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 2018  gennaio 08 Lunedì calendario

Il re delle startup la mia scommessa da 100 miliardi

È il Warren Buffett dell’alta tecnologia oppure un megalomane con tanti (troppi) soldi a disposizione? Di sicuro Masayoshi «Masa» Son ha sconvolto la Silicon Valley e i suoi venture capitalist, rivoluzionando il modo di investire nelle società hi tech non quotate. Il suo Vision Fund da 100 miliardi di dollari, lanciato circa un anno fa, è diventato il più grande fondo di private equity mai creato nella storia dell’industria tecnologica.
Gli è servito, ad esempio, per collezionare partecipazioni negli unicorni, le società non quotate, valutate oltre un miliardo di dollari, più cari al mondo: l’americana Uber e la cinese Didi, due servizi di autisti privati che sulla carta valgono rispettivamente 68 e 56 miliardi di dollari. 
Gli imprenditori della Silicon Valley fanno la fila davanti alla sua grande villa a Woodside, in California, per presentargli nuove startup. Oppure volano a Tokyo per incontrarlo nel quartier generale di SoftBank, la società che Son ha fondato quando aveva solo 24 anni, appena tornato in Giappone dalla California, dove si era laureato in Economia e Informatica all’Università di Berkeley. 
Per i critici, Son è un pazzo disposto a spendere qualsiasi cifra, senza un’analisi diligente e ignorando i campanelli d’allarme, pur di conquistare un pezzo delle società più «sexy» del pianeta. Per gli ammiratori, invece, Masa è un visionario, pronto ad assumersi alti rischi pur di partecipare da protagonista a una generazione straordinaria di aziende che renderanno ancor più ricco lui – che con 22,2 miliardi di dollari di patrimonio personale è il Paperone del Giappone – e i suoi investitori.
Dai bulli alla «Bolla»La passione per gli affari e per i computer Son l’ha coltivata fin da bambino. Nato 60 anni fa a Tosu, una cittadina su un’isola nel sud del Giappone, è partito da una condizione svantaggiata: la sua famiglia era di origine coreana, quindi trattata come outsider dai giapponesi. A scuola Masa era perseguitato dai bulli, ma il padre – operatore di una sala di pachinko (una specie di slot machine, ndr ) – lo rincuorava e spronava. «Sei un genio, il numero uno, diventerai un pezzo grosso», gli diceva. Da ragazzo Son legge un libro del ceo di McDonald’s in Giappone, Den Fujita, ed è così colpito da cercare a tutti costi di incontrare l’autore. Gli telefona un centinaio di volte chiedendo un appuntamento, ma invano. Allora vola a Tokyo e va al suo ufficio, supplicando la segretaria di dire al ceo qual è il suo desiderio: guardarlo lavorare per soli tre minuti. Riesce a incontrarlo e Fujita gli dà un consiglio fondamentale per il suo futuro: gli raccomanda di studiare inglese e informatica. Son gli dà retta e a 16 anni va a San Francisco per finire le medie superiori e studiare all’Università di Berkeley. Prima di laurearsi mette a segno il primo affare: inventa un traduttore elettronico e lo vende a Sharp per 1,7 milioni di dollari. 
Nel 1981 torna in Giappone e fonda SoftBank, la «banca del software», deciso a mettere a frutto quello che ha imparato nella Silicon Valley. Ha una grande fede nel potere della tecnologia ed è uno dei primi a credere nel nuovo business di Internet e a investire nelle dot.com: all’apice della «Bolla» ne ha in portafoglio 800. Quasi tutte sono fallite quando la «Bolla» è scoppiata, facendogli perdere 70 miliardi di dollari, un record. 
Ma un paio sono ancora vive e ultra profittevoli. Una è Yahoo! Japan, che al contrario della sorella americana è rimasta il sito più popolare del Paese. L’altra è Alibaba, la concorrente cinese di Amazon: nel 2000 Son ci investe 20 milioni di dollari, attirato dal carisma del suo fondatore Jack Ma; oggi quelle azioni valgono 130 miliardi di dollari, un record di guadagni nella storia dell’hi tech.
Nel 2004 SoftBank inizia a offrire la connessione a Internet in Giappone e nel 2006 entra nella telefonia mobile, con l’acquisto dell’80% di Vodafone Japan. Son è spinto, spiega, dal desiderio di scardinare il monopolio di Ntt, la telecom giapponese numero uno. Riesce a ottenere da Steve Jobs l’esclusiva per distribuire il primo iPhone in Giappone nel 2007. E il suo buon rapporto con il fondatore di Apple lo aiuta a coltivare il network nella Silicon Valley su cui ha poi fatto leva per continuare a crescere. 
Negli Usa, fra l’altro, è diventato l’azionista di controllo del quarto operatore di telefonia mobile, Sprint, comprando l’80% del suo capitale nel 2013.
Gli amici servonoOggi Masa è uno degli investitori più influenti grazie al Vision Fund, nato dall’incontro con il principe saudita Mohammed bin Salman nel settembre 2016. Il principe era a Tokyo per discutere come diversificare il fondo sovrano del suo Paese, oltre il petrolio. In 45 minuti Son l’ha convinto a versare 45 miliardi di dollari in Vision. Altri 28 miliardi vengono dalla stessa SoftBank e il resto da partner come Apple e il suo assemblatore di iPhone Foxconn, l’azienda di semiconduttori Qualcomm, e il family office di Larry Ellison, il fondatore di Oracle. La metà circa dei 100 miliardi di investimenti previsti è destinata a imprese americane con la creazione di 50 mila posti di lavoro: così, almeno, ha promesso Son al presidente Donald Trump.
Nell’ultimo anno il Vision Fund ha già investito 36 miliardi di dollari in molti business, fra cui: i servizi di autisti privati Uber (9 miliardi), Didi (4), Ola (1,1) e GrabTaxi (2); lo spazio di coworking WeWork (4,4); l’ecommerce indiano di Flipkart (2,5); il costruttore di satelliti OneWeb (1,2) e quello di robot Brain (114 milioni).
Son è stato inserito da Bloomberg nei 50 nomi più influenti del 2018. «La rivoluzione informatica è solo all’inizio. Credo che andrà avanti per i prossimi 200 anni. Sono molto ottimista», aveva detto il ceo commentando il debutto record in Borsa di Alibaba, nel 2014. Oggi dice che «dormire è una perdita di tempo». Meglio invece credere (e investire) nella Singularity, che in futurologia sta per il momento di una civiltà in cui il progresso tecnologico accelera fino a integrare le capacità umane a quelle delle macchine. È per questo che vuole entrare in tutte le aziende protagoniste degli sviluppi dell’intelligenza artificiale, dai trasporti alla finanza. Solo il tempo dirà se unicorni come Uber o la teoria della Singularity sono miti destinati a infrangersi contro la realtà, o se Masa ha avuto ragione a cavalcarli.