Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 08 Lunedì calendario

APPUNTI SU MARONI PER GAZZETTA

CORRIERE.IT –

L’annuncio arriva all’indomani dell’«accordo dell’albero di Natale», l’intesa tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi sulle alleanze siglata domenica a Villa San Martino, ad Arcore. Ma l’intenzione di fare un passo indietro, Roberto Maroni l’aveva maturata già dopo l’estate. Il «governatore» uscente della Lombardia ha deciso di lasciare e lo ha fatto, ha spiegato lui stesso in una conferenza stampa, per «motivi personali». Non correrà dunque per un secondo mandato e a guidare la coalizione ci sarà un altro leghista, l’ex sindaco di Varese, Attilio Fontana, che, intanto, nel tardo pomeriggio di lunedì ha raccolto il sì unanime del «parlamentino» del Carroccio.

Motivi personali

I motivi personali di cui Maroni aveva accennato dopo il summit di Arcore non sono né familiari né di salute. «Una decisione presa in autonomia — ha spiegato —, per la quale chiedo a tutti rispetto. Con la politica ho una lunga storia d’amore nata con Umberto Bossi. E come tutte le vere storie d’amore non finiscono mai. Sono soddisfatto per il lavoro svolto in Regione e ringrazio tutti, assessori e consiglieri. Non vado in pensione ma resto a disposizione e so cosa vuol dire governare». Alla domanda: «È vero che Silvio Berlusconi la vedrebbe bene come premier?» Maroni ha risposto (ridendo): «Se lo ha pensato non me l’ha detto. Non ho pretese né richieste ma sono a disposizione. La mia decisione non ha nulla a che fare con Salvini e la prospettiva di Salvini premier è una prospettiva che condivido». Ma ammette di avere una preoccupazione: «Che Luigi Di Maio vada a Palazzo Chigi, una Virginia Raggi al cubo, così l’Italia farebbe la fine dell’albero Spelacchio».


Il bilancio

Il presidente della Regione ha fatto anche un primo bilancio della legislatura e ha parlato dell’accordo sull’autonomia e spiegato i passaggi: «Si può fare meglio ma abbiamo già fatto molto bene, per questo il centrodestra dovrebbe essere riconfermato. Voglio concludere il mandato con la firma sull’accordo dell’autonomia. Se riusciremo a ottenerla entro la fine della legislatura, possiamo concludere in bellezza, dando una prospettiva straordinaria per la Lombardia. È una sfida che voglio vincere. Il referendum è stato un successo storico, una sfida epocale».

Salvini: «Fontana sarebbe una buona scelta»

Anche il leader della Lega, Matteo Salvini ha commentato in mattinata il «nuovo» candidato nelle elezioni del 4 marzo: «Fontana sarebbe assolutamente adatto a fare il presidente della Lombardia al posto di Roberto Maroni. Si tratta di proseguire il buon lavoro di questi venti anni. Quindi le scelte personali sono scelte personali. Le rispetto, ci mancherebbe altro ma — ha aggiunto — il nostro dovere è garantire a 10 milioni di lombardi quello che abbiamo garantito in termini di tassazione più bassa».


L’«addio»

La settimana scorsa il presidente lombardo aveva convocato la conferenza stampa dell’8 gennaio: ufficialmente, per svolgere una puntuale rassegna dei risultati del suo quinquennio. Ma l’intenzione di annunciare il suo addio alla Regione era già nitidissima: ne ha informato, pare appena prima di Natale, Matteo Salvini. Poi, durante un incontro la settimana scorsa, Silvio Berlusconi. E per finire, domenica ha avvisato del ritiro anche il suo avversario mancato, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori candidato dal Pd. Cosa che ha spinto il segretario pd Matteo Renzi a twittare il suo «Forza Giorgio!».


Ministro o premier?

