il Giornale, 8 gennaio 2018
Angelillo, l’angelo dei record, campione dalla faccia sporca
Se ne è andata un’altra figurina del nostro album: Antonio Valentin Angheligio, come lo chiamavano e lo piangono oggi gli argentini che amano il football. Antonio Angelillo aveva ottant’anni e da tempo aveva scelto il silenzio, insieme con la quiete della Toscana, terra di buen ritiro. La sua carriera fu splendida, il suo record di gol, 33 nei tornei a diciotto squadre, resta imbattuto. Angelillo è stato un centravanti, un grande centravanti per necessità e scelta di Guillermo Stabile allenatore che lo spostò da mezzala dieci metri più avanti. Il tiro era potente, la stazza anche, la tecnica elegante, pennellate di calcio sulla segatura di San Siro.
Lo scovò, quando aveva quattordici anni, Anibal Gordo Diaz e lo portò all’Arsenal di Lavallol. Antonio aveva lontani parenti lucani, suo padre era un macellaio, dunque i filetti e gli asadi non gli mancavano e ne fortificarono il fisico e le gambe di roccia. Passò al Racing, insieme con Humberto Maschio e l’anno ’57 fu quello di grazia. L’Argentina vinse la coppa Sudamericana a Lima, goleando con Brasile, Uruguay, Cile, Colombia ed Ecuador, Angelillo faceva parte delle carasucias, quelli dalla faccia sporca, figli di buona donna, come li aveva battezzati un massaggiatore vedendoli seduti sfiniti, coperti di fango, in panchina. Con Antonio, Oreste Omar Corbatta, Enrique Omar Sivori e, appunto, Humberto Maschio. Era al Boca, Antonio Valentin, quando Angelo Moratti decise di portarlo in Italia, coprendo di novantacinque milioni il club bairense. Il trasloco in Italia gli creò un grosso problema, infatti saltò il servizio militare proprio nel periodo caldo della Revolucion Libertadora e venne, dunque, ritenuto un disertore. Per vent’anni non gli fu più permesso di mettere piede in Patria al punto che nel Sessanta suo padre, sul punto di morte, venne trasferito a Montevideo, in Uruguay, così da permettere al figlio di incontrarlo. Quell’Argentina degli angeli dalla faccia sporca avrebbe potuto vincere il mondiale in Svezia se il governo e la federazione non avessero deciso di troncare i rapporti con gli esuli, Maschio al Bologna, Antonio all’Inter, Omar alla Juventus. Il trio si completava a meraviglia, la geometria, la potenza, la perfidia tecnica. Angelillo giocò undici partite segnando undici gol con la maglia albiceleste, prima del gran rifiuto federale.
Furono anni belli e di scoperte per Antonio Valentin a Milano, anche se Moratti passò un periodo di incertezze, confidando agli amici che forse gli avevano spedito il fratello del fenomeno argentino. Il grande presidente decise di dare una sveglia al ragazzo frastornato dalle nebbie. La delega fu affidata ad Enea Masiero e a Livio Fongaro, sodali di pensione, che portarono a spasso Antonio per la città, il Duomo, il Castello Sforzesco, i Navigli, infine il tabarin, come venivano chiamati i locali notturni dell’epoca. Qui, alla Porta d’oro, nel sito di piazza Diaz, lo stesso cognome di Anibal Gordo lo scopritore, Antonio Valentin incontrò la bionda soubrette Ilya Lopez, al secolo Tironi Attilia, la quale si prese cura di quel bel fusto con i baffetti appena disegnati sul viso e l’aria un po’ spaesata. L’amore portò Angelillo a segnare quei 33 gol famosi, dunque la storiella che fosse confuso e distratto dalla relazione regge il tempo di un tango.
In verità, due anni dopo, si appalesò a Milano Helenio Herrera che fece intendere subito di non quagliare molto con il ragazzo. Angelillo, capitano di quell’Inter non riuscì a conquistare titoli, scudetti e coppe e venne venduto alla Roma con una clausola contrattuale a lui sconosciuta: il club giallorosso si impegnava a non cederlo al Milan, alla Juventus e al Napoli. Angelillo lasciò l’Inter su volere di Allodi che aveva preso dal Barcellona Luis Miramontes Suarez, l’argentino si congedò dopo 127 partite e 77 gol. A Roma, con la presenza di Piedone Manfredini, arretrò a trequartista, segnando 41 reti in 150 partite, conquistando la coppa delle Fiere e la coppa Italia. La Roma poi non rispettò la clausola cedendo Antonio al Milan, una sola stagione, tre gol su ventuno partite e cessione al Lecco. Tornò al Milan per vincere, finalmente, lo scudetto, come partecipante.
Da oriundo lucano Antonio vestì anche la maglia della nazionale italiana, dove si trovò a fianco Josè Altafini e Omar Sivori, anch’essi oriundi, in azzurro due presenze e un gol, asterischi a margine. Le sue doti tecniche non vennero messe al servizio di alcun club, dopo il ritiro provò la panchina in serie minori e, da osservatore, portò all’Inter Javier Zanetti.
Da tempo aveva preferito il silenzio, la malattia infine lo ha portato via alla sua famiglia. Altri argentini stanno spopolando sui nostri prati di football. Antonio Valentin Angheligio ha fatto la storia e in questa va conservato con rispetto massimo.