il Fatto Quotidiano, 8 gennaio 2018
No sesso, sì bambole. Il Giappone invecchia
Con una donna reale finisce che devi pensare anche al matrimonio. Con una in 3d, no”. Nene e Rinko sono due ragazze dagli gli occhi grandi e ammiccanti e i vestiti delle sexy teenager asiatiche che anche noi in occidente siamo stati abituati a vedere nei cartoni. Da diversi anni, sono fidanzate di due quasi quarantenni di Tokyo, appassionati di fumetti e di tecnologia. Il problema non è tanto che le flessuose e sempre disponibili Nene e Rinko – protagoniste di un videogioco Nintendo chiamato Love+ – stabiliscano appuntamenti o scadenze della giornata con il loro cavalieri dallo schermo di una console. Quando una giornalista chiede ai due uomini: “le considerate le vostre ragazze?”, uno dei due risponde: “Certo, perché a lei piaccio comunque”. E pur rendendosi conto che la sua fidanzata non esiste in carne e ossa, alla domanda su chi sceglierebbe tra Rinko e sua moglie, replica imbarazzato: “Farei di tutto per non trovarmi mai in una situazione del genere”.
La scena appena descritta rappresenta uno dei passaggi chiave di No sex please, we are Japanese documentario Bbc che già nel 2013 esplorava le conseguenze economiche e sociali della crisi demografica nel Paese del Sol Levante. Il Giappone è un arcipelago popolato da 127 milioni di abitanti, dove però oggi l’indice di fertilità femminile si attesta intorno a 1,3 figli, mentre tra gli Anni 50 e 70 raggiungeva o superava i 2 figli per famiglia. Di questo passo, i demografi stimano che entro 50 anni la popolazione declinerà del 30%, attestandosi così poco al di sotto dei 90 milioni di abitanti: il più potente calo demografico per cause naturali nella storia dell’umanità. Le ricadute economiche non sono certo marginali. A lungo terza economia mondiale, ormai superata dalla Cina, il Paese è in stagnazione da oltre 20 anni ed ha accumulato un debito pubblico pari a oltre 10.000 miliardi di dollari che corrisponde a oltre il 200% nel rapporto con il Pil. In Italia, solo per fare un paragone, il debito ammonta a 2.200 miliardi, 132% sul Pil.
L’invecchiamento massiccio della popolazione significa compressione della forza lavoro e diminuzione delle entrate per lo Stato, costretto a destinare sempre più risorse a come sanità, previdenza e assistenza per i bisogni degli anziani. Sempre tra 50 anni, ha stimato il National Institute of Population di Tokyo, quasi il 40% dei giapponesi sarà over 65. Oltretutto, il Sol levante è anche il Paese dove si vive più a lungo: secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, un bambino nipponico nato in questi anni ha con 83,7 anni la maggior aspettativa di vita nel globo.
Un senso di incombente decadenza pervade l’opinione pubblica – come ha indicato l’ex ministro Hiroyo Masuda che nel suo apocalittico Local Extinction del 2014, prevede la scomparsa di molte aree del Paese. Già adesso, negli ospedali di molte province i reparti di maternità sono vuoti, le scuole deserte, paesi e città più piccole si spopolano.
Le ragioni del calo demografico sono profondamente radicate nel tessuto sociale. Da anni ormai, la tendenza in Giappone è a sposarsi sempre meno, a fare sempre meno figli – anche perché solo il 2% dei bambini nascono fuori dal matrimonio. Ma soprattutto, sembra diventato difficile per i giovani perfino incontrarsi per iniziare una relazione. Colpa probabilmente del forte individualismo, alimentato dall’uso pervasivo della tecnologia che si traduce in una serie di fenomeni sociali. Ci sono ad esempio le tribù di Otaku, gli appassionati di manga (fumetti), anime (cartoni animati) e videogiochi, mentre gli hikkikomori sono ragazzi che si isolano dalla società, sostituendo i rapporti umani con quelli mediati da internet. In tutte e due i casi, l’amore, anche quando c’è (magari via social), non solo non si traduce in contatto fisico, ma neppure in rapporto umano. Figuriamoci poi nella generazione di figli.
Se la difficoltà nell’approccio con l’altro sesso sembra essere un problema tutto giapponese, l’Italia condivide comunque con il Sol levante sia la denatalità che l’alto tasso di invecchiamento. “Cause diverse ma comportamenti simili”, sintetizza Alessandro Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano. “In mancanza di immigrazione per colmare lo squilibrio demografico, il Giappone ha promosso innovazione e tecnologia come mezzo per ridurre la non autosufficienza degli anziani, mntre però le cause della denatalità lì sono culturali, da noi dipendono piuttosto dalla mancanza di adeguate politiche per la di sostegno famiglia”.
“Insomma, perché i giapponesi non sembrano più interessati a conoscere le donne, a sposarsi, a fare figli?” chiede sbigottita la giornalista della Bbc Anita Rani a Roland, americano espetto di manga e anime trapiantato in Giappone: “I ragazzi qui si domandano: vale la pena infilarsi in una relazione reale che può essere complicata, difficile e impegnativa, se puoi avere lo stesso restando nel mio mondo virtuale?”.
Quello in cui la teenager idealizzata e disponibile non delude mai le aspettative. Il sesso con una persona vera invece, lasciamolo proprio stare. Grazie per la proposta, direbbe l’otaku di turno, ma noi non siamo come gli altri: siamo giapponesi.