Maroni si mette «a disposizione della Lega». Ma forse anche dell’Italia, in caso di vittoria del centrodestra. Come ministro o, chissà mai, addirittura come premier, vista l’incandidabilità di Silvio Berlusconi. È vero che Salvini sta facendo e farà tutta la sua campagna elettorale come candidato premier. Eppure, anche a lui riuscirebbe complicato dire no a un leghista che dispone del placet del Cavaliere. Soprattutto se Forza Italia, a voti contati, fosse il primo partito del centrodestra. Il Maroni risorsa della Repubblica potrebbe tornare utile anche più tardi, qualora le maggioranze uscite dalle urne si rivelassero instabili. Il governatore lombardo ha detto di aver chiuso le sue esperienze romane, ma una chiamata alla responsabilità sarebbe difficile da respingere.


Gori: «Rispetto la decisione di Maroni»

«Roberto Maroni ha deciso di non ricandidarsi alla presidenza della Regione Lombardia, il mio avversario è sceso dal ring. In questi mesi, ogni giorno, ho lavorato sul nostro progetto, mi sono preparato, ho studiato, immaginando di dovermi confrontare con lui. Una sfida tosta, mica una passeggiata, che nonostante i pronostici ho però sempre pensato di poter giocare fino in fondo. E invece non sarà lui». È quanto scrive, su Facebook, il candidato del centrosinistra alla Regione Lombardia, Giorgio Gori. «Ieri sera (domenica, ndr) gli ho telefonato. Mi ha confermato la notizia e mi ha esposto le sue motivazioni che ovviamente per correttezza non riferirò», ha proseguito il sindaco di Bergamo. «Gli devo rispetto, ma in Lombardia si può (si deve) fare molto di più, molto meglio di quanto ha fatto il centrodestra, soprattutto negli ultimi anni». «Non c’è aspetto della vita pubblica — dal lavoro al welfare, dall’ambiente ai trasporti — che non indichi ampi margini di possibile miglioramento, soprattutto a vantaggio dei gruppi sociali e dei territori più fragili. Saluto dunque Roberto Maroni, e gli auguro un buon futuro. Noi continuiamo la nostra marcia, qualunque sia il nome del nuovo competitor. Rappresenterà comunque ciò che con le nostre idee e le nostre energie siamo impegnati a cambiare e a “fare meglio”», ha concluso.


***


REPUBBLICA.IT – 

Roberto Maroni ha confermato che non si ricandiderà alla presidenza della Regione "per motivi personali", senza però specificare di quali motivi si tratti, prima durante la riunione di giunta a Palazzo Lombardia eppoi nella successiva conferenza stampa. Il governatore ha quindi indicato il nome di Attilio Fontana, ex sindaco di Varese, come candidato del Carroccio.


Ieri la notizia aveva fatto irruzione nel vertice di centrodestra ad Arcore tra Berlusconi, Salvini e Meloni, diventando di fatto l’argomento principe tra gli alleati. Roberto Maroni ha quindi incontrato i giornalisti all’undicesimo piano di Palazzo Lombardia, nella conferenza stampa convocata inizialmente per fare il bilancio della legislatura iniziata nel 2013. "Con l’autonomia che sarà fatta entro le elezioni, possiamo concludere in bellezza e aprire una prospettiva straordinaria per la Lombardia" ha detto Maroni che ha rivendicato il referendum del 22 ottobre scorso come un "successo storico, una sfida epocale".


"Confermo che non mi ricandiderò, è una decisione personale, presa in autonomia qualche tempo fa e subito condivisa con Salvini, anche se abbiamo deciso di darla solo adesso" ha detto Maroni in conferenza stampa. "La mia decisione non c’entra con motivi di salute, a parte il raffreddore sto bene" ha scherzato il governatore.


