la Repubblica, 8 gennaio 2018
Regge, musei e templi, le tariffe dell’arte in affitto
ROMA Da qualche centinaia di euro per sposarsi al Museo di Santa Giulia a Brescia, ai 25mila euro per un evento nel salone delle feste del museo di Capodimonte a Napoli, l’offerta di siti culturali italiani in affitto a privati è ormai ampia e codificata. È possibile infatti almeno dal 1993 per effetto della legge Ronchey e sta poi alle singole istituzioni stabilire le cifre, tenendo presenti le direttive del Decreto legislativo 42 del 22 gennaio 2004, noto come Codice dei beni culturali.
All’articolo 106 si stabilisce che «il Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti». E ancora: «per i beni in consegna al Ministero, il soprintendente determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento». Il Codice precisa che deve essere garantita «la conservazione e la fruizione pubblica del bene» (quindi l’orario di visita non deve subire variazioni) e «assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo». In altre parole, affittare a 20mila euro la Reggia di Venaria per una festa in costume settecentesco, vista la storia del sito, sarebbe compatibile con il suo valore artistico, meno fare una cena nel tempio di Segesta per 5mila euro, poiché si trattava di un luogo di culto, pur se pagano. Con questa motivazione nel febbraio 2017 la Grecia oberata dai debiti ha detto no alla casa di moda Gucci, che aveva offerto 2 milioni in lavori di restauro in cambio di un quarto d’ora di sfilata al Partenone, perché «il valore e il carattere dell’Acropoli è incompatibile con un evento di questo tipo».
Secondo questo criterio, il Colosseo sarebbe deputato agli spettacoli e non dovrebbe scandalizzare l’idea di vederci dei concerti, come avviene nell’Arena di Verona o nelle Terme di Caracalla.
Quanto allo stabilire se sia un prezzo equo sposarsi nella casa natale di Leonardo, a Vinci, per 250 euro, oppure organizzare una cena aziendale nell’anfiteatro di Pompei per 15mila, il discorso si fa più complicato. Ciò che è accaduto venerdì scorso alla Reggia di Caserta ha poco a che vedere con i 30mila euro pagati per l’affitto. Il fioraio che si mette a cavalcioni su uno dei leoni dello Scalone d’onore del Vanvitelli pone il problema della sicurezza e dei controlli sull’uso. «Si deve garantire la tutela del bene concesso – osserva Tiziana Maffei, presidente della sezione italiana dell’International council of Museum – a questo proposito, anche su sollecitazione del gruppo Icom Lombardia, stiamo lavorando a un documento sulle raccomandazioni per la concessione in uso temporaneo degli spazi museali». Maffei ribadisce poi «che c’è talvolta superficialità rispetto alla sicurezza» e un buon punto di partenza sarebbe «non generalizzare, ma valutare l’opportunità di affitto caso per caso».
Per James Bradburne, direttore generale della Pinacoteca di Brera (spazi diversi in affitto a circa 5mila euro, non senza polemiche), «il presupposto fondamentale è che la protezione e la sicurezza dell’opera è imprescindibile.
Quando si affitta uno spazio – con la certezza che non ci siamo mai rischi per nessun opera quindi – è essenzialmente per due motivi: in primis rafforzare la missione del museo e creare legami con la città. In secondo luogo per sostenere le attività del museo, che si tratti della conservazione o l’acquisto di opere».