la Repubblica, 8 gennaio 2018
Fischi e pistole scariche. Firenze affonda la nuova «Carmen» che non muore
FIRENZE Succede tutto in un attimo nella Carmen di Bizet in scena a Firenze. Don José colpisce a manganellate Carmen, ma non la uccide come vorrebbe il compositore. È lei che ammazza lui. A pistolettate.
Anche se la pistola, per accidente, non spara. Accade davvero in un secondo. Difficile anche rendersene conto. Chi è morto? Chi è vivo? Si chiedono gli spettatori. Termina così la Carmen contro il femminicidio allestita dal Teatro del Maggio. E fischiatissima. L’opera di Bizet, diventata un manifesto politico, non è piaciuta. «Non mi aspettavo finisse così. Alle due prove generali era stata accolte bene, in un’atmosfera serena, rilassata, pronta ad accettare una proposta così nuova», dichiara il sovrintendente Cristiano Chiarot, che ha suggerito al regista la modifica tanto chiacchierata. Certo che al teatro la proposta di Carmen che non muore ha portato tanto pubblico in più. Per ogni recita, in platea saranno aggiunte molte file di sedie in più. È stata una bella trovata promozionale.
«No. Già da tempo il teatro è strapieno. Ha dato frutti la nostra attività promozionale, condottaben prima che i media divulgassero l’idea di farne un manifesto contro il femminicidio». Questa Carmen firmata dal regista Leo Muscato è ambientata a fine anni Settanta in un campo rom. Quasi un lager. Attorniato da muri e filo spinato, sorvegliato da poliziotti in tenuta antisommossa. Sempre notte, luci artificiali, le esalazioni di una fabbrica di sigarette lì vicino che intossicano l’aria. Ma su Carmen che dà una pistolettata all’aggressore si dimostrano piuttosto critici i più incalliti frequentatori del Maggio.
Per questioni drammaturgiche, principalmente. «Scelta sbagliata, perché Bizet fa di Carmen una martire della libertà», dice un abbonato storico del Maggio. «Se il teatro cercava lo scandalo, ha fallito», gli fa eco un altro. «La Carmen a Bologna nel ‘67, regia di Arbasino, consulenza di Roland Barthes, con Escamillo vestito da Batman, quella sì era dirompente». Poi il parere di una coppia, che frequenta spesso le stagioni liriche all’estero. «In Germania ho visto una Turandot dove, da ultimo, la principessa se ne va via, lasciando il trono al tenore.
Figuriamoci se mi scandalizza una Carmen assassina», racconta lui. Più favorevoli i vip.
Il premio Oscar Nicola Piovani: «Ben venga tutto questo, se si fa per sensibilizzare su un tema scottante». Lo stesso pensa Rosa Maria Di Giorgi, vicepresidente del Senato, benché di solito lei preferisca vedere sul palco ciò che ha previsto l’autore. «Ma ogni tanto, e specie in un momento come il nostro, in cui la violenza contro le donne riempie le pagine di nera, possiamo consentirci un cambiamento dirompente come questo, così denso di significato politico e civile». Furiosa invece Raina Kabaivanska, grande soprano che della Carmen Veronica Simeoni è stata maestra. Del finale se ne infischia, ma il campo rom i moderni costumi zingareschi non le sono piaciuti: «Il teatro è bellezza, perché sul palco vedere brutture e donne in ciabatte?». Forse ha ragione. C’è la politica e l’impegno in questo allestimento, ma l’eros no.