Maroni ha poi allargato il discorso al nazionale e in particolare all’avversario più temuto, i 5 Stelle. "Per me Luigi Di Maio è la Raggi al cubo e credo che se diventasse premier, il rischio per l’Italia sarebbe di finire come Spelacchio. Spero non avvenga". Il governatore leghista ha poi detto che intende "mettere a disposizione la sua nesperienza. Di certo non andrò in pensione" ha concluso Maroni che ha poi alluso al fatto che nel corso della giornata verrà probabilmente annunciato il nome del candidato del centrodestra in Regione, senza fare però il nome di Attilio Fontana, "cui faccio un sincero in bocca al lupo".

"Con la politica ho una lunga storia d’amore fatta di passione di sfida, successi", ha detto lievemente emozionato, ricordando gli inizi con Umberto Bossi. "Come tutte le vere storie d’amore non finiscono mai", ha continuato, "rimane, fa parte di me".  "Sono soddisfatto dal lavoro che abbiamo fatto in Regione", ha assicurato.


Tra i primi commenti arrivati dopo la conferma della notizia della non ricandidatura quello di Giorgio Gori, il candidato alle Regionali


del centrosinistra: "Il mio avversario è sceso dal ring. Ieri sera gli ho telefonato. Mi ha confermato la notizia e mi ha esposto le sue motivazioni che ovviamente per correttezza non riferirò".


***


FABIO POLETTI, LA STAMPA.IT –

«Grazie a Roberto Maroni e alla sua squadra, buon lavoro al bravo Attilio Fontana per i prossimi 5 anni»: lo ha scritto sui social il segretario della Lega Nord Matteo Salvini rendendo di fatto ufficiale l’investitura dell’ex sindaco di Varese come candidato del centrodestra al Pirellone. In mattinata Maroni aveva confermato che non intende correre di nuovo, aprendo altre porte. Se non è l’inizio della lunga marcia verso Roma poco ci manca: «So cosa vuol dire governare e assumere responsabilità di governo. Per questo ho il timore che se vince Luigi Di Maio l’Italia finisce come spelacchio. Per me il candidato dei 5Stelle è Virginia Raggi al cubo».  

 

La motivazione ufficiale della scelta di Maroni sta in non meglio precisate «motivazioni personali»: «Questa decisione di non ricandidarmi non ha niente a che fare con la politica. Non ci sono tensioni con Matteo Salvini candidato premier. E a parte un raffreddore di stagione sto bene di salute». E Salvini infatti nel suo post lo ringrazia: «In questi 5 anni - ha elencato -, grazie all’impegno del nostro governo in Regione Lombardia: 200 mila posti di lavoro (veri), asili nido gratis, contributo a migliaia di mamme e papà separati con figli a carico, sistema sanitario d’eccellenza e prima regione italiana per il sostegno ai disabili gravi, primi in Italia ad approvare una legge per vietare la costruzione di nuove moschee. E dopo 20 anni di lavoro - ha aggiunto - finalmente l’autonomia, grazie al voto referendario dei cittadini, è una realtà ormai a portata di mano. Grazie a Roberto Maroni e alla sua squadra - conclude-, buon lavoro al bravo Attilio Fontana per i prossimi 5 anni». 

Chi è molto vicino a Maroni racconta che la corsa per Roma ai massimi livelli, Palazzo Chigi in cima a tutto, sarebbe stata favorita se non auspicata da Silvio Berlusconi. Le considerazioni sono quelle di sempre: il leader di Forza Italia è troppo anziano per fare il premier, Matteo Salvini sposterebbe troppo la bilancia dell’alleanza verso la Lega. Dalla sua Roberto Maroni ha esperienza di governo, è stato più volte ministro, è leghista ma non salviniano. A chiedergli direttamente se Silvio Berlusconi glielo ha offerto nell’incontro avvenuto poche settimane fa ad Arcore, Roberto Maroni risponde misurando le parole con un sorriso: «Non è vero che me lo ha chiesto, magari lo ha pensato». 

