Affari&Finanza, 8 gennaio 2018
Onu, Trump chiude il portafoglio degli Usa Sprechi e politica, è opaco il Palazzo di Vetro
New York
Cinque miliardi e 397 milioni di dollari. Il bilancio delle Nazioni Unite per il biennio 2018-19 che la quinta commissione dell’Onu (quella che si occupa delle questioni amministrativo- finanziarie) ha proposto all’Assemblea Generale è inferiore del 5% a quello 2016-17. Erano tagli prevedibili, nel quadro di quell’opera di risanamento di cui si è fatto portatore il Segretario Generale Antonio Guterres: riduzioni di servizi contrattuali troppo onerosi, drastici ridimensionamenti sulle spese per mobili, attrezzature, consulenze e viaggi, risparmio netto sui finanziamenti delle missioni politiche speciali.
Nella battaglia non più rinviabile contro gli sprechi, contro i salari fuori mercato dei burocrati e le sacche di corruzione nascoste tra leggi, leggine e codicilli, l’annuncio della Casa Bianca di tagliare di 285 milioni il contributo 2018 degli Stati Uniti alle casse dell’Onu, è arrivato come un fulmine a ciel sereno. La motivazione, liquidata dal presidente Usa con i soliti tweet, è stata motivata dall’ambasciatrice della Casa Bianca al Palazzo di Vetro Nikki Haley con una frase ad effetto: «Non lasceremo più che si approfitti della generosità del popolo americano». Che dietro alla decisione ci sia l’irritazione americana per il voto a grande maggioranza (128 membri tra cui l’Italia) con cui l’Assemblea Generale ha bocciato “Gerusalemme capitale” è apparso subito evidente, ma sarebbe riduttivo limitare lo scontro sui finanziamenti alle Nazioni Unite solo alla questione palestinese. Che è la più evidente (le condanne dell’Onu contro Israele non si contano più) per l’impatto politico- diplomatico che provoca, ma non l’unica a rendere il Palazzo di Vetro terreno di scontro tra culture, religioni, interessi e veti reciproci, mal celati dalla diplomazia. Scossone alla burocrazia «Potete star certi che continueremo a cercare ogni modo per aumentare l’efficienza delle Nazioni Unite, proteggendo al tempo stesso i nostri interessi». Con le parole pronunciate alla vigilia di Natale, che diversi Stati hanno considerato una dichiarazione di guerra permanente all’Onu, la Haley ha dato un indubbio scossone al “carrozzone” delle Nazioni Unite le cui conseguenze possono essere molte: in senso negativo per quanto riguarda progetti vitali per milioni di persone (un esempio è il finanziamento del Programma Alimentare Mondiale), in senso positivo se servirà a ridurre gli ingenti sprechi delle risorse, la diffusa corruzione, e a riformare un’organizzazione che in oltre 70 anni di vita ha visto diversi successi ma anche molti fallimenti. Iniziare dai finanziamenti sarà anche discutibile, ma per mettere fine alla crisi non solo economica dell’Onu è l’unico punto di partenza possibile. Gli Usa hanno un argomento forte, che non a caso viene da decenni (sia con presidente repubblicani che democratici) tirato in ballo quando ci sono motivi di contrasto: il fatto che sono con il 22% (1,2 miliardi di dollari per il biennio 2016-17) di gran lunga il più grande finanziatore del Palazzo di Vetro e delle sue numerose organizzazioni. Il budget dell’Onu, una macchina amministrativa immensa e complessa, è finanziato attraverso contributi obbligatori e contributi volontari versati dagli Stati membri e viene approvato dall’Assemblea Generale per un periodo biennale con una risoluzione vincolante per tutti gli Stati membri. La regola prevede che ogni Stato versi all’Onu circa l’1% del Pil. Dopo gli Usa gli altri grandi finanziatori sono Giappone Cina, Germania, Francia ( vedere grafico). All’ottavo posto è l’Italia che precede Russia e Canada. Con il taglio deciso da Trump i milioni di dollari degli Usa caleranno per il biennio 2018-19 a un totale di 930, pari al 17% del budget dell’Onu. Un -5% che più o meno diventa lo stesso taglio deciso dalla Quinta Commissione e che dovrà nei prossimi mesi essere applicato dall’Assemblea Generale. Tagli che verranno distribuiti un po’ ovunque. Per esempio, sono stati approvati 508,5 milioni di dollari per 34 missioni politiche speciali che verranno autorizzate dall’Assemblea generale e/o dal Consiglio di Sicurezza. Il Segretario Generale aveva chiesto 636,6 milioni. Il giro di vite coinvolgerà le organizzazioni e i programmi del Palazzo di Vetro: dalle 17 agenzie e organizzazioni specializzate (come Fao, Unesco, Oms) alle missioni di peacekeeping (sono attualmente 16) fino ai progetti per i diritti umani, lo sviluppo economico del Terzo Mondo e l’assistenza umanitaria a profughi e rifugiati. L’Unesco Da fine 2018 gli Stati Uniti lasceranno definitivamente l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’istruzione, la scienza e la cultura. Anche in questo caso la questione palestinese ha giocato un ruolo di primo piano perché la Casa Bianca accusa i pregiudizi anti-israeliani di cui da anni l’Unesco (sede a Parigi) viene (non senza qualche ragione) accusata. Né è la prima volta che l’organizzazione viene messa sotto accusa per le sue scelte politiche. Negli anni ‘70 e ‘80, ultimo periodo della Guerra Fredda, l’Unesco era diventata per alcuni aspetti una sorta di quinta colonna al servizio del Cremlino, tanto che in segno di protesta prima gli Stati Uniti di Ronald Regan (1984) e poi il Regno Unito di Margaret Thatcher si ritirarono in segno di protesta. Londra ha nuovamente aderito nel 1997, gli Usa con decisione di George W. Bush nel 2003. Il bilancio è in piena crisi già da molti anni. Nell’ottobre 2011 Obama decise il blocco di 60 milioni (il 22% del bilancio totale Unesco) per protesta per l’ammissione come membro a pieno titolo della Palestina. A causa di quei tagli l’Unesco ha dovuto ridimensionare i suoi programmi. Nel 2016 anche il Giappone si rifiutò di pagare la quota per l’iscrizione nel registro della memoria mondiale del massacro di Nanchino, uno dei più brutali crimini di guerra dell’esercito imperiale (1937) compiuto contro la Cina. Per il biennio 2018-19 la spesa prevista è di 1 miliardo e 296 milioni di dollari. Fao L’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura è stata la prima agenzia specializzata del sistema delle Nazioni Unite (per ricordarne la fondazione ogni 16 ottobre si celebra la Giornata Mondiale dell’Alimentazione) e si occupa di agricoltura, alimentazione, pesca e sviluppo rurale. Gli Stati membri si impegnano a promuovere azioni separate e collettive per accrescere il livello di nutrizione e tenore di vita dei popoli, e migliorare il rendimento della produzione e l’efficacia della distribuzione dei prodotti alimentari ed agricoli. Insomma per liberare l’umanità dalla fame. È una delle agenzie dell’Onu più criticate, colpita da diversi scandali e famosa per i suoi sprechi. Una commissione di economisti voluta della stessa Onu accertò che metà del budget fisso – l’equivalente di mezzo milione di dollari al giorno – veniva speso per mantenere la struttura burocratica. Ha avuto un bilancio per il biennio 2016-17 di 1,1 miliardi leggermente ridotto a 1.05 per il 2018-19. Pam Il Programma alimentare mondiale (World Food Programme) è l’agenzia, con sede a Roma come la Fao, che si occupa di assistenza alimentare. È la maggiore organizzazione umanitaria del mondo: assiste oltre 100 milioni di persone in 78 Paesi aiutando coloro che non riescono a trovare o produrre cibo per sé e le proprie famiglie. Non si può nascondere che il Pam ha delle falle, degli sprechi e situazioni che se non fossero drammatiche sarebbero comiche (i fondi che arrivano alla Corea del Nord gestiti direttamente dal regime di Kim Jong-un). Un esempio-simbolo è l’Etiopia, uno dei maggiori beneficiari, dove soltanto il 12% del cibo previsto arriva a destinazione. Oms L’Organizzazione Mondiale della Sanità (sede a Ginevra) ha approvato un bilancio per il biennio 2018-19 di 4.421,5 milioni di dollari. Un aumento del 3% rispetto al biennio precedente per tutti gli Stati membri. Unhcr 65,6 milioni di persone: è l’attuale numero di profughi costretti a vario titolo alla fuga dalle proprie case, tra questi 22,5 milioni di rifugiati di cui (oltre la metà hanno meno di 18 anni) di cuisi occupadirettamentel’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. A queste cifre vanno aggiunti i 10 milioni di apolidi a cui è stata negata la cittadinanza e l’accesso a diritti fondamentali come l’istruzione, l’assistenzasanitaria, l’occupazione e la libertà di movimento. L’Unhcr è finanziato quasi interamente con contributi volontari, di cui l’87% da governi e dall’Unione Europea. Il 3% arriva da altre organizzazioni intergovernative, un ulteriore 9% proviene dal settore privato. Dalle Nazioni Unite arriva l’1% del bilancio per i costi amministrativi. Il budget annuale per il 2017 è stato di 7,7 miliardi.