Gazzetta dello Sport, 9 gennaio 2018
Maroni rinuncia alla Lombardia
È diventata ufficiale la notizia che già domenica ad Arcore aveva turbato il vertice tra Berlusconi, Salvini e la Meloni: Roberto Maroni non si candiderà per un secondo mandato da presidente della Regione Lombardia. Lo ha annunciato lui stesso ieri in una conferenza stampa convocata all’inizio per fare il bilancio della legislatura 2013-2018. Una rinuncia bizzarra, se vogliamo, visto che tutti i sondaggi lo davano come certo vincitore contro il candidato di centrosinistra, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Davanti ai giornalisti il governatore uscente ha indicato anche il nome di chi lo sostituirà alla guida della coalizione di centrodestra, nome che si faceva già ieri, quello del leghista Attilio Fontana, che fu sindaco per due mandati di Varese (la città di Maroni).
• Ragioni del ritiro?
Maroni ha parlato di «motivi personali», senza specificarli. «Una decisione presa in autonomia, per la quale chiedo a tutti rispetto. Con la politica ho una lunga storia d’amore nata con Umberto Bossi. E come tutte le vere storie d’amore non finiscono mai. Sono soddisfatto per il lavoro svolto in Regione e ringrazio tutti, assessori e consiglieri». Anche Giorgio Gori, commentando la scelta, non ha fornito dettagli in più: «Il mio avversario è sceso dal ring. Domenica sera gli ho telefonato, mi ha confermato la notizia e mi ha esposto le sue motivazioni che ovviamente per correttezza non riferirò». Scherzando, Maroni ha precisato: «La mia decisione non c’entra con la salute. A parte il raffreddore sto bene».
• Forse pesano le vicende giudiziarie che lo riguardano.
In effetti Maroni è sotto processo a Milano, accusato di aver esercitato pressioni per far assumere una sua collaboratrice. È vero che per gli eletti in Regione si applica già in primo grado di giudizio la legge Severino, quella sull’incandidabilità o la decadenza di politici condannati per reati come abuso d’ufficio e corruzione. Ma l’assoluzione con formula piena dell’ex direttore generale di Expo, Christian Malangone, imputato nello stesso processo di Maroni, ha depotenziato il rischio per il leghista. È più probabile che abbia voglia di tornare a far politica a Roma, a livello nazionale, come in parte ha ammesso lui stesso: «Non vado in pensione ma resto a disposizione. So cosa vuol dire governare. Per questo ho il timore che se vince Luigi Di Maio l’Italia finisce come Spelacchio».
• Allora è certo: visto che tutti giurano sulla vittoria del centro-destra, vuole tornare a fare il ministro. La formula «resto a disposizione» è chiara.
Già il ministro o forse addirittura il premier, vista l’incandidabilità di Silvio Berlusconi (ancora la legge Severino). D’altra parte non è un mistero che il Cavaliere ha da sempre un ottimo rapporto con Maroni. Potrebbe essere una soluzione di compromesso tra Forza Italia e la Lega: il nostro uomo ha esperienza di governo, prima di essere governatore è stato più volte ministro, e poi è un leghista non salviniano. Insomma, per i moderati del centrodestra una figura più rassicurante rispetto all’attuale capo della Lega che di moderato ha ben poco. Alla domanda «È vero che Berlusconi la vedrebbe bene come premier?» Maroni ha risposto ridendo: «Se lo ha pensato non me l’ha detto. La mia decisione non ha nulla a che fare con Salvini e la prospettiva di Salvini premier è una prospettiva che condivido».
• Ma Salvini potrebbe mai accettare una soluzione del genere?
Sono mesi che ha iniziato una campagna elettorale a tappeto presentandosi come il candidato premier della Lega?
Se il centrodestra riuscisse a mettere insieme una maggioranza sufficiente a creare un governo, sarebbe complicato per Salvini dire di no a un leghista premier, anche se indicato da Berlusconi. Soprattutto se, come appare dai sondaggi, Forza Italia dovesse prendere più voti del Carroccio. In ogni caso: Maroni sarebbe un’opzione anche per un governo con una maggioranza diversa anche da quella formata dalle quattro gambe Fi-Lega-Fdi e centristi. Intanto nei prossimi giorni sapremo se sarà candidato in Parlamento oppure no.
• E in Lombardia che succederà? Chi è questo Fontana che dovrebbe prendere il posto di Maroni?
È uno dei volti istituzionali e moderati del Carroccio. Classe 1952, avvocato penalista, tre figli e una passione per golf e basket. Leghista della prima ora e sempre convinto. Ha raccontato così i suoi inizi: «Nel 1987 Bossi mi chiese di candidarmi, ma rinunciai. Poi nel 1992 Maroni mi chiese di fare l’assessore, ma la mia risposta arrivò troppo tardi. Finché nel 1995 venni presentato a Induno e diventai sindaco». Induno Olona è un centro della provincia di Varese con poco più di diecimila abitanti, creato da Mussolini nel 1925. Fontana è stato poi un apprezzato sindaco di Varese per dieci anni, cioè per due mandati consecutivi, fino al 2016. In precedenza era stato anche presidente del Consiglio regionale lombardo e dell’Anci Lombardia. Nel 2010 aveva guidato la rivolta dei sindaci leghisti contro i vincoli del patto di stabilità, culminata con la simbolica restituzione delle fasce tricolori. Ha un buon rapporto con Salvini, che lo ha voluto fortemente al posto di Maroni, mentre Forza Italia avrebbe preferito candidare l’ex ministra della Pubblica istruzione, Maria Stella Gelmini. Di certo Fontana non è un nome di primo piano e forse per il renzianissimo Gori i giochi si sono inaspettatamente riaperti. Renzi sogna un clamoroso ribaltone. Non a caso si è affrettato subito a twittare «Forza Giorgio!». Il problema per il Pd è che si voterà il 4 marzo, lo stesso giorno delle politiche. La Lombardia è una regione storicamente di centrodestra. Il voto nazionale potrebbe trascinare quello per il governatore.