 

Di sicuro nell’ultima conferenza stampa dopo giunta a Palazzo Lombardia Roberto Maroni ripete più volte che non ricandidarsi in Regione non vuol dire che lascia la politica: «La mia decisione è questa e chiedo a tutti rispetto. Non ho richieste o pretese da fare alla politica. Con la politica ho una grande storia d’amore che va avanti da 25 anni. E come tutte le storie d’amore non finiscono mai. Sono naturalmente a disposizione se dovesse servire. Ma questo lo lascio decidere ad altri». Di sicuro Roberto Maroni scriverà il programma della Lega sulle autonomie insieme al Governatore veneto Luca Zaia. È da Palazzo Lombardia l’ultima battaglia di Roberto Maroni in Regione. Una battaglia che ha visto il culmine con il referendum del 22 ottobre e che adesso vuole chiudere prima che finisca la legislatura: «Quella sull’autonomia è la sfida conclusiva del mio mandato da Governatore. È una sfida che voglio vincere. Il mio obiettivo è terminare l’accordo col governo prima delle elezioni». 


***


MARZOLINA SESTO, ILSOLE24ORE.COM –

«Non mi ricandido alla presidenza della Lombardia ma resto a disposizione». Enigmatica ma non troppo la frase con cui Roberto Maroni dice addio alla candidatura-bis per la regione Lombardia. Cosa ha spinto il governatore a lasciare mentre i sondaggi lo davano sicuro vincitore delle regionali lombarde? Nell’entourage del centrodestra nessuno nutre dubbi in proposito: Maroni punta a un ministero o comunque a un ruolo-chiave nel prossimo governo in caso di vittoria del centrodestra.

Ministro o premier?
Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno, ambisce con ogni probabilità a ricoprire un ruolo di punta nel prossimo governo in caso di vittoria del centrodestra. Come ministro o, chissà mai, addirittura come premier, vista l’incandidabilità di Silvio Berlusconi. È vero che Salvini staconducendo la campagna elettorale nelruolo di candidato premier del Carroccio. Nonostante ciò, anche a lui riuscirebbe complicato dire no all’investitura come premier di un leghista che dispone del placet del Cavaliere. Soprattutto se Forza Italia uscisse dalle elezioni con lo status di primo partito del centrodestra. E il Maroni «a disposizione» della Repubblica potrebbe tornare utile anche qualora le maggioranze uscite dalle urne si rivelassero instabili.

Ipotesi Parlamento

Non è neppure del tutto esclusa l’ipotesi che Maroni venga candidato in Parlamento. Anzi, qualche esponente leghista fa esplicitamente questa ipotesi. Per ora però nulla è dato sapere di più preciso. Ma nei prossimi giorni, con l’intensificarsi dei contatti tra gli alleati del centrodestra sulle candidature, anche questo punto interrogativo troverà risposta.


***


IL POST –

Lunedì mattina, nel corso della sua ultima conferenza stampa da presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni ha detto che non si candiderà alle elezioni regionali del prossimo 4 marzo. Maroni ha detto che la sua decisione è dovuta a “valutazioni personali”, ma ha escluso che le motivazioni abbiano a che fare con la sua salute, come aveva scritto alcuni giornali negli ultimi giorni. Maroni ha però detto che intende continuare a fare politica e che se gli sarà chiesto si candiderà alle elezioni politiche. Ha anche detto che il candidato del centrodestra alla regione è già stato deciso e che il nome sarà rivelato a breve. Secondo i giornali, il candidato scelto è l’ex sindaco di Varese Attilio Fontana, della Lega Nord (ieri circolava anche il nome dell’ex ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, di Forza Italia).

Maroni ha ribadito più volta la sua intenzione a continuare ad impegnarsi in politica e ha sottolineato la sua lunga esperienza di governo – in passato è stato diverse volte ministro, occupando anche uno degli incarichi più delicati, quello di ministro dell’Interno. Non è chiaro come mai Maroni abbia preso la decisione di non ricandidarsi a un’elezione che in molti davano per scontato che avrebbe vinto. Secondo alcuni potrebbe avere a che fare con le sue vicende processuali. Attualmente Maroni è sotto processo a Milano per le presunte pressioni che avrebbe esercitato per far assumere una sua collaboratrice. Altri invece citano la volontà di Maroni di fare parte di un futuro e ipotetico governo di centrodestra dopo le prossime elezioni.

