Il Messaggero, 8 gennaio 2018
La strategia dello struzzo che affligge la Capitale
La retromarcia del Campidoglio e dell’Ama sulle 15mila tonnellate di rifiuti romani ai tre inceneritori dell’Emilia Romagna è una nuova pagina dolente di un romanzo dell’orrore. Il romanzo dell’orrore è la storica inadempienza della Capitale a darsi un piano industriale per chiudere in maniera avanzata e sostenibile il ciclo del trattamento del milione e settecentomila tonnellate di rifiuti che produce ogni anno. La responsabilità storica è di tutti coloro che hanno governato Roma da 10 anni a questa parte, destra e sinistra. Ma poi è venuta la giunta Raggi, e non solo il piano della tipologia e del numero dei nuovi impianti non è operativo né concretamente definito rispetto alle necessità, e lo diciamo con tutto il rispetto per quello dell’assessore Montanari, che vuole raddoppiare la differenziata a Roma in tre anni. Oltre a questo, continuano a sommarsi episodi inaccettabili.
Dicono l’assessore e il capo di Ama, Bagnacani, che l’accordo con l’Emilia Romagna non è economico, visto che trasporto, trattamento, e sovraccosto da corrispondere per i Comuni nei cui impianti si smaltisce, fanno arrivare la cifra fino a 200 euro a tonnellata. Ma mica se lo sono inventati i giornali, che proprio Montanari e Bagnacane, anche per l’origine emiliana e i ruoli rivestiti in passato nella multiutility Iren, avevano scritto al presidente Bonaccini per chiedere la disponibilità dell’Emilia Romagna.
Allo stesso modo non se lo sono inventati i media, che l’Ama segnalava a inizio dicembre l’inizio di una nuova emergenza rifiuti a Roma per le feste (e ne ridiamo conto in cronaca). Cosa bisogna pensare, che i vertici dell’Ama e della giunta capitolina non conoscessero ex ante i costi del trattamento? Non si tratta di crederci o meno sulla fiducia: Roma da anni esporta, e cede da trattare a privati, la stragrande maggioranza di suoi rifiuti, sommando le loro diverse frazioni per tipo di materiale e per diversa destinazione si sfiora il milione di tonnellate su 1,7 milioni. È irragionevole credere che l’Ama non sappia valutare i costi di un’attività in cui da sempre è onerosamente impegnata fino al collo, mentre altre parti d’Italia col trattamento rifiuti producono energia e arricchiscono le proprie utility.
Il punto allora è un altro. La sottovalutazione clamorosa dell’aspetto politico della vicenda. In campagna elettorale ormai ufficialmente aperta, solo dopo aver avviato la trattativa i vertici capitolini hanno compreso l’autogol di chiedere che a smaltire i rifiuti fosse, tra gli altri, l’inceneritore di Parma che al sindaco Pizzarotti – per averlo mantenuto saggiamente in funzione – è costato l’espulsione dal movimento. Le smentite che vorrebbero ridurre la marcia indietro al solo fattore del costo cadono a propria volta, perché ora che Roma si è rivolta alla regione Abruzzo anche il suo presidente Luciano D’Alfonso, anch’egli del Pd, non sembra proprio disposto a sobbarcarsi la quota emiliana senza un’ammissione di colpa da parte del Campidoglio.
Ci si poteva aspettare il contrario? Quando da anni e anni la questione rifiuti a Roma è in cima all’agenda politica insieme alla condizione disastrata del trasporto pubblico, stante che Atac e Ama sono certificate da anni da Mediobanca come le due peggiori municipalizzate italiane?
La risposta ovvia è purtroppo: no. E il minimo che occorreva aspettarsi è che l’aspetto politico fosse considerato sin dall’inizio. E sarà così per ogni passo in avanti da percorrere per la possibile soluzione a tappe pluriennali del problema romano dei rifiuti. L’importanza della Capitale come banco di prova dei Cinque Stelle è ovvia, non necessita di parole. E si vede del resto benissimo sin dall’inizio proprio su questo capitolo, se osserviamo il comportamento guardingo e puntuto tenuto dalla Regione Lazio guidata da Zingaretti. In campagna elettorale, la tentazione di non fare sconti non può che diventare più elevata.
Tanto è vero quanto scriviamo che, sin da prima delle elezioni del giugno 2016, il Messaggero scrisse che chiunque fosse risultato vincitore a Roma era obbligatoriamente chiamato – su rifiuti, trasporto pubblico e bilancio – ad adottare un elevato profilo istituzionale nei rapporti con le istituzioni centrali e con le altre Autonomie. E questo profilo istituzionale chiedeva ovviamente proposte di grande efficacia e comprovata competenza per risolvere i problemi. In modo tale che risultasse vieppiù difficile alle controparti istituzionali negare una leale cooperazione per ragioni di conflitto politico. Era ed è un appello rivelatosi ancor più giusto, con la sindacatura dei Cinque Stelle che mantengono un rapporto dichiaratamente antagonista con le altre forze politiche.
Purtroppo i fatti ci hanno dato ragione. E non c’è alcuna soddisfazione nel dirlo. Il piano sui rifiuti dopo un anno e mezzo è molto lontano da quanto serva. Roma resta esposta a picchi di cosiddetta emergenza nella raccolta cittadina e nello smaltimento: e diciamo cosiddetta perché è un attentato alla lingua italiana usare la parola emergenza, quando è il risultato di guai strutturali e pluriennali, e di continui calci al barattolo invece di avere il fegato di scelte industriali radicali da sostenere con forza.
Si possono nascondere – come la testa dello struzzo- sotto la sabbia le briglie strette che il vertice nazionale Cinque Stelle tiene sul sindaco Raggi, o le sottovalutazioni politiche spacciate per argomenti economici. Ma i rifiuti no, quelli sotto la sabbia non si possono nascondere e restano, onerosissimamente, a carico dei romani.