la spesa pubblica nell’istruzione. Siamo, infine, uno dei pochi Paesi in cui le risorse destinate alle borse di studio non bastano nemmeno a garantire gli aventi diritto. Le ricevono il 9,2% degli iscritti agli atenei italiani; in Germania sono il 25%, in Spagna il 30%, in Francia il 39,2%, in Finlandia addirittura il 66% (fonte Eurydice 2017). Senza coprire questo gap di risorse, l’università non potrebbe sostenere nessun forte incremento di iscritti.