Il candidato del PD alla regione Lombardia, Giorgio Gori, ha commentato con un tweet la conferenza stampa di Maroni.


***


CARMELO LOPAPA, LA REPUBBLICA 8/1 –


Nel giorno del lungo vertice al tavolo da pranzo di Arcore tra Berlusconi, Salvini e Meloni, scoppia nel centrodestra il caso Maroni. Che apre nuovi scenari, rende contendibile una regione che fino a ieri sembrava quasi preclusa al Pd e al centrosinistra.Il governatore della Lombardia a sorpresa annuncia il forfait, non correrà all’election day del 4 marzo. «Ho deciso di cambiare vita, voglio fare un altro lavoro - ha raccontato in queste ore a pochi amici Non mi candiderò nemmeno in Parlamento, mi dedicherò proprio a tutt’altro. Posso guadagnare di più senza le responsabilità ricoperte finora». Dunque non sarà in corsa nemmeno per un seggio alla Camera o al Senato. Anche se, ha fatto presente l’ex ministro dell’Interno, «resterò a disposizione del partito e della politica » . Cenno che è stato sufficiente per scatenare una ridda di ipotesi anche sull’eventualità che - a vittoria acquisita dal centrodestra - Berlusconi possa comunque chiamare l’amico di sempre a una responsabilità di governo, almeno da ministro. Scenari che al momento l’ex capo del Viminale invece non vuole prendere in considerazione. Non è quella la ragione della sua scelta. Né, a quanto sembra, la spada di Damocle giudiziaria che incombe: è imputato a Milano al processo che ruota attorno alle presunte pressioni che avrebbe esercitato per far ottenere un contratto di lavoro e un viaggio a Tokyo a due sue ex collaboratrici dell’epoca in cui era ministro. Ma il suo correo è stato già assolto in secondo grado e il processo, secondo i legali, sarebbe ora in discesa anche per lui.Dunque? Motivi personali, è la motivazione ufficiale della rinuncia. Né problemi di salute, ha chiarito Maroni agli amici, facendo i debiti scongiuri, né rotture con Matteo Salvini, col quale pure i rapporti personali in questi anni sono stati piuttosto critici. «Io sono un vero leninista - ci ha scherzato su il governatore uscente - non ordisco manovre contro il segretario. Finché c’è un leader, per me resta lui e basta». A lui, come a Berlusconi, la decisione era stata comunicata addirittura a novembre, in gran segreto. Con la preghiera di entrambi di tenerla coperta fino al giorno in cui sarebbe stata fissata la data delle elezioni. Così è stato: Maroni l’ha confermata ieri mattina al telefono proprio al suo segretario prima che entrasse al vertice. Una volta che il governo ha fissato l’election day con le politiche del 4 marzo anche per Lombardia e Lazio, non c’era più motivo per tenerla riservata. E così è divenuta il “caso” del vertice.Dietro l’apparente formalità, una ragione di sostanza. Politica. Proprio grazie alla concomitanza ormai certa del voto nazionale e regionale, i tre leader di centrodestra possono permettersi di candidare al Pirellone anche una figura non di primissimo piano e visibilità. Qual è il leghista Attilio Fontana.Già, perché l’altra certezza di queste ore è che Matteo Salvini ha strappato agli alleati la conferma che sarà un altro suo uomo a contendere la poltrona di Maroni. E la scelta è ricaduta sull’ex sindaco di Varese. Figura di fiducia del segretario, che avrebbe ben operato e con una sua riconoscibilità a livello locale. L’altro nome circolato è stato quello dell’ex ministra di Forza Italia Mariastella Gelmini, milanese doc, ma è stata la candidatura di bandiera che i berlusconiani hanno tenuto in piedi poche ore. Già oggi, dopo l’ufficializzazione della decisione da parte di Maroni, dovrebbe essere reso noto il nome del candidato leghista alla successione. È una partita a incastro. Perché la Lega in corsa a Milano apre a un candidato di Forza Italia nel Lazio contro Nicola Zingaretti. Resta sul tavolo, come si è detto ieri al vertice, l’ipotesi Maurizio Gasparri. Se non fosse che il senatore sogna la per sé la poltrona da presidente di Palazzo Madama.
***
FRANCESCO VERDERAMI, CORRIERE DELLA SERA 8/1 –

Che strano: il meno sorpreso della «scelta di vita» di Maroni era Berlusconi, decisamente compassato rispetto a Salvini, che non tratteneva la propria irritazione verso il compagno di partito. Eppure la mossa del governatore di non ricandidarsi per il Pirellone, quando mancano ormai poche settimane all’inizio della campagna elettorale, crea un problema al centro-destra. E se davvero Maroni coltivava da tempo l’idea di mollare per «ragioni personali», avrebbe potuto anticiparlo ai leader della coalizione, invece di rivelarsi incerto fino all’altro ieri, mostrandosi turbato e offrendo argomentazioni a dir poco contraddittorie, che andavano dal «basta con la politica» al «resto comunque a disposizione». 

Il «romanzo» di Arcore

Insomma anche il Cavaliere avrebbe avuto validi motivi per aggiungersi alle manifestazioni di sconcerto del segretario leghista. Invece no. Così il vertice di Arcore — incentrato quasi del tutto sul «caso Lombardia» — assume i contorni di un romanzo, il cui finale è tutto da scrivere. L’ipotesi che le vicissitudine giudiziarie e l’onta minacciosa della legge Severino abbiano spinto Maroni a passare subito la mano ha forte credito. Poi c’è la pista politica. Raccontano che Salvini scrutasse con particolare attenzione Berlusconi, mentre il padrone di casa parlava del convitato di pietra. E per un valido motivo: l’acerrimo amico di partito — che non ha mai mancato di opporsi alla sua linea — uscendo oggi dalla porta potrebbe rientrare domani dalla finestra.

Sia chiaro, è impensabile che Maroni diventi premier nel caso in cui il centrodestra vinca le elezioni. Tutt’al più potrebbe aspirare a un dicastero. Ma se il centrodestra non riuscisse a conquistare la maggioranza in Parlamento? Ecco l’insidia per Salvini, che ricorda la stagione del ‘94, quando Bossi ruppe al governo con Berlusconi e «Bobo» fu sul punto di schierarsi con il Cavaliere. Da allora i rapporti tra i due sono stati sempre molto stretti. Stretti fino al punto che Maroni potrebbe trasformarsi nel capofila dei «dialoganti» all’interno del Carroccio, e appoggiare il disegno di Berlusconi per sostenere un governo chiamato a gestire «nell’interesse del Paese» una fase di transizione.

Pensierini andreottiani che l’atteggiamento del padrone di casa hanno reso quasi palpabili, e che il capo della Lega ha voluto scacciare assegnando intanto al proprio partito il prossimo candidato al Pirellone. Ma se sul nome di Giorgetti (vice segretario della Lega) Berlusconi non ha manifestato dubbi, su quello di Fontana (ex sindaco di Varese) ha chiesto «una pausa riflessione»: «Per figure minori è bene prima fare dei sondaggi». In effetti, cambiare in corsa potrebbe mettere a rischio il risultato, non a caso ieri Renzi ha lanciato il tweet «Forza Gori». Se il candidato democrat è dieci punti dietro il governatore uscente, contro una «figura minore» potrebbe avere qualche chance.

L’effetto election day

Su questo tema però Giorgia Meloni ha preso le parti di Matteo Salvini: con l’election day il centrodestra avrebbe comunque partita vinta, grazie all’effetto «trascinamento» del voto politico nazionale. In ogni caso il leader del Carroccio è pronto a fare oggi il blitz per chiudere questa vertenza e prepararsi a sistemare i conti con Maroni. Sarà un modo per non dare a Berlusconi un ulteriore spazio negoziale, anche perché — nel caso in cui Forza Italia puntasse davvero sulla Gelmini — la Lega chiederebbe una maggiore percentuale di collegi per l’uninominale. E la sfida tra il Cavaliere e Salvini in Parlamento si gioca proprio su quei numeri, che potrebbero essere determinanti per un eventuale governo di larghe intese.

Sarà pure stato un vertice unitario, e non c’è dubbio che un clima di coesione è rimbalzato ieri da Arcore, ma la sfida interna resta. E il leader leghista ha già dovuto concedere terreno a Berlusconi, con il riconoscimento politico della quarta gamba della coalizione, che diventa di fatto l’altra lunga mano del capo forzista: «Noi con l’Italia» siederà al tavolo del programma e a quello delle candidature, ma sarà il Cavaliere il loro garante per i collegi che verranno concessi, si vedrà quanto limitati nel numero e nelle scelte sui nomi. È ovvio che Salvini punti a perimetrare anche quel confine, sapendo di dover fare i conti con la strategia di accerchiamento di Berlusconi, che in un’intervista al Foglio si propone (di nuovo) come il federatore del centro-destra e come argine contro «ogni tentazione demagogica».

Compresa la foto sotto l’albero di Natale, tutto appariva lietamente scontato ieri. Non fosse stato per il colpo di scena di Maroni. Anche se il Cavaliere non sembrava così sorpreso...


***


MARCO CREMONESI, CORRIERE DELLA SERA 8/1 –

Il gran ritiro pare sia maturato nella testa del governatore subito dopo l’estate. Oggi, Roberto Maroni lo motiverà: alle 11 di questa mattina con gli assessori della giunta lombarda, un poco più tardi ad uso di taccuini e telecamere. La settimana scorsa il presidente lombardo aveva convocato quest’ultima conferenza stampa: ufficialmente, per svolgere una puntuale rassegna dei risultati del suo quinquennio. Ma l’intenzione di annunciare il suo addio alla Regione era già nitidissima: ne ha informato, pare appena prima di Natale, Matteo Salvini. Poi, durante un incontro la settimana scorsa, Silvio Berlusconi. E per finire, ieri ha avvisato del ritiro anche il suo avversario mancato, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori candidato dal Pd. Cosa che ha spinto il segretario pd Matteo Renzi a twittare il suo «Forza Giorgio!».

Di sicuro, i «motivi personali» di Maroni a cui accenna il comunicato del centrodestra dopo il summit di Arcore non sono né familiari né di salute. Nemmeno politici, dirà oggi, quando si metterà «a disposizione della Lega». Della Lega, ma forse anche dell’Italia intera, in caso di vittoria del centrodestra. Come ministro o, chissà mai, addirittura come premier, vista l’incandidabilità di Silvio Berlusconi. È vero che Salvini sta facendo e farà tutta la sua campagna elettorale come candidato premier. Eppure, anche a lui riuscirebbe complicato dire no a un leghista che dispone del placet del Cavaliere. Soprattutto se Forza Italia, a voti contati, fosse il primo partito del centrodestra. Il Maroni risorsa della Repubblica potrebbe tornare utile anche più tardi, qualora le maggioranze uscite dalle urne si rivelassero instabili. Il governatore lombardo ha detto di aver chiuso le sue esperienze romane, ma una chiamata alla responsabilità sarebbe difficile da respingere.

A dare retta ai suoi, la chiave per comprendere la scelta di Maroni sarebbe in quello slogan che non utilizzerà mai e che però già nelle scorse settimane aveva ripetuto: «Fatto!». Un modo per dire che lui di promesse non avrebbe avuto bisogno perché i risultati del suo governo sono già tangibili. Probabilmente, oggi dirà qualcosa del genere. Spiegherà che con la riforma sanitaria ormai sul binario, dopo il referendum sulle autonomie celebrato con successo e con la trattativa con il governo avviata, considera di avere assolto al suo mandato. Un’uscita di scena (provvisoria) proprio mentre i sondaggi sembravano spianare la strada della rielezione. Quel che è certo respingerà è il sospetto che dietro la sua scelta possa esserci il processo che ancora ha in corso. L’illazione fino a qualche tempo fa era alimentata dal fatto che sugli eletti in Regione la scure della legge Severino cala immediatamente, già dopo il primo grado di giudizio. Sui parlamentari, soltanto dopo il pronunciamento della Cassazione. Ma in effetti, l’assoluzione con formula piena dell’ex direttore generale di Expo, Christian Malangone, imputato nello stesso processo di Maroni, aveva depotenziato il rischio e anche dissipato la diceria.

Chi sostituirà il governatore uscente? Assai citato è Attilio Fontana, apprezzato ex sindaco di Varese nonché ex presidente del consiglio regionale lombardo. Ma chiedere a lui (che già era nel toto assessori della futura giunta Maroni) è inutile: «Ah, sarei io? Avevo letto di Gregorio Fontana...», uomo di fiducia di Berlusconi e responsabile dell’organizzazione di Forza Italia. Ma in quel partito il nome che spesso circola è quello di Mariastella Gelmini. 


***


ATTILIO FONTANA 

• Varese 28 marzo 1952. Avvocato. Politico. Leghista. Dal 2006 al 2016 sindaco di Varese.

• Padre medico e mamma dentista, laureato in Giurisprudenza alla Statale di Milano, dal 1980 è titolare dello studio legale Fontana-Marsico a Varese.

• «Del Carroccio lombardo è da vent’anni uno dei volti moderati e istituzionali. Il sindaco avvocato, una specie di Giuliano Pisapia di provincia e di centrodestra. L’esordio in politica è a Induno Olona e poi, per due mandati, nel capoluogo, la Varese di Roberto Maroni, di cui è da sempre amico. In mezzo, l’esperienza in consiglio regionale da presidente dell’aula del Pirellone. Sindaco apprezzato e volto spendibile. Chi lo conosce lo descrive appunto così, un “leghista di governo”. Un leghista convinto, però, non di facciata. “Nel 1987 Bossi mi chiese di candidarmi, ma rinunciai. Poi nel ’92 Maroni mi chiese di fare l’assessore, ma la mia risposta arrivò troppo tardi. Finché nel 1995 venni presentato a Induno e diventai sindaco”, raccontava così il suo debutto» [Andrea Senesi, CdS 8/1/2018].

• «È il “borgomastro” che ad aprile 2010 aveva capeggiato una manifestazione di suoi colleghi a Milano culminata con la simbolica restituzione delle fasce tricolori» [Claudio Del Frate, CdS 22/6/2010].

• «È l’ideologo della rivolta dei sindaci leghisti contro i vincoli del patto di stabilità. Avvocato da tutti considerato un moderato. Al profilarsi del provvedimento, era stato lui a suonare la carica: “È una vergogna che chi non sa amministrare sia privilegiato e venga esonerato dalle proprie responsabilità e chi sa amministrare venga penalizzato” » [Marco Cremonesi, CdS 15/1/2009].

• È stato anche presidente dell’Anci Lombardia per cinque anni, «un ruolo che di fatto lo ha già portato ad avere il quadro dello stato della Regione» [Fabio Poletti, Sta 8/1/2018]. 

• Sposato con Laura Castelli, tre figli.

• Discreto golfista. Appassionato di basket.